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La libertà di stampa ha dei limiti?

Dovrebbe averli, ma quando c’è di mezzo la concorrenza...

T radizionalmente, i giornalisti sono strenui difensori della libertà di stampa. E dunque, quando lo Standard di Vienna, il 10 maggio, pubblica un editoriale intitolato "Ma a tutto c’è un limite" (cioè va bene la libertà, ma non tutto dovrebbe essere permesso), qualcosa di grave dev’essere successo. E non parliamo di caricature del Profeta che potrebbero offendere i cittadini di fede islamica; allora, la stampa austriaca al gran completo difese la libertà di pubblicare disegni anti-religiosi, fino a mettere in questione la libertà altrui di praticare in santa pace la propria religione; in fin dei conti, integrazione vuol dire anche accettare la laicità dello Stato, il pluralismo religioso e la libertà di ironizzare sulla fede. Stavolta si trattava di gravi infrazioni contro i diritti della persona. Non c’entrano i soliti paparazzi e il ministro con l’amante in costume da bagno. Si tratta del "mostro" di Amstetten e soprattutto della sua famiglia.

Un crimine spaventoso: nella cittadina di Niederösterreich un ingegnere ha incarcerato per oltre un decennio sua figlia nel sotterraneo della casa di famiglia all’insaputa della moglie e l’ha ripetutamente violentata, procreando 5 figli, alcuni dei quali poi quasi "adottati" in famiglia; il martirio della figlia è venuto alla luce solo quando, per una malattia grave, l’ha ricoverata in ospedale.

Una festa, naturalmente, per la cronaca nera: titoli cubitali, pagine intere sulla vicenda, inviati speciali che assediano l’ospedale, fotografi aggrappati ai rami degli alberi… Insomma, un circo mediatico.

Ma alcuni giornali, sin dall’inizio, hanno stampato il nome completo del "mostro", in barba alla costituzionale presunzione di innocenza, che dovrebbe valere anche per i "mostri", ed anche quando sono rei confessi. Va bene, non sempre i giornali, anche i più prestigiosi, si limitano a scrivere che un certo Friedrich F. sarebbe sospettato di aver commesso un certo delitto. Se per caso c’è di mezzo l’interesse pubblico, mettiamo un ministro in odore di corruzione, abitualmente c’è sempre il nome per intero e la foto e si dimentica di usare il condizionale. D’accordo, la polizia stessa, in cerca di testimoni che aiutino a chiarire certi retroscena, ha menzionato nome ed indirizzo; quel "mostro", però, ha una moglie, dei figli, la figlia violentata, tutte vittime di un delitto enorme. Il "diritto di cronaca", per una stampa responsabile, e perfino per il servizio publico radiotelevisivo, non può legittimare la violazione della privacy delle vittime.

Come non bastasse, il quotidiano Österreich e il settimanale News hanno pubblicato foto della moglie, della figlia violentata e dei piccoli, scrivendo poi che forse era una scelta discutibile, ma del resto avrebbero usato vecchie foto, sicché i figli, cresciuti, sarebbero stati difficilmente riconoscibili. Come scrisse lo Standard, l’apice dell’ipocrisia. Queste foto, come del resto anche certe altre del "mostro", pubblicate addirittura dalla TV di Stato, non hanno niente a che fare con un ipotetico "diritto di cronaca" o un diritto del pubblico "di sapere". Sparare in prima pagina foto del genere è disgustoso, ed è una grave violazione dei diritti fondamentali delle persone coinvolte. Avendo fatto trenta, News poi ha fatto trentuno, pubblicando la "confessione" dettagliata del crimine, che il "mostro" ha venduto al settimanale.

La libertà di stampa – per la quale si battono i giornalisti di tutto il mondo, e per la quale sono in prigione migliaia di giornalisti, dalla Cina alla Russia, qui non c’entra. Si tratta di cronaca di merda, offerta al Dio della Tiratura: una spudorata operazione di mercato addirittura nociva per la libertà di stampa. Come difenderla contro leggi liberticide, quando chi ce l’ha ne approfitta per pubblicare simili schifezze?

La concorrenza sul mercato, dunque, può essere nociva alle libertà fondamentali, o comunque non bastare per salvaguardare il pluralismo? Pare di sì. Recentemente, Pino de Cesare, della RAI di Bolzano e membro del Gruppo di Fiesole, in una conferenza tenuta a Innsbruck ha ricordato che nemmeno il relativo monopolio di Dolomiten e Alto Adige (l’uno per il gruppo tedesco, l’altro per quello italiano) riesce a limitare certi eccessi di cronaca nera. Del resto, uno studioso americano è giunto alla conclusione che la concorrenza fra le testate (a parte certi giornali di nicchia) non tende al pluralismo, ma all’uniformità. Chi vuole aumentare la tiratura deve mirare al centro, oppure al qualunquismo, al basso denominatore comune. Insomma, la stampa come impresa, come macchina per produrre profitto, non aumenta l’indice di libertà.

Appunto per questo, soldi pubblici per un servizio pubblico e per garantire il pluralismo mediatico sono più necessari che mai. Purtroppo però, in Austria come in Italia, leggi discutibili in materia fanno sì che la stampa di opinione, quella che più contribuisce al dibattito nella società civile, sia sfavorita anche nel campo del finanziamenzo pubblico. Come, appunto QT.