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QT n. 1, gennaio 2024 L’editoriale

La miserabile “legge bavaglio”

Non si potranno pubblicare “in integrale o per estratto” i testi delle ordinanze di custodia cautelare. Che vuol dire? Che di fronte a un arresto, il giornalista non potrà pubblicare le motivazioni con cui il giudice ha preso il provvedimento. Questo il contenuto di un emendamento presentato dall’on. Enrico Costa di Azione, ed approvato dai partiti di maggioranza più Azione e Italia Viva.

Non vogliamo qui parlare dei risvolti politici, o meglio, partitici, dell’operazione: da una parte la destra tradizionalmente giustizialista se non forcaiola che, una volta arrivata al governo, scopre quanto per i potenti è comoda l’impunità; e dall’altra i partitini personali, lo scombinato Azione del narciso Carlo Calenda, e Italia Viva, propaggine parlamentare dell’ego di Matteo Renzi, che marachelle e disinvolture ne ha diverse sul groppone.

A noi, oltre queste miserie (che però contano) interessa la ratio del provvedimento, e le conseguenze, sulla libertà e sulla società.

Le motivazioni addotte sono le solite: il diritto alla privacy, nella fattispecie quella del povero cittadino che, colpito dalla giustizia, si trova esposto a un “tritacarne giudiziario-mediatico” che ne compromette l’onorabilità. Per sempre: perché l’arresto fa notizia, l’assoluzione passa sotto silenzio.

In tutto questo, oltre l’inveterato schema per cui la mitica “privacy” viene utilizzata per annullare la trasparenza (la “glasnost” avrebbe detto Gorbaciov), in questo dicevamo, c’è anche del vero. E non a caso una serie di sentenze ha delimitato la possibilità di utilizzi incongrui, sfacciatamente parziali, delle informazioni contenute negli atti giudiziari.

Perché il problema è di grande momento. In sostanza: si vuole la libertà di stampa, sì o no? L’opinione pubblica può conoscere quanto avviene nei tribunali o deve essere tenuta all’oscuro?

L’interrogativo è ancora più stringente quando, dai fatti che riguardano i politici si passa ai fatti di mafia. E qui arriviamo a noi, al processo “Perfido”. Questotrentino per oltre un anno pubblicò servizi sulle “Infiltrazioni mafiose in Trentino” (dal titolo della prima puntata del nostro dossier) basandosi su nostre inchieste condotte nel distretto del porfido.

Quando poi, nell’ottobre del 2020, scattò l’operazione “Perfido” e fu disponibile l’ordinanza cautelare che la motivò, fummo in grado di approfondire ed ampliare le nostre conoscenze, e di conoscere dal vivo, attraverso le intercettazioni riportate nell’ordinanza, il carattere, la cultura, le complicità dei supposti ‘ndranghetisti. Potemmo così descrivere un mondo, che si era incuneato nella società e in essa aveva trovato aderenze, acquiescenza, supporto. Chi voleva saperlo, ne poteva venire a conoscenza.

Di qui, oltre agli articoli, anche le conferenze, gli interventi nei circoli culturali, nei sindacati, nelle scuole, e poi le rappresentazioni teatrali.

Questo è un punto basilare. Tutti infatti, chi in buona e chi (per depotenziare il momento giudiziario) in mala fede, dicono che la mafia la si sconfigge non solo e non tanto nelle aule giudiziarie (dove comunque si svolge la prima decisiva battaglia), ma nella società. Orbene, questo come sarebbe possibile se non si potesse scriverne? Di qui l’evidente miseria di queste posizioni.

Ci sentiamo di condividere una frase di Antonio Gramsci: “So che dovrei cercare di mettermi nei vostri panni ma, scusatemi, non posso: sono troppo sporchi”.

Per questo sosteniamo con il massimo convincimento la serie di proteste che le rappresentanze della stampa stanno portando avanti in molteplici sedi contro la legge bavaglio.

Anzi, a nostro avviso bisognerà andare oltre. Se il criminogeno emendamento Costa diventasse operativo, occorrerà praticare forme di disobbedienza civile.

Di fronte a chi ti priva della libertà, non si può rimanere inerti.