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QT n. 5, maggio 2021 Cover story

Il caso Avolio

Due procedimenti per associazione mafiosa in Trentino. E due indagini del CSM su magistrati “cari amici” degli indagati

NOTA PER IL LETTORE

Questo servizio è basato sul documento con cui il CSM illustra il procedimento a carico dei giudici Avolio, De Benedetto, Beghini, di cui vengono riportati ampi brani.

Per distinguere le fonti, abbiamo usato questi artifici grafici:

In tondo sono parole nostre.

In corsivo sono frasi del documento del CSM.

All’interno del documento, in corsivo grassetto sono testimonianze dei giudici auditi, o intercettazioni di soggetti terzi.

Riteniamo molto grave che nella vicenda delle infiltrazioni mafiose siano in qualche maniera anche se tangenziale, coinvolti personaggi delle istituzioni, e in particolare magistrati. Non siamo i soli ad esserne preoccupati; lo è pure l’organo di autogoverno della magistratura, il CSM, che in proposito ha svolto un’approfondita inchiesta, sfociata in provvedimenti e giudizi anche molto duri.

La vicenda a nostro avviso coinvolge una mentalità di totale sottovalutazione del pericolo mafioso, evidenziata dagli atti del Consiglio Superiore e che riguarda non solo i personaggi coinvolti, ma vari settori della società trentina. A questo proposito basti ricordare come, attorno alla figura del Presidente Guglielmo Avolio rimosso da Trento dal CSM con motivazioni sferzanti (“magistrato obiettivamente squalificato”) parte del Tribunale e dell’Avvocatura si sia stretta a coorte in una solidarietà di casta, che inopinatamente (stiamo parlando di operatori del diritto) alle valutazioni istituzionali ha sovrapposto ed anteposto amicizie personali e contiguità lavorative.

Molto male.

Non vorremmo che tale mentalità dilagasse nella società. Di fronte alla mafia (che non a caso taluni – vedi l’articolo precedente – si affannano a dire che non esiste) saremmo disarmati. Per questo riportiamo l’illuminante inchiesta del Consiglio Superiore e invitiamo i lettori a rifletterci sopra.

I due Presidenti: del Tribunale e della Cantina

Il CSM, prima ancora delle imbarazzanti amicizie rivelate dall’inchiesta Perfido e di cui poi parleremo, si occupa di un’altra vicenda, riguardante anch’essa presunti rapporti tra settori dell’economia trentina e la criminalità organizzata, questa volta la mafia siciliana. Il bersaglio è molto grosso: si tratta da una parte dei vertici della Cantina di Mezzacorona (una delle maggiori realtà vitivinicole a livello nazionale) e dall’altra degli eredi dei massimi vertici mafiosi, i cugini Salvo.

Più in dettaglio Fabio Rizzoli (già direttore generale e padre padrone della Mezzacorona) e Luca Rigotti (attuale presidente e uomo forte tra i boss della Federazione Cooperative), entrambi comunque manager di grande levatura, sono indagati dei reati di riciclaggio ed associazione mafiosa, per aver acquistato terreni ed edifici siti nei Comuni di Sambuca di Sicilia (Trapani) e Acate (Ragusa) “nella consapevolezza – riassume il CSM - sia della loro pregressa appartenenza ai noti esponenti mafiosi Antonino ed Ignazio Salvo, sia della loro appartenenza, nel momento dell’acquisto, a discendenti dei predetti cugini Salvo o a prestanomi degli stessi; con tale condotta, secondo l’ipotesi accusatoria, i compratori avrebbero consentito l’agevole sostituzione dei beni immobili dei venditori con danaro liquido, facilmente volatilizzabile e quindi difficilmente aggredibile non soltanto dai creditori ma anche tramite gli eventuali provvedimenti previsti dalla legislazione speciale antimafia”.

Nell’ambito di tale procedimento penale, tutt’ora pendente, di tali beni il Gip aveva emesso nel marzo 2020 un decreto di sequestro preventivo. Contro tale sequestro il Rigotti e le società proprietarie degli immobili posti sotto sequestro proposero riesame e la relativa udienza venne fissata per il 21 aprile 2020. “La trattazione di tale richiesta di riesame si presentava ‘piuttosto delicata’, così come riconosciuto dallo stesso dott. Avolio, sia per il rilievo economico dei beni oggetto di sequestro sia per la notorietà della Mezzacorona e del Rigotti, nel contesto territoriale e nel contesto enologico nazionale, sia per la gravità delle imputazioni, correlate a personaggi come i cugini Salvo che hanno segnato la storia criminale italiana”.

