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Amore bambino

La novità della quarta elementare fu che, rientrata dalle vacanze estive, mi accorsi che un bambino di nome Enrico mi era diventato più simpatico e mi piaceva giocare con lui. Abitavamo vicini e andavamo nella stessa scuola; eravamo coetanei, ma lui mi precedeva perché andato a scuola un anno prima. Molti pomeriggi si andava insieme a giocare nella casa di Patrizia, di fronte alla nostra, probabilmente lì avrò detto che Enrico mi piaceva. Me ne accorsi qualche giorno dopo, quando a mezzogiorno mi aspettò al cancello della scuola con aria truce. La strada da fare era la stessa, aspettò che m’incamminassi per prendere la mira e tirarmi sassi nelle gambe, bang bang. Raccoglieva sassi e sceglieva i più adatti, ripetendomi che non dovevo più dire che mi piaceva. È che allora non si facevano quelle domande stupide, diventate oggi consuetudine, come chiedere a un bambino se aveva già la fidanzatina.

Soprattutto non capivo che, mentre noi femmine crescevamo in altezza e cambiavamo dentro, c’era un’età in cui i maschi non ci sopportavano ritenendoci smorfiose o cretine. Percorrevamo tutta la strada, lui a lanciare, io a prendere sassate, colpevole di trovarlo un po’ più che simpatico. Ma la cosa grave era che mi sembrava quasi un onore che lui mi aspettasse tutti i giorni, anche se armato di sassi. Ecco - pensavo - gli piaccio, altrimenti non mi avrebbe atteso. E poi mirava basso, altra dimostrazione che teneva a me! Facevamo una tregua solo se nella pasticceria di strada ci regalavano le paste del giorno prima, perché le dividevamo e servivano le mani libere. Era tappa obbligata quel laboratorio di dolci, un viavai continuo di bambini, ma di lì a poco scoprirono che con le paste vecchie si facevano buoni (?) “puncetti” e si chiuse un’epoca.

In quel periodo facevo la raccolta di animali delle figurine Panini e con molta pazienza ero riuscita quasi a completare l’album. Avevamo un bel da fare, noi femmine con gli animali e i maschi con quelle dei calciatori. Ogni bustina veniva aperta con trepidazione, con la speranza di trovare quelle che mancavano. C’era di buono che con pochi soldini ero riuscita a farmi una bella riserva di doppie da scambiare. Arrivati quasi a completare l’album, si potevano richiedere alla Panini le cinque mancanti. Ma in verità me ne rimaneva ancora un’ultima, l’asino, talmente rara che non avevo speranze. Chiedevo a tutti, anzi, ormai tutta la scuola sapeva della mia figurina mancante. All’uscita di scuola un giorno mi fermò un ragazzino, che di vista conoscevo, Walter, molto alto già allora e che sarebbe diventato un gigante. Mi chiese timidamente se mi serviva quella figurina che mi mostrava: l’asino! Rimasi senza parole: un eroe tutto per me mandato dal paradiso delle raccolte mai finite. Subito gli offrii tutto il malloppo di doppie, ma lui non le volle, perché faceva la raccolta dei calciatori. Non sapevo davvero cosa dargli in cambio, perché lui con un gran sorriso non voleva nulla.

Oltre quarant’anni dopo - mai più pensato o incontrato Walter - un giorno un amico comune mi porta i suoi saluti, ma non sa dirmi nulla oltre al nome. Troppo poco, non lo ricordo proprio, ma qualche giorno dopo mi chiarisce che era quello dell’asino. Non conosco nessuno che ha l’asino, ribatto. Ridendo mi spiega che era quello che mi aveva portato sorridendo la figurina più preziosa della mia raccolta.

Ci siamo poi rivisti con l’amico in comune e ho avuto modo di sapere che ero stata il suo primo amore. Aveva una cotta per me e ogni giorno aspettava che uscissi da scuola, solo per vedermi. Ricordava il colore del mio cappotto di allora e quello del nastro con il quale legavo i capelli. Aveva mobilitato un’altra scuola per cercare la figurina che mi mancava. Teneramente mi ha aperto una finestra sul suo mondo infantile, fatto di sogni e fitte al cuore.

Mi commuoveva il sentimento provato per me e nello stesso tempo invidiavo quella confessione. Qualche anno prima mi era capitato di trovarmi vicino a un medico per il quale avevo perso la testa diversi anni prima, e avevo voluto dirglielo con parole semplici, senza enfasi. Fatica inutile, perché lui, pragmatico, pensava soprattutto all’occasione mancata, a ogni lasciata che è persa.

Precoce cominciò allora quel primo amore che fa soffrire, quei sassi che scambi per interesse. Di amori belli, felici e corrisposti non credo di averne avuti. O meglio, uno sembrava lo fosse, ma era clandestino, e mi è costato talmente tanto da rovinarmi la vita, così alla sassaiola continua ho preferito la solitudine.

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Commenti (2)

Iotintadiaria

Buongiorno Silvano. Il suo commento mi ha fatto molto piacere e anche la sensibilità con la quale ha colto la mia tristezza. Emozione che va e viene proprio come la marea e credo sia più evidente in particolari periodi dell'anno. Quelli dove i dolori dati dalla malattia urlano, seguendo i mutamenti continui e repentini del tempo, rendendomi certe giornate molto critiche. Ho ancora qualche speranza, non intendo assolutamente lasciarmi andare, sono certa troveranno qualche sostanza che magari si usava per la calvizie o i reumatismi, che mitigherà i miei dolori. Grazie mille per la sua gentilezza e buona vita! Nadia

Silvano

Buon giorno, sabato ho partecipato all' incontro presso l' Ente Friuli, alla presentazione del suo libro. Appena tornato a casa mi sono messo a leggerlo, non riuscivo a smettere.
Mi è piaciuto molto, anche se l' ho trovato un po' triste,però con un fondo di speranza. Sono anch'io una persona diversamente abile, e in molte cose che lei racconta mi ci sono immedesimato, specialmente dove racconta dei .periodi passati negli ospedali.Le persone che soffrono, hanno un qualcosa in più delle altre e cioè la sensibilità.
Grazie ancora.
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