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QT n. 20, 24 novembre 2007 Servizi

Gli inceneritori, la salute e le menzogne

Le incredibili manipolazioni degli studi scientifici per dire che gli inceneritori non danneggiano la salute.

Fino ad oggi, il dibattito pubblico sugli impatti dell’inceneritore, sia a livello locale che nazionale, si è concentrato soprattutto sulle conseguenze di tipo ambientale. Troppo poco è stato detto a proposito degli impatti sanitari, benché siano soprattutto questi ultimi che dovrebbero preoccupare le popolazioni residenti nelle zone interessate dagli impianti.

Negli ultimi due mesi, le cose sono andate diversamente. Per quanto del tutto privo della risonanza mediatica che avrebbe meritato, il dibattito si è acceso. Questo è accaduto grazie a due episodi.

Il primo è stato un infuocato botta e risposta tra la Federazione dei Medici dell’Emilia-Romagna e il ministro Pierluigi Bersani. Il secondo episodio è stata la pubblicazione, nell’ottobre 2007, di un importante studio effettuato dal Comitato scientifico di garanzia – presieduto dal professor Umberto Veronesi - sull’attuazione del Sistema di gestione integrata dei rifiuti solidi urbani della Regione Sicilia, intitolato "Il recupero di energia da rifiuti: la pratica, le implicazioni ambientali e l’impatto sanitario", nel quale sono state fatte affermazioni aspramente e puntualmente contestatedal Coordinamento delle Associazioni ambientaliste della Provincia di Grosseto (dove è in previsione, proprio come da noi in Trentino, un nuovo inceneritore di rifiuti) e, indirettamente, dagli stessi medici emiliano-romagnoli.

Vale la pena ricostruire i due episodi.

B ersani vs. medici. Cominciamo dal primo. Il 10 settembre 2007 la Federazione Regionale degli Ordini dei Medici Chirurghi e degli Odontoiatri Emilia Romagna (Regione nella quale sono in funzione ben nove inceneritori di rifiuti) invia una lettera a 57 rappresentanti istituzionali di Regione, Province e Comuni in cui "richiede di non procedere alla concessione di nulla-osta alla costruzione di nuovi termovalorizzatori-inceneritori".

Il Ministro Pierluigi Bersani.

La reazione del ministro dello Sviluppo Economico Bersani è furibonda. In una lettera inviata il 4 ottobre al ministro della Giustizia Clemente Mastella e a quello della Salute Livia Turco, Bersani chiede ai colleghi un’indagine sulla Federazione dei Medici. "Sottopongo - scrive Bersani nella sua missiva - alla vostra valutazione, in qualità di Ministri vigilanti, l’apprezzamento se l’iniziativa in esame possa costituire un inammissibile sviamento dalle finalità istituzionali e, comunque, dagli ambiti di attività consentiti dalla legge, ai fini dell’eventuale adozione di tutte le misure ritenute necessarie, anche non solo disciplinari, nei confronti dei responsabili".

Immediata la reazione di 13 medici emiliano-romagnoli, che il 7 ottobre firmano a loro volta una lettera indirizzata al ministro: "Tutti ormai sanno che il medico è tenuto – giustamente - ad informare il proprio paziente della situazione clinica, anche grave, che si presenti, ovvero diagnosi, prognosi, possibilità terapeutiche ed alternative possibili comprese: il famoso ‘consenso informato’. […] Orbene, perché quando si tratta di salute individuale, nulla o quasi nella informazione deve essere ‘risparmiato’ e quando si tratta di salute pubblica bisogna essere così attenti a non spaventare, a non allarmare, a non creare stress? […]

Non sarà che più che lo stress alle popolazioni si voglia evitare lo stress a chi - imprenditore - comune - ente pubblico - ha deciso che comunque e a qualunque costo l’opera deve essere realizzata? Perché non pensare ad un bel ‘consenso informato’ in campo di salute pubblica anche per i cittadini, smettendo di parlare di ‘comunicazione del rischio’, espressione che sembra dare per scontato che il rischio ci sia e che si debba solo indorare la pillola ai cittadini riottosi?"

La questione arriva fino alla Camera dei Daputati. Durante un question time del 17 ottobre, l’onorevole Grazia Francescato chiede a Bersani "se Lei intende rinunciare alla richiesta di queste misure sanzionatorie ed ascoltare anche la voce di questi medici, di tanti comitati, cittadini, esperti e cogliere l’occasione per impegnare il governo ad un serio monitoraggio sugli effetti dannosi non solo degli impianti ma di tutto il ciclo dei rifiuti".

