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QT n. 1, gennaio 2024 Seconda cover

La grande rapina della sanità

Con Paola Demagri di Casa Autonomia ripercorriamo i momenti salienti degli ultimi cinque anni in cui il nostro sistema pubblico è stato deragliato verso il privato. Senza dircelo

Pian piano comincia a farsi strada nella coscienza di noi cittadini/elettori/utenti una scioccante verità. Il sistema sanitario pubblico, quella cosa che abbiamo dato per scontata per tanto tempo, è a rischio. E improvvisamente abbiamo capito quanto valgono i nostri ospedali, dove possiamo andare anche se non abbiamo una lira, quanto sia prezioso trovare uno specialista quando ne abbiamo bisogno, quanto sia importante potersi curare senza condizioni.

I pericoli che minacciano questo strumento fondamentale per il nostro benessere sono di vario tipo e non ci metteremo certo qui ad elencarveli tutti.

Ma tra questi ce n’è uno sul quale dobbiamo fare un po’ di chiarezza. Stiamo parlando della privatizzazione strisciante che da tempo ormai affligge il sistema pubblico. Una spinta fortissima a spostare funzioni sanitarie dal campo delle strutture pubbliche verso strutture private.

Ce ne siamo accorti un po’ tutti negli ultimi tempi, perché sempre più per ottenere una visita specialistica o un dato esame in tempi accettabili abbiamo dovuto pagare di tasca nostra belle cifrette.

Intendiamoci: questo spostamento dal modello di sanità universale e gratuita (o quasi) per tutti verso un modello dove chi ha soldi può permettersi cure più tempestive (che nel privato le cure siano migliori è tutto da dimostrare) è un fenomeno che riguarda tutta l’Italia e anche oltre.

Quello che a noi interessa mettere in chiaro è che non è un fenomeno naturale: dietro questo spostamento ci sono ben precise scelte politiche (e ben precisi interessi economici di qualcuno). Ci sono decisori politici che hanno tolto finanziamenti al sistema pubblico e li hanno spostati sulle strutture private.

Questo è quello che è accaduto in Trentino negli ultimi anni. Trentino che negli ultimi tre anni è passato da spendere per la sanità più che nel resto d’Italia a spendere meno delle altre regioni.

Il problema è che nessuno l’ha detto chiaramente. Perché se Fugatti e i suoi compari in campagna elettorale (ancora nel 2018) avessero detto: guardate che toglieremo soldi agli ospedali, vi toccherà pagarvi visite ed esami specialistici, destruttureremo il sistema pubblico, difficilmente avrebbero avuto degli elettori.

E invece no: ci hanno ammorbato con la storia dei punti nascita che la giunta Rossi aveva chiuso (in situazioni dove nasceva un bimbo ogni tre giorni), ma poi, una volta al potere, hanno cominciato a dare mazzate. E non hanno ancora finito. Ma proprio perché i trentini ci hanno messo cinque anni a capire cosa stava succedendo, abbiamo deciso di riavvolgere il filo e andare a vedere quali sono stati i momenti in cui dovevamo accorgerci che le cose stavano cambiando sotto il naso. Così forse d’ora in poi saremo capaci di cogliere le vere dinamiche in atto. E magari, chissà, forse, scendere in piazza per fermare questo furto con destrezza.

Lo abbiamo fatto con Paola Demagri, consigliera provinciale di Casa Autonomia, che per esperienza personale il sistema pubblico lo conosce intimamente.

Quali sono stati i momenti in cui, nella scorsa legislatura, si sono aperte le porte al privato?

Mi sono resa conto abbastanza presto che probabilmente c’era un indirizzo politico silente, non dichiarato, che spingeva il sistema verso la parte privata.

La prima considerazione l’avevo fatta a ottobre 2019, quando vennero chiuse le cure intermedie: posti letto dedicati alle persone che vengono dimesse dall’ospedale, ma che non hanno una stabilità clinica e hanno bisogno di cura e assistenza prima che possano rientrare a casa. Di solito vi restano tre o quattro settimane e nel frattempo si vede se sono abbastanza stabili da stare a casa o nel frattempo è stato trovato un posto in casa di riposo, a seconda della situazione clinica. Sono posti fondamentali, perché sono la via di mezzo tra l’acuzia dell’ospedale e la cronicità che poi si può concludere a domicilio.

