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QT n. 17, 11 ottobre 2003 Servizi

Il niet a Casanova: perché la sinistra ha (giustamente) perso

E’ giusto indignarsi per l’esclusione di Casanova. Ma è bene riflettere sul perché di questo epilogo e su cosa fare dopo il 26 ottobre.

Una premessa è doverosa, per non essere fraintesi. Il fatto che Lorenzo Dellai abbia sbarrato la strada alla candidatura di una persona come Luigi Casanova, quasi uno stereotipo dell’idealista, impegnato da sempre sui temi della pace, dell’ambiente e dell’aiuto ai più deboli, quando tra gli oltre 300 candidati della coalizione di centrosinistra figurano - ahinoi - bifolchi, bavosi, razzisti, trasformisti, voltagabbana ed ogni altro genere di personaggi da circo … beh, tutto ciò è quantomeno sconcertante. Oltretutto, la reazione di Casanova a seguito dell’esclusione ("Sosterrò ugualmente la sinistra e Dellai"), ha messo in evidenza quanto sia una "persona per bene", dotato di stile e di classe da vendere. Chissà se a Dellai non è venuto qualche senso di colpa.

La pietra dello scandalo: Luigi Casanova.

Fatta questa premessa, cerchiamo di capire meglio cosa è accaduto. La versione più in voga sull’esclusione di Casanova è che si sia trattato di un atto di arroganza di Dellai, al quale i Ds non hanno avuto il coraggio di opporsi. Le cose, a parere di chi scrive, sono andate diversamente.

A differenza di quanto molti sostengono, quello di Dellai non era un bluff, ma una prova di forza da una posizione di forza.

I sondaggi accreditano Dellai al 60%, il suo diretto rivale (Andreotti) al 28%, mentre il contributo della Quercia alla coalizione di centrosinistra è stimato attorno al 17%. Fatti due conti, si capisce che, anche senza la sinistra, Dellai avrebbe vinto ugualmente, e con un margine di ben 15 punti su Andreotti. Tra l’altro, in caso di rottura, molto probabilmente la sinistra si sarebbe spaccata ed una quota consistente dei suoi elettori avrebbe ugualmente votato per Dellai (sono gli effetti, peraltro sacrosanti, della logica maggioritaria). E come non bastasse, rompere sarebbe stato per Dellai anche conveniente: il premio di maggioranza lo avrebbero spartito tra meno commensali.

Qualcuno ha sostenuto che Dellai non avrebbe mai potuto permettersi di passare per l’affossatore dell’Ulivo, creando oltretutto una cesura con quanto avviene a livello nazionale. In realtà, è vero l’opposto: archiviare l’Ulivo, rompere con la sinistra più radicale, differenziarsi dalle logiche nazionali, erano esattamente gli obiettivi indicati nel congresso della Margherita nel quale fu lanciata la Casa dei trentini. Insomma, ciò che a sinistra si riteneva sarebbe stata un’onta, nel resto della coalizione sarebbe stato un vanto.

Si è anche sostenuto che Dellai non avrebbe rotto perché poi, alle elezioni politiche, avrebbe avuto bisogno dei Ds per eleggere i parlamentari della Margherita, per non parlare del progetto Prodi della lista unica alle europee. Ma questi problemi, semmai, avrebbero dovuto rubare il sonno ai Ds: dopo un’eventuale rottura sarebbero stati costretti a ricucire, ma da una posizione di debolezza.

Infine, si è anche discusso sulla legittimità dell’intrusione del candidato presidente nella formazione di una lista della sua coalizione, sull’autonomia dei partiti di decidere liberamente i propri candidati, sugli effetti perversi del nuovo sistema elettorale. Anche qui, però, queste considerazioni non stanno in piedi: ancorché contestabile nel merito, l’aut aut di Dellai era legittimo ed anzi normalissimo. La nuova legge elettorale non impedisce a chicchessia di candidarsi e nessuna legge elettorale può costringere una persona a fare un’alleanza con un’altra persona, se non lo vuole. Insomma, nel momento stesso in cui una lista sceglie un candidato presidente (e la finestra di tempo per provare a cambiare candidato si è chiusa un anno fa), questa gli cede di fatto anche una parte della propria sovranità. O, per dirla altrimenti, nel momento in cui si aderisce ad una coalizione, questa prevale sui partiti. E tutto questo, oltretutto, è un bene, non un male.