“Ci si sarebbe dunque attesi che la gestione di tale procedimento di riesame fosse avvenuta con particolare attenzione, serietà e correttezza, specie da parte del dirigente dell’ufficio. Invece - anticipa il CSM - il dott. Avolio, nella gestione di tale procedimento, ha tenuto una condotta complessivamente opaca e malaccorta”.

Qui dobbiamo spiegare un concetto poco familiare ai non addetti ai lavori, quello di “giudice naturale” (un diritto, sancito dalla Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo e contemplato dalla Costituzione): si tratta del giudice del tribunale competente, designato in maniera automatica in base alle tabelle che assegnano i processi. Questo automatismo è una garanzia per il cittadino, che non verrà giudicato da un giudice appositamente scelto per lui, bensì da uno designato sulla base di criteri precedentemente stabiliti. Bene, sulla base delle tabelle del Tribunale, a presiedere il collegio giudicante il riesame del sequestro, era il dott. Avolio. Il quale però, essendo per sua ammissione legato da un rapporto di buona conoscenzacon Luca Rigotti, si astenne, e venne sostituito dal dott. Giorgio Flaim.

Il fatto anomalo è che Avolio “non presentò una dichiarazione di astensione alla presidente della Corte d’appello, così come gli imponeva l’art. 36.4 c.p.p.; il dott. Avolio ritenne invece sufficiente defilarsi di fatto ed officiare verbalmente il dott. Flaim”. E questa è – oltre ad altri aspetti rilevati dal CSM e che omettiamo - un prima lesione delle procedure.

Poi, implacabile, il CSM prosegue: “Il dott. Avolio ha giustificato la propria omessa astensione sia per ragioni organizzative sia in omaggio ad una pretesa prassi ultraventennale presente nell’ufficio”.

I motivi organizzativi vengono liquidati come “affermazioni per nulla persuasive”.

“Quanto alla prassi esistente in ufficio, il dott. Avolio ha riferito che ‘negli ultimi vent’anni, per quello che sono riuscito a vedere in cancelleria, non è mai stata fatta un’astensione, diciamo dal 2000 in poi. Non è stata registrata nessuna dichiarazione di astensione… costituisce una prassi consolidata, da svariati anni, in senso al Tribunale del riesame di Trento, quella per la quale i magistrati procedono a reciproche sostituzioni nella composizione del Tribunale del riesame, senza formalità’”.

Il CSM bacchetta. Dal 2000 in poi “non è stata registrata nessuna dichiarazione d’astensione”? Ma pochi mesi prima, nell’ottobre 2020, fu proprio il dott. Avolio, in riferimento al riesame per l’operazione Perfido, a presentare “dichiarazione di astensione, accolta dalla presidente della Corte d’appello. In quel caso, le frequentazioni e la commensalità del dott. Avolio con almeno uno degli indagati (Giulio Carini) erano state ampiamente riportate dalla stampa, locale e nazionale”. In quel caso, scrive il CSM con vena ironica, “il dott. Avolio, nonostante la suddetta prassi ultraventennale, rispettò quanto prescritto dall’art. 54.3 c.p.p. e chiese di astenersi”.

Non basta. “Inoltre, al di là di tale considerazione, il punto è che il dott. Avolio, quale presidente del Tribunale, non avrebbe dovuto tollerare una prassi come quella da lui descritta, fortemente lesiva delle suddette norme processuali e dei princìpi fondamentali dell’ordinamento giudiziario”.

In conclusione: “il dott. Avolio non soltanto non ha in alcun modo contrastato tale distorsiva prassi ma l’ha alimentata, visto che egli stesso, che doveva vigilare sul rispetto della normativa tabellare, l’ha violata, per di più in un procedimento da lui stesso definito “piuttosto delicato”.

L’avvocato e onorevole Luigi Olivieri: “millantatore” secondo Avolio

Il tribunale di Trento

Non è finita. Il collegio giudicante avrebbe dovuto essere composto, oltre che da Giorgio Flaim al posto di Avolio, anche dalla dott.ssa Greta Mancini e dal dott. Massimo Morandini. Solo che al posto di Mancini, si presentò il dott. Marco Tamburrini. Avolio, ai giudici risponde di non sapere “assolutamente niente dello scambio che si è operato”. Per il CSM invece “il dott. Avolio era quanto meno a conoscenza” di questa irregolarità; “nonostante ciò, pur nella sua funzione di dirigente dell’ufficio, non effettuò alcuna verifica”.