Allora le cure intermedie erano incardinate in via sperimentale alla Beato de Tschiderer (pubblica, n.d.r.) con una ventina di posti letto. Improvvisamente venne comunicato che questi posti letto venivano spostati al San Camillo (privata, n.d.r.).

Ovviamente noi come Patt ci eravamo interessati alla questione per chiedere all’assessora Segnana una spiegazionedi questa decisione e da lì venne fuori che l’assessora raccontava una versione, la presidente delle cure intermedie ne raccontava un’altra. Ma al di là del dibattito interno, quello che ci era parso allora inopportuno era il passaggio di venti posti letto che da dentro la de Tschiderer si trasformavano in undici posti letto dentro il San Camillo. Con un impegno economico diverso da una parte e dall’altra e una restrizione del posto letto che non era supportata da dati. Perché non veniva rilevato un sottoutilizzo di quei venti posti. Anzi, c’era sempre una lista d’attesa, come c’è anche oggi per questo tipo di posti letto.

Lì la vostra valutazione era che lo spostamento non avesse ragioni concrete.

Esatto. Si era completata la sperimentazione e allora alla fine della sperimentazione mi devi dire che quei posti letto sono sottoutilizzati, non hanno la funzione per la quale sono stati attivati, dal punto di vista clinico il paziente non è supportato. Insomma, mi devi dire delle cose per farmi capire che quella sperimentazione non funziona. Se invece questi posti letto li sposti in un’altra struttura che è privata convenzionata, significa che il tuo volere è altro. Allora il rischio era innanzitutto di mandare a casa 15 dipendenti che si occupavano dei venti posti letto e di avere la zona dedicata alla Beato De Tschiderer libera perché quei posti non erano stati tramutati in venti posti di casa di riposo. Se io non trovo una motivazione solida e trovo una decurtazione dei posti letto e se oggi hanno aperto Tione alle cure intermedie, significa che quei posti servivano.

Quello fu per noi il primo momento in cui riflettemmo su quale era il reale indirizzo della giunta.

Altri esempi?

Paola Demagri

I finanziamenti deliberati a blocchi di 2 milioni di euro da dare ai servizi che erogano visite private in modo tale che potessero incrementare il numero di visite. E conseguentemente a questo, la giunta aveva dato l’indicazione che l’utente che si rivolgeva a un privato esterno poteva chiedere il rimborso. Se io utente andavo a fare una visita privata dentro l’Azienda sanitaria non potevo chiedere il rimborso, ma se mi rivolgevo al privato invece potevo chiedere il rimborso, seppur parziale. Questo avvenne subito dopo il Covid e la motivazione era che servivano ad aumentare la disponibilità di visite in modo da abbassare il cumulo di visite sospese a causa del Covid. Quello sarebbe stato invece il momento in cui riversare quei milioni dentro l’Azienda sanitaria, potenziando lì l’attività ambulatoriale, anche dando un sostegno economico al personale affinché erogassero ancora più visite. Se quei soldi li investi sul personale dell’Azienda sanitaria è come una forma di riconoscenza e di mantenimento dentro la struttura sanitaria provinciale di molte attività.

E poi in quest’ultimo anno è stato rilasciato un altro blocco di soldi su Tac e Risonanze magnetiche per ridurre i volumi delle liste d’attesa. Per quelle, c’era un comunicato stampa della Provincia che diceva che sarebbero state rimborsate le Tac e le Risonanze magnetiche effettuate in regime privatistico. Questo veniva previsto già dal 2022 per le prestazioni con le maggiori liste d’attesa.

Voglio sottolineare che la nostra Azienda sanitaria non è sprovvista di strumentazione radiologica. Ha una strumentazione importante e sottoutilizzata, ad esempio, a Cavalese.