In definitiva, di fronte all’impuntatura di Dellai su Casanova, alla Quercia rimanevano solo due possibilità: tenere duro e finire all’opposizione con due o tre consiglieri, oppure cedere e ambire a conquistare sei o sette consiglieri della maggioranza. A questo punto, la sinistra ha compiuto esattamente la scelta compiuta, a suo tempo, da Costruire Comunità: meglio tentare di cambiare questo centrosinistra standoci dentro, piuttosto che condannarsi alla pura testimonianza.

Come diceva Clint Eastwood in un celebre film di Sergio Leone, "il mondo si divide in due categorie, quelli che hanno una pistola carica e quelli che scavano". Ecco, di fronte all’aut aut di Dellai, alla sinistra non rimaneva altra scelta che quella di scavare.

Alla luce di quanto detto sin qui, si può dare un giudizio più sereno sull’intera vicenda. Anzitutto, è sbagliato imputare ai "riformisti" di Olivieri e Raffaelli - come qualcuno ha fatto - la responsabilità di aver spinto la Quercia verso la sconfitta. Al contrario, essi hanno avuto per qualche giorno l’occasione di fare il colpaccio, di realizzare il progetto per il quale, qualche mese fa, erano nati: sostituirsi ai Ds, rubare loro metà dei voti, mandare Olivieri a fare il vicepresidente della Provincia. Per qualche giorno i riformisti hanno insomma avuto in tasca un biglietto vincente del Superenalotto, ma ciò nonostante hanno deciso di non andare a ritirare il premio. Anziché lavorare per lo sfascio, si sono impegnati per ricucire, inducendo i Ds a "tagliare" Casanova, con Olivieri a dare il buon esempio con la sua rinuncia alla candidatura.

Il leader dei "Riformisti", l'on. Luigi Olivieri.

Anche Dellai, da parte sua, si è adoperato per evitare il peggio. Tutto il resto della coalizione lo consigliava di rompere con la Quercia: avrebbero vinto lo stesso, a parità di voti avrebbero preso più seggi, avrebbero avuto più assessorati in Giunta. Ed invece, Dellai non ha usato, come avrebbe potuto fare, il caso Casanova per rompere con la sinistra, ma ha lavorato per rimettere insieme, pazientemente, i cocci.

Il tanto accusato Mauro Bondi, infine, in questa vicenda ha fatto l’unica cosa che poteva fare, non avendo altra scelta.

Tutto bene quindi? No. Nient’affatto.

Ul di là di Casanova, rimane il grosso problema della poco convincente linea politica di questo centrosinistra trentino, che registra un grave deficit di innovazione. E questa situazione è da ricondursi proprio allo sterile contributo della sinistra alla formazione delle decisioni strategiche della Giunta.

Se sul caso specifico della candidatura di Casanova non v’era altra possibilità che quella di cedere, rimane dunque da chiedersi per quale motivo la sinistra, dopo cinque anni di legislatura al governo della Provincia, si sia ridotta a non avere pressoché alcun potere di contrattazione, a non avere un ruolo riconoscibile, ad essere trattata come uno zerbino dagli alleati. Rimane da chiedersi, insomma, come e perché Dellai abbia "piallato" la sinistra.

A questa domanda sono state date due diverse risposte.

La prima è quella secondo cui Dellai è forte perché gioca sporco (mette i suoi uomini nei posti di potere, è incline al clientelismo e così via) e perché la sinistra si è fatta comprare.

