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Il diritto all’acqua fuori dal mercato

Andrea Trentini

In Trentino si è costituito un comitato a sostegno alla proposta di legge di iniziativa popolare sull’acqua che avrà l’adesione di associazioni locali e realtà territoriali dei diversi comprensori. Tra gli attori principali c’è la Funzione Pubblica della Cgil, che dovrà coordinare il lavoro operativo: prendere contatti coi Comuni per depositare i moduli vidimati, ottenere le autorizzazioni per la raccolta firme, fornire il materiale informativo. L’invito ad aderire è rivolto a tutte le amministrazioni comunali e a tutte le realtà del territorio, al fine di sostenere la raccolta di firme sulla proposta di legge come occasione per informare sull’importanza della gestione pubblica del diritto all’acqua.

Sull’acqua ci giochiamo tutto”. Queste parole sintetizzano il pensiero preoccupato di padre Alex Zanotelli, che è tornato a parlare di acqua in occasione dell’incontro organizzato a Bolzano. E’ proprio sulla gestione di questo bene che si stanno concentrando gli interessi di multinazionali e gruppi finanziari che investono sulla gestione dell’acqua.

Nell’ultimo rapporto sullo Sviluppo Umano dell’ONU si legge che 4900 bambini al giorno muoiono di diarrea per mancanza di acqua potabile e condizioni sanitarie collegate. Dati e cifre per parlarci di una risorsa che diventa rara e cara e che i poveri nelle città del Sud la pagano già ora, cinque volte più cara dei ricchi. Ecco perché portare l’acqua potabile a chi non ce l’ha, riammodernare gli impianti nel nord del mondo, cambiare modelli di consumo e produzione è nell’interesse di tutti.

Fino al 1994 il sistema idrico in Italia è stato gestito dagli acquedotti comunali, con delle bollette a livelli bassi ma con perdite d’acqua alte. Poi viene emanata la Legge Galli, che dà la possibilità ai Comuni di formare una società per azioni insieme a un socio privato. Nella tariffa ci va dentro tutto: le spese per la depurazione, fognature, investimenti. Naturalmente l’investitore privato ci vorrà guadagnare. Per capire cosa succede al servizio idrico con la gestione mista pubblico-privato basta andare a vedere il caso di Aprilia, nel Lazio, dove la gestione dell’acqua in 38 comuni è stata vinta nel 2002 dalla società Acqualatina, composta al 51% dagli stessi Comuni e al 49% da un consorzio privato guidato dal colosso francese Veolia Waters. Negli ultimi 2 anni, ad Aprilia, le bollette sono aumentate fino al 300% e per questo i Comitati chiedono di interrompere il contratto di trent’anni che lega i Comuni ad Acqualatina. Contro la privatizzazione dell’acqua in Italia sono decine i conflitti che si sono aperti nelle città e nelle regioni: dall’Abruzzo alla Sicilia, dalla Campania alla Lombardia, dal Lazio alla Toscana, regione nella quale nel 2005 sono state raccolte 43.000 firme in sostegno della legge d’iniziativa popolare che ancora giace in Consiglio regionale.

Per organizzare queste mobilitazioni, nel marzo del 2006 si è tenuto a Roma il primo Forum italiano dei movimenti per l’acqua, a cui hanno partecipato centinaia di nodi territoriali e decine di reti nazionali, associative, sindacali e politiche. Il Forum si concluse con l’accordo sulla necessità di una legge che sancisca una svolta nella gestione del bene pubblico. Da allora ha preso il via il percorso verso la legge di iniziativa popolare sull’acqua con gli obiettivi di tutela della risorsa e della sua qualità, di ripubblicizzazione del servizio idrico e di gestione attraverso strumenti di democrazia partecipata.

La proposta di legge sancisce all’art. 5 la proprietà pubblica e inalienabile delle infrastrutture e delle reti e l’affidamento della gestione in via esclusiva ad enti di diritto pubblico (non a S.p.a., quindi). A seguire, l’art. 6 stabilisce le modalità della fase di transizione verso la ripubblicizzazione della gestione del servizio idrico, ordinando la decadenza degli affidamenti in essere in concessione a terzi, e definendo i tempi e i vincoli per trasformare gli affidamenti in essere attraverso società a capitale misto pubblico-privato o a totale capitale pubblico.