C’è poi un altro punto: lo slittamento della data dell’udienza dal 21 al 28 aprile, richiesto dalla difesa e accolto dal dott. Avolio, “mentre si sarebbe dovuto astenere anche dal provvedere su tale istanza, visto che si trattava comunque di una decisione relativa al procedimento e che di fatto incideva sulla composizione del collegio”.

E qui arriviamo all’elemento decisamente più grave: “L’affermazione che quel collegio fosse “un collegio ad hoc”, la cui eccentrica composizione era stata decisa proprio dall’Avolio”.

Chi sostiene tale (gravissima) tesi, secondo la quale questi avvicendamenti non sono stati casuali, bensì finalizzati a favorire Rigotti? Anzitutto è stato “l’autista e segretario del dott. Avolio, Franco Nardelli, in una conversazione telefonica con Luca Rigotti intercorsa poche ore dopo il deposito dell’ordinanza; conversazione legalmente captata”. Più in dettaglio: “Nardelli così ha detto quanto alla composizione del collegio che ha deciso sulla richiesta di riesame: ‘… il Collegio, hai capito no? (ride)… dai, oggi il capo ha fatto un collegio ad hoc proprio!’; al che il Rigotti ha annuito (sì sì sì… certo)”. A conferma “Il Rigotti ha poi riferito anche all’avv. Manes (suo difensore, n.d.r.) che il Nardelli gli aveva detto che il dott. Avolio la Commissione l’ha cambiata lui il giorno prima”.

D’altra parte Rigotti, già quando aveva saputo delle variazioni nel collegio del riesame “si era augurato che dietro il cambiamento nella composizione del collegio ci fosse stato l’intervento del Guglielmo (“spero che sia l’Avolio che… Io la vedo come una mossa del Guglielmo… quella del Morandini”), ricevendo commenti favorevoli da parte di Francesco Giovannini, direttore generale della Mezzocorona (“sarebbe una bella cosa se fosse così)”.

Ci sono poi i commenti dell’altro avvocato di Rigotti, Luigi Olivieri (politico di lungo corso, tra le varie cariche quella di deputato per i Ds) che, riferendosi ad Avolio, afferma: “La regia l’ha avuta lui, noi abbiamo seguito i suoi consigli”.

“Inoltre, in una successiva conversazione telefonica, intervenuta il 5 maggio 2020, l’avv. Olivieri ha sottolineato al Rigotti che l’intervento della S.v. (Signoria vostra, in questo passaggio il CSM si rivolge direttamente ad Avolio, n.d.r.) finalizzato a disegnare un’eccentrica composizione del collegio del riesame, sia stato molto importante (‘… se per caso non gli facevo quella telefonata che ha messo in moto il meccanismo, che dopo ha detto ok, mi faccio da parte (…) non so mica…)”.

Anche qui il CSM approfondisce: “La telefonata cui fa riferimento l’avv. Olivieri è da riferirsi, con ogni probabilità, ai tre contatti telefonici intervenuti in data 7 aprile 2020 tra lo stesso avv. Olivieri e la Sua persona; contatti ai quali ha fatto seguito, il successivo 9 aprile 2020, l’istanza dell’avv. Manes che ha chiesto il rinvio al 28 aprile 2020 dell’udienza che era stata in origine fissata per il 21 aprile 2020; ed il rinvio è stato disposto proprio alla data del 28 aprile 2020, espressamente indicata dalla difesa”.

Da questa messe di elementi i giudici concludono che Avolio abbia scientemente modificato la composizione del collegio, di concerto con la difesa di Rigotti? Sarebbe un reato (abuso d’ufficio e favoreggiamento reale), di cui infatti si sono occupati la Procura e il Gip di Trieste, competenti per i procedimenti a carico dei magistrati di Trento. E a Trieste hanno deciso l’archiviazione del procedimento, in quanto “non v’è prova che corrisponda al vero quanto detto, nelle conversazioni intercettate, dall’avv. Olivieri e dal Nardelli circa il ruolo ricoperto dal dott. Avolio nella formazione del collegio”.