In questa analisi c’è una parte di verità, ma non serve a risolvere il problema: proprio la vicenda della candidatura di Casanova ha dimostrato che non è con una maggiore dose di coraggio nell’opporsi a Dellai che la sinistra può uscire dal cul de sac nel quale si trova da qualche anno.

La seconda possibile risposta è che la forza di Dellai (e della Margherita) è proporzionale alla debolezza degli altri. Dellai è forte perché la stragrande maggioranza dell’opinione pubblica - checché ne dicano i mezzi d’informazione - riconosce in lui capacità di governo, o quantomeno ne riconosce in lui (molta) più che in altri.

A giudizio di chi scrive il punto è proprio questo: la sinistra è debole perché l’opinione pubblica non la riconosce (più) né come una forza di governo, né come una forza della modernizzazione.

La storia di questa legislatura è stata un continuo ripetersi di una scenetta di questo tipo: Dellai propone due idee; né l’una né l’altra piacciono alla sinistra; la mediazione porta a far passare un’idea ed a bloccare l’altra; dopo un mese Dellai propone altre due idee, quella che non era passata il mese prima più un’altra; la sinistra le respinge ancora una volta entrambe e alla fine si media facendo passare l’idea vecchia e bloccando quella nuova. Avanti così all’infinito. La sinistra ha ceduto sugli impianti in Val Jumela in cambio del no alla Pinzolo-Campiglio, poi ha ceduto sulla Pinzolo-Campiglio in cambio del no alla PiRuBi, ora si è ceduto anche sulla PiRuBi.

E’ ovvio che questa passività della sinistra produce come unico effetto quello di litigare continuamente coi propri alleati (perché si rallenta l’azione di governo) e quello di frustrare continuamente la propria base (perché si perde sempre, sebbene a rate).

Il Presidente della Pat Lorenzo Dellai.

La sinistra, insomma, è stata al governo comportandosi come un partito d’opposizione: anziché farsi carico della responsabilità di governare, ha giudicato il modo di governare di Dellai. Sulla costruzione delle alleanze, anziché preoccuparsi essa stessa di rafforzare il centrosinistra trentino, la sinistra si è limitata a giudicare (negativamente, ma senza poterci fare nulla) le alleanze che andava costruendo Dellai. Si può anche condividere il fatto che il modo di governare di Dellai meriti un giudizio non lusinghiero, ma intanto lui governa anche per gli alleati, vince ogni elezione e tutti, sinistra compresa, si spartiscono ogni volta il bottino.

E’ significativo il fatto che la volta scorsa, nel ’98, i Ds avevano partecipato alla costruzione del programma elettorale del centrosinistra battendosi affinché fosse inserita la riforma elettorale, la riforma degli enti locali, la riduzione della presenza della Provincia nell’economia privata, ecc. Questa volta, invece, l’apporto della sinistra alla costruzione del programma della coalizione è stato la richiesta di togliere qualcosa, per la precisione è stato un "ni" (neppure un no!) al completamento dell’autostrada della Valdastico.

L’altro problema, si è detto, è che la sinistra in questi anni è stata carente sul piano dell’innovazione, non è stata percepita come una forza modernizzatrice, si è troppo spesso rinchiusa in posizioni nostalgiche.

Valga a questo proposito un paragone. Nei giorni scorsi un articolo dell’Espresso ha rivelato che Romano Prodi avrebbe già in tasca tre nomi per sconfiggere Berlusconi alle prossime politiche: Monti, Padoa Schioppa e Bazoli. Sono tre prestigiosi tecnici di fama internazionale, tutti e tre con esperienze maturate negli organi dell’Unione Europea. E’ ovvio che di fronte a Bossi, Castelli e Tremonti non c’è storia. Ciò che interessa qui è il fatto che Prodi abbia individuato, per battere la destra, tre personalità di quel tipo. Non ha scelto Nanni Moretti, Agnoletto e Cesare Salvi. Perché governare da sinistra oggi significa guardare al futuro con ottimismo, non con paura o rassegnazione.

