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QT n. 10, 16 maggio 1998 Cover story

Le poltrone e le nomine: la teoria e la pratica

Permane la cultura partitocratica delle nomine negli enti pubblici, con in più l'affacciarsi di pulsioni etnico-territoriali ("un trentino alla presidenza!"). Ma, oltre l'ultimo svarione di Dellai (sulla presidenza dell'A22), il problema di chi e come si nomina permane. Cosa ne pensano studiosi, sociologi; cosa si ripromettono i politici.

La poltrona dell'Autobrennero, la carica che segnò i fasti e la rovina di Enrico Pancheri, è stato l'ultimo, emblematico episodio. Che ci parla dell'estrema difficoltà della politica trentina, anche di quella che si vorrebbe rinnovata, ad affrontare in maniera decente la questione delle nomine pubbliche negli enti che contano. E difatti è stato il primo autogol di Dellai, con il supersindaco che ha evidenziato plateali limiti dorotei di cultura politica.

Riprendiamo i momenti essenziali dell'istruttiva vicenda, per poi allargare il discorso. Come è noto, Dellai ha vinto l'ultimo congresso dei Popolari grazie all'ennesimo voltafaccia del presidente della Regione Tarcisio Grandi che, da poco entrato armi e bagagli nel partito, si è dapprima alleato con gli avversari di Dellai, e poi li ha spiazzati cambiando fronte. Il sindaco ha quindi con Grandi un debito di riconoscenza (non solo morale; negli organismi del partito gli uomini di Tarcisio sono decisivi, e pronti a cambiare alleanze). Ma d'altra parte la contiguità con Grandi è troppo compromettente; Dellai si rivolge a un'area politico-sociale connotata da forti esigenze etiche, si presenta come rinnovatore della politica, non può apparire legato a un tale personaggio. Di qui il disegno di far elegantemente sparire l'impresentabile alleato dalla scena, piazzandolo in una posizione di prestigio e di potere, ma esterna alla politica, come la presidenza dell'A22.

Però l'impresentabilità di Grandi ha impedito al sindaco di proporne pubblicamente il nome: ha quindi rivendicato l'ambita poltrona, non per un programma, non per una persona particolarmente qualificata, ma genericamente "per un trentino", come se l'origine territoriale fosse una discriminante seria, anzi decisiva.

Di fronte a una tale proposta, per lo meno strampalata, gli altri soci (!'A22 è in definitiva una Spa) soprattutto veneti e emiliani (47% del capitale sociale) si sono chiesti: "Ma chi è questo Dellai?" Ed hanno votato, con la Svp, per il presidente uscente Willeit, che è una persona sperimentata, seria, e che un programma lo ha presentato (spostamento del traffico pesante su ferrovia nel tratto alpino, bretelle di collegamento in pianura).

La vicenda, dicevamo, è istruttiva. Indica il permanere della cultura partitocratica delle nomine, usate per risolvere problemi interni, o addirittura personali, anche in aree potenzialmente rinnovatrici. E rivela l'affacciarsi di vaghe pulsioni etnico-territoriali ("un trentino alla presidenza!"): sconcertanti in un personaggio come Dellai, che dell'apertura culturale ha fatto una bandiera e che con il rifiuto del campanilismo ha connotato la parte migliore del suo agire amministrativo (rapporti non più conflittuali con Bolzano, di collaborazione con Rovereto).

L'episodio Autobrennero si iscrive in un momento di grande fibrillazione per tutta una serie di altre nomine in scadenza. Il Patt, in questa legislatura partito di maggioranza, ha operato secondo lo schema classico: mettere propri uomini; utilizzando personaggi decorosi e anche qualificati quando le nomine le ha fatte Andreotti (Ferrari all'Ite, Corrà a Informatica Trentina, anche Tedesca a Tecnofin); passando alla promozione dei sottopancia quando le nomine le ha fatte Tretter (mitici i Kaswalder e Delvai, transitati dal partito ali'Autobrennero). Di fronte a una nuova serie di nomine in scadenza, Binelli (Patt) ha pensato bene di elaborare un modellino matematico per effettuarne una spartizione scientifica fra i partiti in giunta. La cosa, troppo spudorata, è naufragata. Ma dalle altre parti politiche non sono arrivate sollecitazioni di un qualche interesse. Non si è andati oltre un "con le elezioni alle porte blocchiamo le nomine! devono essere fatte dalla nuova giunta ", invocazione che ha accomunato Dellai, Albergoni (Pds) e Divina (Lega). Una posizione che, ad essere benevoli, può essere intesa come uno stop al manuale Binelli; ma che si può anche malevolmente interpretare - da parte di tre partiti in prevista ascesa elettorale - come voglia di spartirsi loro la torta. E in ogni caso, questa idea di fondo di far coincidere la vita degli enti con quelli delle maggioranze politiche, non costituisce un inno all'autonomia degli enti stessi.

Insomma, la politica non sembra affannarsi nel cercare di rinnovare i propri comportamenti riguardo al sottogoverno. Eppure in proposito c'è un dibattito a livello nazionale. Cerchiamo di riportarlo anche in Trentino, perché riteniamo che anche qui ci siano forze riformiste, che sul cambiamento sono disponibili ad investire.

Il problema è andare oltre il trito e volontaristico ritornello "bisogna nominare persone competenti"; il punto è vedere come si è evoluto il rapporto tra politica e nomine, che senso abbia oggi, come, con quali strumenti, si possa invertire una tendenza pesantemente negativa. Sul numero di aprile della rivista Reset appare un interessante dibattito con Giuliano Amato e Alessandro Pizzorno.

