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QT n. 5, maggio 2020 Cover story

La comunicazione: per forza centralizzata?

Intervista a Michele Nones, già consulente del Ministero della Difesa, e ora vicepresidente dell’Istituto Affari Internazionali.

Abbiamo fatto nel 2007 uno studio per la Difesa sulla minaccia di attacchi nucleari e batteriologici, ‘Potenziali, rischi e possibili risposte’, con un esame delle varie esperienze internazionali, tra cui la Sars, provocata da Coronavirus, che nel 2002-2003 aveva provocato 8.000 contagi e 774 morti. Nata in Cina, aveva poi colpito il Canada, paese simile al nostro, con un sistema sanitario efficiente, dove si riuscì ad arginare efficacemente l’espansione del contagio.

Il governo canadese fece poi fare uno studio approfondito dell’esperienza, che evidenziava i punti critici: salvaguardia del personale sanitario, tempestività dell’intervento, e gestione della comunicazione. Infatti le epidemie rappresentano un rischio per la salute e l’economia, ma possono produrre anche risultati molto negativi sulla tenuta morale delle popolazioni, per cui il tema è convivere con il contagio mantenendo il tessuto sociale.

Non a caso vediamo che a livello internazionale si sta facendo strada il convincimento sulla possibilità di sacrificare sull’altare della sicurezza sanitaria quote di libertà: vedi in Ungheria Orban, che con la motivazione della lotta alla pandemia ha varato una legislazione liberticida, trovando tiepide reazioni europee”.

Davvero è stata la risposta al contagio a indurre reazioni condiscendenti? O non piuttosto la scarsa volontà di rompere con l’Ungheria in un momento in cui si ha altro a cui pensare?

No, gli anni scorsi con la Polonia erano stati presi provvedimenti molto più duri, come se l’organismo non sia capace di capire la gravità dell’attacco che subisce. La sicurezza sanitaria sembra venire prima di ogni altra cosa. Altro esempio: i provvedimenti adottati dal governo Conte senza passaggi in Parlamento, sono al di fuori delle leggi, i decreti non sono stati ancora convertiti in legge e quindi, come dice Sabino Cassese, sono di dubbia legittimità. Ora non mi interessa se sia giusto o sbagliato, ma il fatto che il tema non interessa a nessuno, se non a uno stretto gruppo dei giuristi.

La gestione della politica della comunicazione viene subìta passivamente, lo si vede che non c’è stata alcuna discussione, se non nelle ultime settimane; la contraddittorietà tra leggi nazionali e regionali sembra sia ritenuta accettabile. Insomma, qualsiasi misura sembra andar bene, purché riduca il contagio.

La comunicazione poi è stata estremamente artigianale, mentre i canadesi sostengono che è importantissima, perché deve sia garantire la libertà di informazione, sia evitare il panico. Vedi la limitazione della libertà di trasferimento - decreto dell’8 marzo - anticipata da fughe di notizie, con le persone che la notte prima si sono riversate nelle stazioni. Vedi ancora la corsa all’accaparramento dei dispositivi come mascherine, mentre doveva essere centralmente organizzato sia l’acquisto che la distribuzione”.

Non vedo quest’ultima cosa che c’entri con la comunicazione. C’erano flebili convincimenti, si diceva perfino che le mascherine non servono a niente…

Appunto, si crea sconcerto. Ma io non voglio misurarmi sugli errori, guardo alla comunicazione. È fondamentale che le informazioni corrette siano date al momento giusto. Per evitare che l’emergenza diventi incontrollata, devi dare all’opinione pubblica delle certezze, puntando sulla condivisione delle misure, più che sull’obbligo di rispettarle.

Questa è la differenza rispetto ai sistemi autoritari. Se invece non hai credibilità, autorevolezza, quando poi puoi muoverti più liberamente, ci possono essere due rischi: una parte pensa sia un ‘liberi tutti’, un’altra invece non si fida e rimane agli arresti domiciliari.

C’è anche il fenomeno delle fake news

“In parte è il prodotto di una chiara strategia di gruppi e forse di potenze, alimentato da due fatti di fondo: innanzitutto l’attitudine, soprattutto italiana, a sottovalutare l’approccio scientifico (vedi il favore riscontrato anche ai massimi livelli da ciarlatani come i vari Di Bella); e poi il fatto che per conto del governo dovrebbe parlare una sola persona, e così per il mondo scientifico, gli enti locali…

Ma in democrazia non possiamo pensare che sia uno solo che parla, uno scienziato a nome di tutti, un governatore, un partito…

Posso però pretendere che il governo parli con una voce sola: decidano loro se il presidente del consiglio o il ministro della salute; e che poi ci sia un portavoce che gestisca la politica dell’informazione. Il rapporto canadese dice: ‘La soluzione migliore sarebbe designare in ogni ente interessato un portavoce, con preparazione adeguata con esplicito divieto di intervento a chiunque altro, compresi i suoi superiori’. È importante una comunicazione non contraddittoria. Sulle mascherine: quanto posso usarle, posso lavarle? L’apertura delle librerie si può o no?”.

C’è comunque una questione istituzionale: oltre al governo deve poter parlare l’opposizione, anzi le opposizioni. E poi i partiti…

“La differenza rispetto alla Sars, controllata e contenuta, è che sono passati 17 anni, ma anni di globalizzazione; questi rischi si potranno ripetere e dobbiamo essere preparati, e ai primi posti c’è la gestione della comunicazione con la pubblica opinione, per essere più efficaci, evitando i rischi delle ondate di panico, vedi la trasmigrazione al sud il 7 marzo. Dobbiamo trovare un punto di equilibrio tra libertà d’informazione e informazione intelligente”.

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