Ecco, la sinistra trentina dovrebbe imparare da Prodi. Tornare ad avere l’ambizione di guardare avanti, di volare alto, di costruire il futuro, anziché continuare soltanto a (tentare) di opporsi alle proposte avanzate da Dellai. Non perché si debbano condividere quelle proposte, ma semplicemente perché se ne esce sempre perdenti, mentre è costruendo il futuro che si possono creare le condizioni per vincere anche le battaglie di ogni giorno. Sul turismo, ad esempio, il problema è progettare quale sarà l’offerta turistica tra dieci o vent’anni, intervenire sulle scelte strategiche della Provincia in quel settore, ben più che azzuffarsi (perdendo) sulla singola opera, per quanto sbagliata. E soprattutto, su questo come su altri settori, a poco serve continuare a lagnarsi sui danni ambientali e sociali provocati dalla logica di mercato: il mercato c’è, lo sviluppo è una necessità, e compito di una sinistra di governo dovrebbe essere quello di far passare l’idea che si può creare più sviluppo, più ricchezza, tutelando l’ambiente e rafforzando la coesione sociale.

In questa legislatura in una sola occasione la sinistra si è comportata come una forza di governo e dell’innovazione, ha cioè proposto e si è battuta per un obiettivo di modernizzazione del Trentino: è stato sulla riforma elettorale (con la Cogo, prima alla Presidenza della Regione, sulla norma transitoria, poi in commissione provinciale, sulla legge elettorale). Guarda caso, nonostante l’iniziale scetticismo di Dellai e di tutte le altre forze politiche (a parte i Verdi), quella battaglia è proprio l’unica che è stata vinta, pienamente.

I più pessimisti diranno ora che Dellai non accetterà mai una politica di modernizzazione del Trentino, poiché il suo consenso si fonda sul clientelismo, che può esistere solo in una provincia che rimane arretrata. Su questo punto, anzitutto, va detto che ciò che la sinistra (ed anche chi scrive) definisce (giustamente) clientelismo, per il "centro" di matrice cattolica significa occuparsi della comunità, difendere le proprie imprese ed i propri lavoratori, risolvere i problemi di ogni giorno dei propri concittadini. C’è insomma una visione paternalistica della politica, che certo è arretrata, ma di fronte alla quale è necessario fare lo sforzo di considerarla per quello che è: una linea politica arretrata, non necessariamente una prova di disonestà.

In secondo luogo, va detto che sinora nessuno della sinistra si è seduto ad un tavolo con Dellai proponendogli - per fare un esempio - di nominare un Demattè super-assessore all’economia, col compito di riformare le politiche pubbliche allo scopo di rendere più aperto, dinamico e forte il mercato trentino.

Nessuno, quindi, può oggi sapere come reagirebbe Dellai di fronte alle proposte di una vera sinistra riformista. La domanda "si può trasformare Dellai in un riformatore?" è dunque ancora senza risposta, ma la sinistra (compresa Costruire Comunità) è l’unica che ha il dovere di crederci, altrimenti non si spiegherebbe il suo appoggio a Dellai (a meno di non confessare che quell’appoggio è stato dato solo per convenienza).

In conclusione, la vicenda dell’esclusione di Casanova può essere servita per mettere a nudo la debolezza della sinistra: le ha sbattuto in faccia quanto sia inconsistente, al punto che figurerà tra i vincitori quasi solo per gentile concessione di Dellai, che non l’ha cacciata dalla coalizione. Se da qui la sinistra troverà le motivazioni per cambiare rotta, allora anche il "sacrificio" di Casanova sarà servito a qualcosa.

E la rotta che la sinistra deve intraprendere è quella di tornare a proporsi come forza della modernizzazione, fiduciosa del fatto che con questa bussola si riuscirà a contribuire maggiormente alla definizione della linea politica del governo provinciale.

Qualcuno ha forse un’idea migliore?