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Cosa succede in Medio Oriente?

La guerra in Siria è praticamente finita. Vincitori: Russia, Iran e Assad. Perdenti ISIS e milizie anti-Assad, ma anche Israele e Arabia Saudita.

L’improvviso annuncio del ritiro americano dal teatro di guerra siriano sembra avere gettato lo scompiglio in campo amico e in quello nemico. Israele e Arabia Saudita si mostrano preoccupati di quello che potrebbe apparire l’inizio di un disimpegno delle truppe USA dalla regione; i Curdi, armati e sostenuti fino a oggi dall’esercito americano, gridano al tradimento e paventano un massiccio ingresso della Turchia al posto degli Stati Uniti nella Siria del nord oggi in mano curda. Putin e Assad e gli iraniani, che hanno loro truppe in Siria, vorrebbero essere contenti, ma sono in realtà sospettosi: si interrogano su questo ritiro americano che potrebbe rivelarsi per loro la classica pillola avvelenata.

In effetti tutto è in movimento. La Turchia, che teme una autonomia curda nella Siria del nord, accumula già truppe ai confini della Siria per una preannunciata operazione di repulisti di cui farebbero le spese proprio i Curdi. I quali, mettendo da parte l’orgoglio, per parare il colpo si sono affrettati a chiedere al presidente Assad di mandare al confine l’esercito siriano: dopotutto – ragionano - meglio Assad che le truppe di Ankara…

Ora, e qui si comincia a capire forse la ratio della mossa americana, l’eventuale operazione turca – ancora solo prospettata al momento in cui scrivo (29 dicembre) - metterebbe l’esercito della Turchia contro quello della Siria di Assad, con gravissimo imbarazzo dei suoi alleati, ossia Russia e Iran, che con la Turchia formano un po’ il triumvirato che si è proposto di rimettere in ordine le cose in Siria, un paese notoriamente martoriato da otto anni di guerra civile. Non a caso Russia e Turchia hanno annunciato un coordinamento dei rispettivi vertici militari per le operazioni siriane, che al momento non è ben chiaro che cosa dovrebbe coordinare. La Russia infatti si trova a dover mediare tra posizioni difficilmente conciliabili: né i Curdi né Assad vogliono tollerare oltre l’invasione turca che di fatto, partendo dalla recente occupazione di Afrin e Idlib, città siriane poco oltre la frontiera, vorrebbe estendersi nell’immediato futuro a tutta la Siria del nord oggi ancora sotto il controllo dei Curdi, facendone una sorta di protettorato di Ankara.

I Turchi hanno molte carte in mano, a partire da un esercito che è il più potente e meglio organizzato dell’area dopo quello di Israele. In primo luogo Trump, desideroso di ricucire i rapporti con Erdogan (guastatisi sin dal fallito colpo di stato del 2016), ha dichiarato che i Turchi - il bastione orientale della NATO - possono sostituire benissimo le truppe americane nella “guerra ai terroristi”, formula che – per il presidente Erdogan- non sottintende tanto l’ISIS, da un bel po’ messo con le spalle al muro e relegato nel deserto siriano, quanto piuttosto la guerra a quelli che lui chiama i “terroristi curdi” appoggiati dal PKK, il partito dei Curdi di Turchia.

In secondo luogo, un appoggio sostanziale Erdogan lo ha pure dall’Iran, anch’esso alle prese con l’irredentismo dei suoi Curdi, e quindi molto comprensivo con la Turchia che vuole impedire con il suo prospettato intervento in Siria una saldatura tra i propri Curdi, i Curdi siriani e i Curdi di Irak.

Oltretutto l’Iran ha nella Turchia, dopo l’inizio delle sanzioni americane, un indispensabile e privilegiato partner commerciale che per nessuna ragione al mondo può permettersi di inimicarsi. Ma Erdogan ha anche in mano la carta russa, perché sa bene che Putin non vuole indispettirlo dopo aver fatto tanto per portarlo nel suo campo profittando della crisi dei rapporti turco-americani.

Meno chiara in questa ingarbugliata situazione la posizione di Israele e Arabia Saudita, tradizionalmente quanto strumentalmente non ostile ai Curdi, visti come elemento di disturbo del campo avversario. Uno stato curdo che si creasse tra la Siria e l’ Irak avrebbe la loro benedizione perché creerebbe una interruzione territoriale nella cosiddetta Mezzaluna Sciita che va dall’Iran al Mediterraneo attraverso Irak e Siria. Quello che non è riuscito a fare lo Stato islamico dell’ISIS, si realizzerebbe con la creazione di un Kurdistan indipendente in territori siro-irakeni, sunnita e sostenuto dai due acerrimi nemici dell’Iran sciita, ossia Netanyahu e Bin Salman!