A Cavalese, molto recentemente, c’è poi un ennesimo esempio. C’è una delibera del 25 ottobre a firma del dottor Ruscitti (dirigente dell’assessorato alla Sanità, n.d.r.) che concede l’accreditamento ad una struttura privata a Tesero per l’attività diagnostica per immagini (risonanza e radiologia) e assistenza specialistica in ortopedia. Io sono andata a vedere il sito di questa azienda, che si chiama Dolomiten Trauma Clinic, dove comunque fanno anche visite otorino, sportive eccetera. Nella delibera si dice che i pazienti possono rivolgersi lì per le risonanze magnetiche. Ma a Cavalese abbiamo una risonanza magnetica chiusa da mesi! Perché devi accreditare una struttura privata a Tesero, quando a Cavalese c’è una risonanza magnetica chiusa? Ma sistemerò ben il pubblico per primo! La questione della risonanza di Cavalese è stata sollevata più volte, anche da Filippo Degasperi, negli ultimi cinque anni. E fin dall’inizio era sottoutilizzata, non c’era personale e non si facevano le risonanze. Questa cosa stride. Lì c’è un’apparecchiatura sicuramente performante che non viene utilizzata e poi viene autorizzato un privato. Io non ho nulla contro il privato. Ma questa logica non mi piace.

Facciamo qui uno stop chiarificatore. La parola magica per ogni struttura privata è “accreditamento”. Perché quando parliamo di privati non intendiamo semplicemente gente che si apre la sua clinichetta e offre i suoi servizi a chi paga di tasca propria. Parliamo prevalentemente di gente che apre una clinichetta e poi, disperatamente, cerca il cosiddetto “accreditamento”, ovvero chiede che gli utenti del servizio sanitario pubblico vadano a farsi curare nella clinica privata e che le relative parcelle vengano saldate dal sistema pubblico.

Ci fu un caso che riguardò anche la clinica Solatrix di Rovereto?

Anche questo caso è del 2019. Ai tempi della giunta Rossi, la Solatrix aveva chiesto più volte l’accreditamento delle sale operatorie, che fu sempre negato perché non veniva considerato necessario. Appena insediata la giunta Fugatti viene rifatta la domanda e lì ci fu l’autorizzazione per le sale operatorie. In particolare per urologia, ortopedia e chirurgia bariatrica. Che sono tre specialità di cui non c’era carenza nella nostra Azienda sanitaria. Tra l’altro quella ortopedica è trasversale praticamente in tutti gli ospedali. C’è un dipartimento funzionante dal punto di vista dell’ortopedia.

A Tione c’è un’ortopedia sulla quale si dice che non ci sia nemmeno lista d’attesa e questo fa sì che per esempio gli urologi oggi vadano a Tione a lavorare. Anche questi spostamenti dentro l’azienda, poter spostare i professionisti da un ospedale all’altro se non hai lista d’attesa, può funzionare. Teniamo presente che urologia è un settore in cui siamo all’avanguardia: abbiamo la robotica in questo ambito. Ed è l’unico settore in cui c’è, quindi significa che un investimento è stato fatto. Perché c’è bisogno di un accreditamento al privato?

La bariatrica si fa, ci sono tre o quattro specialisti che la fanno. E non credo che tutti i giorni ci siano pazienti da bendaggio gastrico. La questione è che io sto attirando pazienti da fuori regione, utilizzando i nostri fondi, per dopo chiedere il rimborso? Allora ragioniamo prima sull’utilizzare al meglio i nostri professionisti e le nostre strutture.

Tutti questi casi mi fanno supporre che ci sia un indirizzo politico che guarda verso il privato, ma che non è manifestato.

Non viene dichiarato, però c’è.

Io vorrei un governo che mi dice qual è l’obiettivo. Invece la modalità operativa è da sottobosco. E tu, cittadino, lo scopri solo perché metti mano al portafoglio. Io non trovo che ci sia un dolo (che sia illegale, ndr) in questo, ma trovo che ci sia un dolo sociale. Ad esempio, se vai al sud, le donne vanno a partorire nella clinica privata e per loro è normale. Da noi è impensabile andare a partorire in clinica. Noi diciamo: io partorisco nel mio ospedale! C’è una condizione culturale nostra che in passato è sempre stata supportata dalle politiche. E noi riteniamo che questo debba continuare.

