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QT n. 5, maggio 2024 Trentagiorni

Una mezzoretta in barca

Pian piano le criticità del progetto Ciclovia del Garda cominciano a diventare, come si dice ormai, mainstream. Ovvero sempre più persone vanno a vedere cosa c’è veramente dentro un progetto che finora godeva della narrativa del “andare in bici è bello e salva l’ambiente”. E scoprono che l’idea in teoria poteva essere bella, ma la sua applicazione concreta è un rosario di enormi problemi di sicurezza, costi siderali e, nel tratto trentino della Ciclovia, comporta una vera e propria devastazione paesaggistica delle falesie del Garda.

In molti cominciano a capire che tagliare le falesie con megapasserelle di acciaio e cemento, scavare altri pezzi di montagna per allargare tunnel e infilare travi d’acciaio fin dentro il ventre delle rocce non è una buona idea. Considerata in primis la grande fragilità delle pareti che già adesso stanno franando con cadenze preoccupanti, ma calcolando anche i costi assurdi che questo comporterebbe. Si parla di cento milioni di euro per far fare ai ciclisti poco più di 5 chilometri di costa.

I primi a sollevare gravi dubbi sul progetto sono stati gli ambientalisti riuniti nel Comitato Interregionale per la tutela del Garda che da oltre un anno sistematicamente organizzano eventi, conferenze, manifestazioni in giro per le sponde del lago per raccontare tutte le falle del “Ciclomostro”, come ormai è stato soprannominato.

Lo hanno fatto anche sabato 20 aprile a Riva del Garda, con una manifestazione interlacuale (presenti ambientalisti non solo trentini, ma anche lombardi e veneti) che ha raccolto in piazza 3 Novembre, proprio sulla riva del lago, alcune centinaia di persone. Che possono sembrare poche, ma devono comunque aver sollevato dubbi a cerchi concentrici nell’opinione pubblica locale, visto che giusto pochi giorni fa anche il Consiglio comunale di Arco, quasi all’unanimità, ha votato un ordine del giorno in cui si chiede la completa rivalutazione del progetto.

E non solo: ad Arco appoggiano quella che, da sempre, è la proposta ambientalista. Per superare i tratti delle falesie si deve passare alla cosiddetta intermodalità, ovvero, per alcuni tratti, caricare la bici su una bella barchetta e ammirare le falesie dall’acqua.

Una volta finiti i discorsi, un bel gruppo di manifestanti, e noi con loro, ha voluto fare una prova: da Riva a Limone (il tratto incriminato) in barca. Poiché vale sempre il principio che le bellezze che si hanno a disposizione di solito non si vanno a vedere, non avevamo mai visto quel tratto di costa dall’acqua.

Possiamo garantire a tutti, ma soprattutto ai ciclisti più sfegatati, che il paesaggio di cui si gode - per ora ancora intonso, ma non per molto se il progetto non verrà fermato - lascia letteralmente stupefatti. L’imponenza e l’intensità delle falesie ci hanno tolto le parole di bocca.

Per questo ai ciclisti sfegatati (e il presidente Fugatti, grande sponsor del progetto, è uno di loro, lo sappiamo) consigliamo di fare quella mezzoretta sull’acqua. Capiranno subito che il gioco non vale la candela.

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