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QT n. 15, 17 settembre 2005 Servizi

New Orleans, la barbarie dopo l’uragano

La tenuta del vivere civile è stata messa in discussione dalle violenze di New Orleans. Il lato oscuro dell’umanità, il ruolo della cultura della disuguaglianza e dello smantellamento delle politiche sociali.

Le immagini e le notizie da New Orleans, hanno rappresentato uno shock, in America e nel mondo. Innanzitutto per l’evidente imprevidenza di fronte ad una calamità annunciata, per la disastrosa inefficienza della macchina dei soccorsi, per l’inaspettata sciatteria nel garantirsi standard di sicurezza. Tutte cose che hanno fatto precipitare l’unica superpotenza al livello del Terzo Mondo investito dallo tsunami (peraltro quello sì imprevisto): si dovrà dunque riflettere sul fatto che, a forza di distogliere i fondi dalla manutenzione delle dighe, poi si finisce con il dover accettare l’elemosina delle coperte da Fidel Castro.

Il punto però, ancora più sconvolgente, è un altro: è la barbarie sociale emersa dalle acque dell’alluvione. Non solo lo sciacallaggio (peraltro fino a un certo punto comprensibile: se si rimane senza niente, è logico approvvigionarsi nel supermercato diroccato), non solo la ribellione, ma autentica disumanità: quando si giunge a stuprare i sopravvissuti e a sparare contro gli elicotteri dei soccorsi, vuol dire che si sono persi i presupposti del vivere civile. "La crosta della civiltà è molto sottile" – hanno amaramente commentato in diversi; è facile che si rompa, e che si precipiti nello stato di ferinità.

Ecco, di questo vogliamo discutere. Dobbiamo dare per scontata questa precarietà del vivere civile? Non è che la tragedia di New Orleans - o meglio, la degenerazione sociale innescata dalla tragedia naturale – abbia cause individuabili? Non è che c’entrino qualcosa le paurose diseguaglianze sociali, ulteriormente aumentate in America in questi ultimi anni?

Poniamo questi interrogativi al prof. Tiziano Bonazzi, ordinario di Storia e istituzioni dell’America del Nord a Scienze Politiche di Bologna, probabilmente il più autorevole storico italiano degli Stati Uniti. Chiedendoci se l’America non abbia fatto un altro passo verso il "bowling alone", il giocare a bowling da soli, la teorizzazione (di Robert Putnam) secondo cui l’America, patria dell’associazionismo per antonomasia, starebbe vivendo un radicale riflusso nel personale, dove anche il bowling diventa una solitaria sfida contro se stessi.

"In realtà noi giudichiamo un’America immaginaria. - ci riprende Bonazzi - Dobbiamo sempre ricordarci che l’America non è una nazione, bensì un continente, con al suo interno culture e tradizioni molto lontane le une dalle altre. Risulta davvero difficile arrivare ad una sintesi o teorizzazione generale".

Va bene, ma forse vale la pena interrogarsi sulle differenze tra l’enorme solidarietà diffusasi dopo l’11 settembre da una parte, e i saccheggi di New Orleans dall’altra.

"Manhattan non è New Orleans, - continua lo storico - sono culture regionali molto diverse. Sicuramente un ruolo importante nell’ultima tragedia lo gioca il sentimento di marginalità diffuso nelle città povere, dove vivono migliaia di persone di cui la società non si è mai occupata e che quindi insorgono di fronte a questa tardiva mobilitazione. Ma nemmeno questo da solo basta a spiegare la situazione".

Vediamo di approfondire. "Partiamo da un dato: in situazioni estreme può emergere il lato oscuro dell’uomo. – ci dice Bruno Bertelli, docente a Sociologia a Trento – A volte ci si chiede perché si può perdere l’umanità in guerra, compiendo azioni barbare nei confronti di civili inermi. Sono conflitti latenti, che emergono con virulenza quando attorno tutto precipita".

L’abbiamo purtroppo imparato che non c’è da meravigliarsi se il soldato tortura o stupra; ora vediamo l’alluvionato che saccheggia e violenta. Ma tutto questo non è indice di una società poco coesa e quindi poco solida?

"Per certi versi questi episodi sono particolari e quindi non generalizzabili. Però ci sono indicatori che ci parlano di conflitti a monte del disastro: una parte della popolazione delle città americane si sente trascurata, non protetta su diritti elementari; di qui una serie di rancori, che possono esplodere. Quando nella società si abbandona la solidarietà per dare la priorità ad elementi come il mercato ed il successo, e a principi come l’arrivismo, è facile che chi da tutto questo è emarginato possano cova risentimenti, come il fuoco sotto la cenere; un fuoco che poi, come ogni conflitto latente, quando emerge può prendere forme e dimensioni inaspettate. Anche per gli stessi attori, che magari solo due giorni prima mai avrebbero immaginato di poter fare certe cose".

Insomma, a monte sembra esserci un problema di solidità della società. Probabilmente incrinata dal venir meno di politiche sociali adeguate. Forse stanno venendo al pettine i nodi della visione reganiana, che organizza la società per i due terzi più abbienti, mentre l’altro terzo, i derelitti, deve arrangiarsi.

"Sempre premesso che l’America è grande e al suo interno c’è tutto e il suo contrario, è vero che – nei fatti – si è trascurata la dimensione della solidarietà. Anche perché in America è forte la cultura della frontiera, del rischiare, dell’andare avanti comunque, a prescindere da chi resta indietro. Questo porta ad una società più dinamica; ma anche più conflittuale. E, come abbiamo visto, in certe situazioni la conflittualità può degenerare".