La replica del ministro appare piuttosto debole: se accettassimo la presa di posizione della Federazione Regionale dell’Ordine dei Medici emiliano-romagnoli, sostiene Bersani, allora "dovremmo convenire che è legittimo per l’Ordine degli Avvocati di Vercelli dire la sua sulla colpevolezza o meno del giovane di Garlasco. […] Se dilaga questo modo di intervenire confondendo le carte davanti all’opinione pubblica, noi in questo paese aggiungiamo confusione a confusione".

Ed ecco le nostre osservazioni. Come si può notare, questo episodio, più che a entrare nel merito della questione (lo farà il secondo, di cui parleremo fra breve), è utile a comprendere le ragioni per cui il dibattito sugli impatti sanitari degli inceneritori è finora rimasto affossato. La situazione è talmente assurda che, se i medici - ovvero le persone maggiormente in grado di intervenire in maniera competente nel merito della questione - effettivamente intervengono, allora vengono immediatamente accusati di "confondere le carte davanti all’opinione pubblica" e minacciati di sanzioni ("non solo disciplinari") niente meno che dai ministri della Repubblica.

La ministra Livia Turco.

Non solo quello dello Sviluppo Economico, ma persino quello della Salute. Livia Turco, ha infatti fatto sapere, in una lettera inviata il 13 novembre alla Federazione dei Medici dell’Emilia-Romagna, che "chi ha compiti istituzionali che attengono alla salvaguardia della salute dovrebbe controllare la corretta applicazione della norma ma non già ostacolarne aprioristicamente l’attuazione". E’ evidente che se la situazione resta questa, il dibattito non può che rimanere sommerso. A meno che i medici non intervengano in modo, diciamo così, "più appropriato".

Gli inceneritori non sono dannosi. Anzi, sì. E’ quanto accaduto con il citato studio effettuato dal Comitato scientifico di garanzia sull’attuazione del Sistema di gestione integrata dei rifiuti solidi urbani della Regione Sicilia. In tal caso, chissà perché, i medici hanno avuto piena facoltà di giudizio e di parola. Forse perché il loro intervento è risultato più consono a certi interessi? Vediamo in sintesi cosa è accaduto.

Il professor Umberto Veronesi, già ministro della Sanità dal 2000 al 2001, nella presentazione dello studio effettuato dal Comitato da lui coordinato, comunica la lapidaria conclusione: "Non esistono prove concrete di un legame fra l’esposizione alle emissioni di inceneritori ed un aumento dei tumori".

A relazionare la parte dello studio dedicata agli impatti sanitari degli inceneritori è il professor Vito Foà, direttore della Scuola di Specializzazione in Medicina del Lavoro di Milano, nonché membro dello stesso Comitato autore dello studio. Il professor Foà segnala di aver preso in considerazione soprattutto due precedenti lavori scientifici in materia.

Il primo, condotto da ricercatori dell’Unità di Epidemiologia Ambientale del Dipartimento di Salute Pubblica del London School of Hygiene nel 1996, è quello che, scrive il professor Foà, "appare il più rilevante ai fini di una valutazione se esista o meno un rischio più elevato di cancro tra la popolazione generale residente nelle vicinanze di inceneritori di rifiuti solidi urbani. […] La conclusione degli Autori è che non è stata trovata alcuna evidenza di diversità d’incidenza e mortalità per cancro nei 7,5 chilometri di raggio studiati ed in particolare nessun declino con la distanza dall’inceneritore per tutti i tumori: stomaco, colon-retto e polmone oltre che per linfoma di Hodgkin e sarcomi dei tessuti molli".

L’altro studio preso a riferimento dal professor Foà è molto più recente, risalente al marzo di quest’anno. Si tratta del "Report Enhance Health", gestito da numerose ASL e dall’ARPA della Regione Emilia-Romagna, in collaborazione con istituzioni greche, polacche, ungheresi, austriache e spagnole, con la garanzia di un Comitato Scientifico piuttosto robusto (composto da epidemiologi dell’Istituto Superiore di Sanità, del CNR di Pisa e dell’Osservatorio di Roma, oltre che da oncologi e da un ex direttore dell’Agenzia Internazionale per la Ricerca sul Cancro - IARC di Lione).