Il CSM giudica i fatti da un altro punto di vista; non esercita un procedimento disciplinare e men che meno penale, deve invece valutare la compatibilità del giudice con l’ambiente. Anzitutto sintetizza la tesi difensiva del magistrato: “Il dott. Avolio ha replicato in proposito che, sia da parte di Franco Nardelli sia da parte dell’avv. Olivieri, si sarebbe trattato di maldicenze e interessate millanterie, per nulla corrispondenti al vero”. Poi però prosegue:”In questa sede di natura amministrativa, tuttavia, non è necessario accertare se l’interessato sia stato in malafede. Ciò che conta è accertare se si sia determinato un obiettivo appannamento dell’immagine di indipendenza e di imparzialità del dirigente dell’ufficio, per effetto di condotte opache, indipendentemente dall’eventuale rilevanza disciplinare delle condotte. Ed appare indubbio che il dott. Avolio, per le condotte commissive ed omissive già analizzate, e per quelle che si analizzerà tra breve, abbia dato la fondata percezione di una gestione opaca e parziale dell’ufficio, quanto meno legittimando la percezione avuta dal Nardelli e dall’avv. Olivieri circa la sua impropria cointeressenza rispetto all’intera vicenda”. Parole pesantissime.

Infine la ciliegina sulla torta. Su WhatsApp c’è un gruppo denominato “Pallavolo” cui sono iscritti Avolio e Rigotti “unitamente a vari magistrati, al questore ed a “varie autorità”. Ebbene, dopo pochi minuti dal deposito dell’ordinanza di riesame reale che accolse la richiesta del Rigotti ed annullò il sequestro, il dott. Avolio ritenne di inviare un messaggio su tale chat, informando i partecipi dell’esito del riesame... Diffusa tale notizia, molti partecipi al “gruppo pallavolo” si felicitarono con il Rigotti: “Complimenti, forza Luca…”. Il Rigotti così ha commentato tale condotta del dott. Avolio: “… non vedeva l’ora, perché l’ha mandata nel gruppo di 50 persone”. Sì, bene Guglielmo E forza Luca!

Come commenta invece il CSM? “Con tale condotta il dott. Avolio ha esibito una personale cointeressenza e compartecipazione all’esito del procedimento; e tale compartecipazione non è stata mantenuta nel foro interno, o confidata a qualche stretto familiare, ma è stata platealmente e maldestramente riferita ai numerosi partecipi di quel gruppo WhatsApp, del quale faceva parte lo stesso Rigotti, di talché tutti gli altri partecipi del gruppo hanno potuto agevolmente percepire quale fosse il “sentire” sulla vicenda del presidente del Tribunale; su una vicenda che – è bene ribadirlo – riguardava un sequestro preventivo emesso da un giudice di quello stesso Tribunale per una pesante contestazione di riciclaggio aggravato dall’art. 416 bis.1 (associazione mafiosa, n.d.r.)”.

Le cene di capra calabrese

C’è poi il secondo capitolo che riguarda Avolio: i rapporti con alcuni dei supposti ‘ndranghetisti del porfido, Domenico Morello “promotore ed organizzatore dell’associazione per delinquere” e l’imprenditore Giulio Carini, che “nella cellula ‘ndranghetista esercitava un ruolo di raccordo e collegamento con la Calabria e con le istituzioni politiche, economiche, amministrative nonché con la magistratura”.

Sono vicende illuminate da molteplici intercettazioni, da noi ampiamente riportate nei numeri scorsi e che qui non riproponiamo (chi vuole può leggere “I tentacoli” su QT di dicembre 2020 e servizi successivi).

Il Csm non trova “elementi diretti circa l’esistenza di contatti tra il Morello e l’Avolio”, nonostante che il primo più volte rivendicasse una certa familiarità con il giudice, da questi recisamente negata. Indubitabile invece è la “confidenziale frequentazione” di Avolio con Carini, e in particolare la sua colorita presenza alle cene di capra calabrese officiate dal faccendiere. Ma a breve il Tribunale diretto da Avolio dovrà pronunciarsi sull’Operazione Perfido “e sulla posizione del Carini sicché, almeno nella percezione dell’opinione pubblica, oltre che delle autorità inquirenti, le decisioni assunte dal Tribunale potrebbero essere realisticamente messe in relazione ai rapporti di cui sopra, non certo usuali tra un presidente di Tribunale ed un indagato/imputato di ‘ndrangheta”.