Il punto centrale è il grado di autonomia dalla politica che devono avere gli enti pubblici. L'unico esempio eclatante - ed altamente positivo - che abbiamo di Autorità pubbliche ma indipendenti è la Banca d'Italia: la quale non solo ha una storia di reale autonomia, anzi di interlocuzione con il potere politico, ma proprio per questa sua caratteristica "è diventata il fornitore di classe dirigente a largo raggio (anche al di là del desiderabile) " finendo addirittura per fornire personale qualificato alla politica nei momenti della sua crisi, basti pensare a Ciampi, a Dini, e prima a Carli.

Ma questo è l'unico caso. Nelle altre istituzioni non c'è personale che si forma autonomamente. E anzi, F autonomia non è vista come un valore: se la politica effettua la nomina, non limita questo potere al diritto a decidere sulla competenza della persona e a scegliere la sua area, formazione culturale; lo intende come diritto all'influenza nella gestione concreta, all'ingerenza (nel migliore dei casi).

Come se ne esce? Amato e Pizzorno innanzitutto ritengono importante non far mai coincidere la durata dei mandati con quella della legislatura. E inoltre propongono di "mettere una barriera intermedia, un diaframma tra la politica e gli autori della nomine". Una sorta di filtro per far entrare la società civile nella procedura delle nomine; e si ricorda come già Bassanini propose al Comune di Milano una commissione composta di personaggi autorevoli (rettore della Bocconi o direttore del Politecnico o presidente dell'Ordine degli avvocati) che doveva proporre dei nomi che poi il Consiglio Comunale avrebbe sanzionato.

Veniamo a Trento, dove abbiamo sentito Gregorio Arena, docente di Diritto Amministrativo ed ex consigliere provinciale. Che concorda pienamente con entrambi i principi espressi da Amato e Pizzorno: sia la sfalsatura nella durata dei mandati, per non vincolare il nominato al politico nominante; sia sull'organismo "filtro" "per coinvolgere la società civile nel meccanismo delle nomine; a suo tempo in consiglio provinciale avevo presentato un progetto per cui, attraverso un certo meccanismo, è la società che propone una rosa di nomi, all'interno della quale sono ipolitici a scegliere".

In ogni modo per Arena bisogna distinguere all'interno degli enti pubblici. Ci sono quelli che svolgono una funzione operativa (la Tecnofin per esempio) e sono quindi un'articolazione organizzativa dell'amministrazione, per ottenere maggior agilità ed efficienza: e in questo caso è comprensibile una diretta influenza della politica. E ci sono quelli che hanno una funzione regolatrice (le Autorità tipo Antitrust, o il Difensore Civico): e lì l'influenza politica deve essere molto ridotta.

Questa distinzione viene ripresa e articolata da Sergio Fabbrini, politologo e docente a Sociologia. Il quale vede quattro tipologie di enti, ed altrettante modalità di nomina. "Ci sono i bracci operativi del governo, che devono essere pochissimi - Tecnofin è l'esempio più chiaro - e lì è giusto che la giunta metta i propri uomini. Soprattutto in una democrazia competitiva, dove chi governa è nettamente distinto da chi è all'opposizione, ed è chiamato a rispondere." Poi ci sono gli enti non immediatamente operativi - come le Authorities, o da noi probabilmente l'Ite - e in questo caso ci deve essere un filtro tra nomina e politica "devono instaurarsi meccanismi di garanzia, tutti da studiare, perché non credo molto a 'saggi ', che poi hanno i loro col legamenti, le consulenze ecc" Terzo caso sono "gli enti che de vano essere restituiti al mercato, come l'Enel; il governo fissi le regole, ma non gestisce direi tornente, e il cittadino-utente non ha che da guadagnare se servizi sono gestiti da organismi più efficienti." Infine una categoria intermedia - tipo Aeroporto - in cui vi può esservi la compresenza del pubblico e del privato "e in questo caso l'influenza del pubblico nella gestione deve essere estremamente discreta."

E i politici? Che dicono d" problema? Lo si vuoi far questo passo indietro? G spunti più interessanti ce li ha forniti Giorgio Tonini, candidato ali primarie dei Democratici di Sinistra: "Ci saranno nomine che ai cara spetteranno alla politica; e passo indietro dei partiti, perché sia reale va fatto con le regole: le incompatibilità, le garanzie ecc. Per esempio, ritengo immodestamente un mio titolo di merito essermi battuto perché nello statuì dell'Itc il presidente fosse un accademico (e non magari un politico riciclato). E credo che i risultati siano stati positivi."

Infine da Tonini una considerizione di prospettiva: "Il problema vero è avere a disposizione professionalità libere, in Italia abbiano una società molto corporativa, il paese delle cordate; e il rinnovamento non può risolversi con sostituzione delle oligarchie politiche con altre oligarchie. Per evitare questo, bisogna dare regole alla società, affinchè ci sia p concorrenza, più apertura..." I somma è l'Europa, l'apertura d mercato, la fine dei protezionismi che sta spezzando il grigio potè dei nostrani culi di pietra. E qu sta è la base su cui anche la poli ca può trovare gli elementi p poter/dover evolversi.

Bene. Basta che tutto non si traduca nell’attesa della maturazione della società, e intanto il ceto politico non vivacchi continuando assegnare le poltrone agli impresentabili o ai trombati.

Vedremo se nei programmi per le prossime politiche qualcuno presenterà nuovi criteri per le nomi pubbliche.