Anche questo studio, rileva il professor Foà, è arrivato alla conclusione che "non esistono prove concrete di un legame fra l’esposizione alle emissioni di inceneritori ed un aumento dei tumori. Dove sono stati osservati effetti apparentemente rilevanti, questi erano spesso legati ad inceneritori siti vicino ad altre fonti di emissione potenzialmente pericolose".

Tutti tranquilli e sicuri, dunque? Non esattamente. Alla relazione del comitato presieduto dal professor Veronesi replicano con severità sia gli ambientalisti che i medici, evidenziando di fatto l’interpretazione piuttosto "libera" fatta dal professor Foà a proposito dei due studi citati, quello del 1996 e quello di quest’anno.

Il citato Coordinamento delle Associazioni ambientaliste della Provincia di Grosseto fa notare, a proposito del modo in cui il professor Foà ha riferito dello studio britannico del 1996, che "o Foà non conosce l’inglese, o ha deliberatamente stravolto il significato del testo originale, che tradotto alla lettera significa: ‘I rapporti osservati-attesi furono verificati in base al declino del rischio con la distanza fino a 7.5 km. … Dopo i due stadi dello studio c’era un declino statisticamente significativo (p<0,05) nel rischio con la distanza dagli inceneritori per tutti i cancri riuniti, stomaco, colon retto, fegato e polmone (‘Observed-expected ratios were tested for decline in risk with distance up to 7.5 km. … Over the two stages of the study was statistically significant (p<0,05) decline in risk with distance from incinerators for all cancers combined, stomach, colorectal, liver and lung cancer’)".

I membri del Coordinamento segnalano poi che lo stesso studio ha rilevato, senza che il professor Foà ne riferisse, che "gli eccessi altamente significativi di cancro/leucemia nei bambini nati nelle vicinanze di inceneritori, evidenziano il ruolo centrale giocato dai processi di combustione nell’insorgenza di tali patologie".

Anche a proposito dell’altro studio citato da Foà l’interpretazione non è pacifica. I 13 medici che hanno replicato a Bersani, nella loro lettera, ricordano al ministro proprio i risultati del Report Enhance Health: "Per l’Italia lo studio è stato condotto nel comune di Forlì, quartiere Coriano, ove sono ubicati due inceneritori, uno per rifiuti ospedalieri ed uno per rifiuti solidi urbani. L’indagine condotta con metodo Informativo Geografico (GIS) ha riguardato l’esposizione a metalli pesanti - stimata con un modello matematico - della popolazione residente per almeno 5 anni entro un’area di raggio di 3.5 km dagli impianti. Eccessi statisticamente significativi sono emersi per quanto attiene il sesso femminile: in particolare si è registrato un aumento del rischio di morte per tutte le cause correlate alla esposizione a metalli pesanti tra il +7% e il + 17%. La mortalità per tutti i tumori aumenta nella medesima popolazione in modo coerente con l’aumento dell’esposizione dal +17% al +54%. In particolare per il cancro del colon-retto il rischio è compreso tra il + 32% e il +147%, per lo stomaco tra il +75% e il +188%, per il cancro della mammella tra il +10% ed il +116%. Per i sarcomi, considerando insieme i due sessi, il rischio aumenta di oltre il 900%".

Ed ecco le nostre osservazioni. Ovviamente, non entriamo nel merito stretto del dibattito scientifico. Semplicemente, constatiamo che, nemmeno tra gli studiosi della problematica, c’è consenso attorno agli impatti sanitari degli inceneritori. Questo richiederebbe un, condotto però non negli spazi ristretti dei laboratori scientifici, ma in quelli più ampi del dibattito pubblico e democratico.

E’ sconsolante rilevare, infatti, che la stragrande maggioranza dei cittadini, compresi quelli esposti al rischio, non conosce i contenuti del dibattito, né per lo più sarebbe ad oggi in grado di comprenderli.

Concludiamo guardando alla nostra Provincia. L’inceneritore di Ischia Podetti è dietro l’angolo. Possibile che, al di là delle solite (poche) lodevoli eccezioni, i medici (soprattutto loro), i rappresentanti politici, gli amministratori e la cittadinanza locale in genere non abbiano sentito e non sentano il bisogno di animare il cruciale dibattito attorno al controverso tema degli impatti sanitari dell’incenerimento?