Abbiamo parlato di assistenza anziani, attività diagnostica con strumentazione e ortopedia. Mancherebbe cardiologia. Sono i quattro settori in cui il privato tende a lavorare perché sono redditizi.

Perché questi? Perché sono pacchetti di prestazioni che mi consentono di tenere ancorato l’utente. Tu privato non te lo prendi un oncologico, perché lo perdi. Perché sta lì mesi, perché è impegnativo dal punto di vista assistenziale, perché servono farmaci ancillari e anche molto costosi. Il paziente cardiologico è un paziente che farà un follow-up annuale e dopo un elettrocardiogramma e poi un holter e poi un’ecografia e poi una coronarografia e poi un controllo. Quindi segui quei pazienti che hanno un iter soprattutto di follow-up, ma che richiedono un impegno assistenziale molto limitato.

Poi c’è la questione che per legge nel privato non puoi gestire l’emergenza. Non esistono privati col pronto soccorso. Quindi nel privato c’è solo l’attività programmata dove sai in anticipo quando inizi e quando finisci (al netto di qualche eccezione). Allora posso incastrare più specialisti, più ambulatori e utilizzare al meglio le risorse.

Tra privato e pubblico c’è anche una differenza di visione del paziente?

Certo. Il privato è “prestazionale”, mentre il pubblico è “presa in carico” e fa un percorso.

La grossa differenza è questa. Nel pubblico io mi aspetto che il paziente sia preso in carico e che possa fare un percorso che magari dura tutta la vita se ha la sfortuna di avere una patologia cronica. Perché va a prendersi i farmaci alla farmacia ospedaliera, fa gli esami di routine per tenersi controllato, riceve le strisce per il diabete che ha diritto a ricevere mensilmente, fa riferimento all’ambulatorio diabetologico perché si fa il controllo semestrale, porta le urine per vedere i valori. È un percorso anche multidisciplinare in cui uno si sente inserito. Nel privato invece c’è la “prestazione” e quindi “numeri”, ed è questa la grossa differenza. Noi cosa vogliamo? Vogliamo la presa in carico dell’utente. Vogliamo che il nostro cittadino dalla nascita in poi sia seguito, a partire dalla visita pediatrica, poi quando va a scuola la visita ortottica e poi quella odontoiatrica e poi quella sportiva. È un percorso che accompagna tutti, malati e sani, nell’arco di una vita. Questa è la mia idea di servizio sanitario.

E poi, hai mai visto privati che fanno prevenzione? Perché fare prevenzione significa comunque fare un grosso investimento (e perché il privato guadagna se siamo malati, non se siamo sani, n.d.r.), significa andare a cercare l’utente, gli screening sono costosi. Io pubblico, voglio la salute del mio cittadino, perché è una mia vocazione. E devo andare a cercarmeli, li devo convincere a venire, gli devo mandare le lettere, gli devo fare i solleciti e devo far trovare dei percorsi ben codificati dentro i quali si incammina. Questo è l’impegno del pubblico per come è nato il servizio sanitario nazionale. Finora è sempre stato così. Il problema è se non è più così.

E se questa giunta volesse smentire di essere indirizzata al privato lo potrebbe fare per esempio nell’ambito della gestione degli anziani. Con tutte le case di riposo che hanno posti a pagamento a 3.800 euro al mese e con le stesse case di riposo che stanno dicendo: “Per noi è difficile chiedere alla gente di pagare questa cifra”. Se l’attuale assessore Tonina avesse in testa di rendere il più possibile pubblico il nostro servizio sanitario - nel settore anziani - dovrebbe trasformare in normali tutti i posti che ci sono in libera professione nelle case di riposo che, se non ricordo male, sono circa 300 su tutto il Trentino.

In Inghilterra, dove quanto a disastri sociali sono molto più avanti di noi, da almeno tre anni la gente scende in piazza a migliaia con i cartelli “Giù le mani dal sistema sanitario nazionale”. E se smettessimo di lamentarci (perché ci lamentiamo, diciamocelo) e andassimo in piazza Dante a fare un po’ di rumore?

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