Avolio aveva fatto una contromossa: cercando l’appoggio dell’Ordine degli Avvocati. Oltre ad alcune adulatorie lettere ai giornali da parte di singoli avvocati magnificanti le virtù del Presidente (e che il Csm nemmeno considera), così si esprimeva il presidente dell’Ordine avv. Michele Russolo: “Credo di poter dichiarare che le succitate notizie di cronaca giudiziaria non possano aver comportato, agli occhi del Foro trentino, un obiettivo appannamento dell’esercizio indipendente e imparziale da parte Sua dell’attività giurisdizionale”.

La dichiarazione veniva depositata dallo stesso Avolio al Csm. Che invece non apprezzava. Primo, perché “si tratta di una richiesta che inopportunamente il dott. Avolio ha rivolto al presidente del Consiglio dell’Ordine degli avvocati di Trento”. Secondo, anche se non particolarmente laudatoria, non deve sembrargli sincera, dal momento che la Presidente della Corte di appello dott.ssa Gloria Servetti ha riferito al Csm “che la reazione originaria dell’avv. Russolo rispetto alle vicende che hanno dato origine al presente procedimento è stata “di delusione e di rammarico… un po’ di mestizia”.

E così il CSM conclude che “in un ufficio diretto da un magistrato obiettivamente squalificato qual è attualmente il dott. Avolio, le decisioni che il Tribunale di Trento assumerà in tali procedimenti (quelli per associazione mafiosa, il Perfido e quello su Rigotti\Mezzacorona, n.d.r.) rischiano di essere influenzate, o di essere percepite come influenzate, dai rapporti sociali disinvolti, inopportuni ed opachi, o comunque obiettivamente infelici, che lo stesso ha intrecciato”.

Gli altri magistrati

E gli altri giudici coinvolti nelle cene di Carini? Saremo molto sintetici.

Giuseppe Serao, Presidente della sezione penale del Tribunale di Trento, non risulta partecipante alle cene di capra (cui invece agognava la moglie, come riportato da diverse intercettazioni): dal CSM non viene nemmeno menzionato.

Giuseppe De Benedetto, sostituto Procuratore generale presso la Corte d’Appello, con Giulio Carini intrattiene “contatti diretti - asserisce il CSM - essi avevano un discreto grado di familiarità… inoltre lo stesso De Benedetto aveva talvolta sollecitato incontri conviviali con il Carini”. Il punto dolente è soprattutto quando, saputo di essere oggetto d’indagine per associazione mafiosa, il Carini architetta una cena per sondare i magistrati suoi conviviali e così, secondo le intercettazioni, si rivolge a De Benedetto: “Non voglio niente, l’unica cosa è che se per caso dovessi finire dentro, voglio essere condannato, reclusione notturna e diurna di isolamento… Carini spiega che De Benedetto gli ha chiesto come mai non voglia stare in compagnia e Carini risponde che lui in carcere non vuole fare la femminella ma il maschietto. Urciuoli (ufficiale giudiziario in pensione, n.d.r.) risponde che in carcere gli fanno il servizio”. De Benedetto, sentito in proposito dalla I commissione del CSM, minimizza, e per i magistrati “risulta credibile l’affermazione del dott. De Benedetto, secondo cui quel discorso del Carini poteva essere inteso come “una battuta sulla scorta di filmologia o cose del genere”. E così De Benedetto (che si era anche fatto rilasciare dichiarazioni di stima da parte degli Ordini degli Avvocati, sobria quella di Trento, sperticata quella di Rovereto e quella di Bolzano) rimane al suo posto e il procedimento viene archiviato.

Il giudice Roberto Beghini, anch’egli peraltro partecipe alla cena di capra di Carini, è implicato pure con Rigotti: “Ritenne di telefonare il 17 aprile 2020 a Luca Rigotti, presidente della Mezzacorona… per esprimergli la propria vicinanza e la propria solidarietà”. Questo mentre era pendente il ricorso di Rigotti contro il sequestro dei terreni mafiosi, ricorso poi accolto 12 giorni dopo. Il CSM apre allora una procedura per operarne il trasferimento dal Tribunale di Trento. Ma Beghini gioca d’anticipo, chiede lui il trasferimento e la pratica viene archiviata.

Come commentare? Di questa vicenda lasciamo il giudizio ai lettori. Non vogliamo però esimerci da due brevi parole: nonostante l’appannamento causato dal caso Palamara, proprio questa vicenda ci illustra l’importanza della funzione del CSM, nei confronti e della magistratura e della società.