Per capire come è cresciuta la proposta del movimento per l’acqua, è necessario fare tappa a Napoli, dove, con il sostegno di padre Zanotelli, si è animato un movimento popolare che ha portato a una sensibilizzazione contro la privatizzazione dell’acqua: “A Napoli siamo riusciti a cambiare le cose: avevano già deciso la privatizzazione dell’acqua per 136 comuni che servono 3 milioni di persone; nel giro di un anno e mezzo siamo riusciti a farli ritrattare e adesso l’acqua è pubblica, cioè viene gestita con capitale pubblico. Ma va aggiunta un’altra clausola: senza essere S.p.a.” - spiega Zanotelli.

Un punto importante sollevato dai movimenti per l’acqua pubblica è quello che stabilisce l’erogazione gratuita di 50 litri per abitante come quantitativo minimo vitale giornaliero. Rispetto al dubbio che questa proposta sia controproducente rispetto alla possibilità di innescare meccanismi virtuosi di risparmio idrico, Zanotelli risponde: “Quando si parla di acqua gratuita si parla di garantire a tutti soglie minime di accesso alle risorse idriche. Quanto serve a vivere va distribuito a tutti e in forma gratuita; sul resto invece deve intervenire la politica con una strategia di incentivi e disincentivi che spinga il quadro generale verso il contenimento e l’ottimizzazione dei consumi”.

Infatti, la proposta di legge definisce i principi cui dovranno conformarsi le normative regionali per fissare le fasce tariffarie per consumi superiori. Una parte della tariffa per i consumi non domestici verrà destinata alla copertura dei costi di investimento, delle attività di bonifica dagli inquinanti e delle attività di prevenzione e controllo.

Secondo Zanotelli l’importante è porre il problema e chiedere ai partiti da che parte stanno. “A Napoli siamo riusciti a dividere i democratici di sinistra chiedendo che venga presa una chiara posizione. Il presidente della Regione Bassolino non ha digerito bene la mobilitazione, ma quando ha capito che non aveva più la maggioranza, ha pensato di salire sul carro dei vincitori. Assurdamente si è poi arrabbiato perché non lo abbiamo invitato a parlare sul palco”.

In Trentino a sostenere l’iniziativa c’è la Funzione Pubblica della Cgil, che in occasione della presentazione della proposta di legge, per voce di Mirko Carotta, ha chiarito che “questa iniziativa di legge vuole essere una proposta anche per il Trentino, visto che con la riforma istituzionale si pone il problema su quale scelta venga fatta dalla Provincia per la gestione del servizio idrico” . Queste considerazioni fanno parte della riflessione partita già nel 2006 dal “Tavolo Stop Precarietà” (www.trentinoprecario.it). Nel giugno 2006 è stata mandata una lettera a tutti i Sindaci per sottolineare che la riforma istituzionale varata dal Consiglio provinciale differenzia tra “servizi pubblici di interesse economico” e “servizi pubblici privi di interesse economico”, senza però definire quali siano gli uni e quali siano gli altri.

Se è vero che nella riforma non viene imposto nulla ai Comuni, sta di fatto che viene messa nero su bianco la possibilità di esternalizzare a soggetti privati la gestione di servizi pubblici. “In questa situazione si aprono forti dubbi sulle intenzioni della Giunta provinciale” commenta il “Tavolo stop precarietà” che come la Funzione Pubblica ha chiesto maggiore coraggio all’assessore Bressanini, il quale ha minimizzato la richiesta e facilmente rimandato la scelta ai Comuni delle future Comunità di valle.

E’ in questo precario contesto politico trentino che prende il via l’iniziativa di proposta di legge volta a sollevare pubblicamente la richiesta di una gestione del servizio idrico da parte di società a capitale pubblico e non sottoposte al diritto privato