Uno dei punti centrali è quindi rappresentato dalle politiche sociali: bisogna vedere se ci sono, se sono efficaci, se riescono a creare coesione sociale. E per converso, occorre capire cosa può succedere quando invece vengono smantellate. Ne parliamo con Luca Fazzi docente appunto di Politica Economica e Sistemi di Welfare, a Sociologia ed Economia a Trento.

"Operare correlazioni strette tra un avvenimento e le politiche a monte è sempre un azzardo, perché ci sono tante variabili in gioco. – avverte Fazzi – Per esempio, in America un fattore molto importante, e illuminante di tante cose, è la cultura dell’individualismo: in Europa, se si chiede qual è la causa della povertà, si ottiene come risposta ‘la disuguaglianza’, in America ‘la pigrizia’. E’ questo individualismo la base della frantumazione sociale".

C’è però un ruolo specifico delle politiche sociali...

"Sì. Secondo l’esperienza europea queste non solo incrementano reddito e benessere, ma anche la solidarietà. Quella europea è una politica di inclusione, che tende a portare tutti dentro il corpo sociale: si aiuta la donna sola con figli, il povero, il ragazzo che abbandona la scuola, non solo attraverso l’assistenza, ma soprattutto con percorsi che li riportino nel mondo del lavoro. Invece in America ognuno è responsabile di se stesso, e se affonda, viene praticamente abbandonato. E ancora: il welfare è un diritto di cittadinanza, in America è una politica residuale, compassionevole, per gli ultimi".

Tutto questo è il portato del liberismo da Reagan in poi?

"Già prima di Reagan il welfare americano era strutturalmente diverso (il 15% del PIL rispetto al 27% europeo), poi la spinta neoliberista ha praticamente smantellato le peraltro poche forme di inclusione sociale, ad esempio la formazione professionale per i disoccupati. Risultato: i tassi di disuguaglianza, che già prima erano alti, lo sono ora molto di più" (in proposito vedi l’andamento dell’Indice di Gini sulla diseguaglianza sociale nel grafico sottostante ndr).

Andamento dell’Indice di Gini negli Stati Uniti - 1947-1992 L’indice di Gini misura le disuguaglianze sociali, da un minimo di 0 ad un massimo di 1. Come si vede, negli USA, dopo l’avvento di Reagan, l’indice è costantemente cresciuto, dall’iniziale 0,345 del 1947 allo 0,40 del ‘92, fino all’attuale 0,42. In Italia l’indice di Gini è di 0,28.

Con quali conseguenze sugli individui?

"Chiaramente le reazioni sono molto diverse, a
maggior ragione in una società improntata all’individualismo. In ogni modo è indubbia la conseguenza della crescita della criminalità, a sua volta indice di diminuzione della coesione sociale".

E gli anni di Clinton hanno segnato una discontinuità? Oppure – ricordiamo la rinuncia all’assistenza sanitaria – ha dovuto adeguarsi anche lui al trend culturale?

"Quegli anni hanno segnato un’attenuazione del processo di smantellamento, peraltro ripreso con George Bush, che ora si propone di mettere mano al sistema pensionistico. E dove ci sono politiche molto diseguali, fatalmente cala l’attenzione verso l’altro anche negli individui, soprattutto da parte di chi percepisce il sistema come ingiusto e discriminante. E così si spiega il numero dei crimini, dei carcerati, e anche la loro composizione sociale: il peso statistico dei neri tra i carcerati è 50 volte maggiore di quello tra la popolazione civile.

A questo punto New Orleans non deve stupire più di tanto: è chiaro che, se ritiene di vivere in una società dove vince il più forte, il più debole, appena può, cerca la rivincita; e non guarda tanto per il sottile".

Riandiamo ad altre situazioni. L’11 settembre, e la sua forte risposta solidaristica, in una comunità bianca benestante; la stretta, commovente solidarietà di vicinato che in America chi scrive ha avuto modo di sperimentare: "E’ tipica delle piccole comunità piccolo-borghesi, non certo delle metropoli" - rispondono i nostri interlocutori. L’alluvione del ’66, con la straordinaria, inaspettata mobilitazione dei giovani, a Firenze come a Trento, "gli angeli del fango" "la meglio gioventù".

Ecco, oggi un’alluvione a Trento, potrebbe innescare dinamiche stile New Orleans?

"Probabilmente no. – risponde Fazzi – La tendenza umana a regredire all’aggressività belluina è molto minore in una situazione culturale in cui c’è largo spazio all’associazionismo, alla pratica degli ideali solidaristici. Dove lo Stato ha operato attraverso il welfare, la criminalità è sempre minore, e la coesione sociale maggiore".

E questo senza calcolare che proprio la spinta all’associazionismo e alla protezione sociale ha dato luogo, da noi, a strutture di protezione civile largamente innervate nella società, e che negli Stati Uniti si sono invece rivelate drammaticamente assenti.

Tutto questo apre una nuova questione: non è forse giunto negli Stati Uniti il momento di ridiscutere il liberismo? Nella patria del New Deal, la tragedia innescata da Katrina non può portare a una riapertura del dibattito sugli orientamenti di fondo della società?

"Penso di sì, ma sarà un dibattito minoritario – risponde Fazzi – Perché la cultura di fondo rimane individualista; quando il povero è un pigro e la povertà una colpa, siamo di fronte ad una cultura di fondo che non viene scalfita da questi eventi. E la tendenza vincente è il blocco, quando non la diminuzione, della spesa sociale. Purtroppo, è più facile che gli europei vadano dietro agli americani che viceversa".

Ci mancherebbe altro...