Fantapolitica? Forse. Ma per le vie tortuose misteriosamente marcate dall’eterogenesi dei fini, domani forse i Curdi potrebbero coronare sulle macerie della Siria il loro antico sogno di una patria.

Un “ritiro” con le virgolette

Parliamo di ipotesi naturalmente, che tuttavia scontano quel che in realtà del tutto scontato non è. Per esempio, il ritiro americano dalla Siria sarà davvero totale? Certi osservatori ne dubitano: proprio nell’est della Siria, ai confini (assai permeabili) con l’Irak, dovrebbero rimanere attivi i corpi speciali americani, unità di kommandos supertecnologiche che garantiscono il presidio di una base aerea per un eventuale ritorno delle truppe USA o, comunque, per operazioni aeree. Non solo; Trump si è affrettato a dire che le truppe americane non lasceranno l’Irak da cui i militari americani non se ne sono in effetti mai andati dopo la seconda guerra del Golfo conclusasi con la fine di Saddam Hossein. Insomma, il “ritiro” americano potrebbe anche essere interpretato come una mossa tattica, in sostanza un riposizionamento delle truppe in zone più tranquille, l’Irak appunto, in attesa di ulteriori sviluppi. Infine, proprio la visita improvvisa di Trump nelle basi americane dell’Irak – in spregio alla sovranità del paese che ha vivamente protestato per la visita non richiesta – ha ribadito agli occhi degli ayatollah di Teheran che gli Americani sono ancora là, a due passi dall’Iran…

La povera Europa...

E l’Europa? L’Europa come sempre brilla o per l’assenza o per il velleitarismo di qualche stato. È stato osservato che la Francia di Macron è stata tra i paesi europei che più han protestato per il ritiro americano. In effetti, oltre agli Americani, anche truppe francesi si trovano nella Siria del nord e non a caso i Curdi hanno subito invocato un maggiore aiuto della Francia in questa fase in cui hanno perso l’aiuto americano. Ma sappiamo quali e quanti problemi ha oggi la Francia, tra i gilet gialli e un debito pubblico secondo in Europa solo a quello italiano.

Insomma, anche gli epigoni della “grandeur” ricercati con ostinazione da Macron sono in via di esaurimento e la sua stella declina rapidamente. Gli altri paesi europei si tengono alla larga del caos siriano non potendosi permettere, singolarmente, nessuna iniziativa di qualche rilievo. Ancora una volta emerge la maledizione dell’Europa: gigante economico, ma nano politico.

L’unica nazione europea in grado di influire sullo scacchiere siriano resta la Russia, ma la Russia - diceva qualche storico - non è una nazione europea… La sua proiezione euro-asiatica ne fa da sempre un impero. E la Russia di Putin, sulla falsariga della Russia degli zar della famiglia Romanoff, ha cercato e trovato infine lo sbocco ai mari caldi, complici un regime traballante come quello di Assad e un paese, l’Iran, pure desideroso di proiettarsi sul Mediterraneo.

Ecco, Russia e Iran si erano dati un obiettivo a lungo termine che hanno perseguito e, si può dire, ormai quasi realizzato con la vittoria in Siria. La domanda è: qual è l’obiettivo dell’Europa nell’area?

Sarebbe già questa, temiamo, una domanda che presuppone molto ottimismo. Perché in effetti qualcuno si chiede: l’Europa ha davvero un qualche obiettivo, quanto a dire, ha una politica estera per la Siria e il Medio Oriente? Averla sarebbe oltremodo urgente, perché troppi attori, dalla Russia agli Stati Uniti, con la complicità di comprimari regionali piccoli e grandi, stanno decidendo non solo le sorti della Siria e del Medio Oriente ma anche della pace mondiale, che appare in grave pericolo.

Una terza guerra mondiale “a pezzi”

Il mondo sta già bell’e inguaiato in una “terza guerra mondiale a pezzi” come, con semplicità ma tremenda efficacia, si è più volte espresso il papa argentino. Ma come insegna la storia, un errore di calcolo o una mossa sbagliata può precipitarlo in un abisso senza fondo. La guerra in Siria è, sulla carta, conclusa con dei vincitori dichiarati (Russia, Iran e Assad) e dei perdenti dichiarati (ISIS e milizie anti-Assad) e altri due nascosti (Israele e Arabia Saudita). L’America di Obama e di Trump ha sbagliato quasi tutto, e ora vorrebbe andarsene lanciando pillole avvelenate e riaccendendo il caos nella regione, perché lasciarla stabilizzare significherebbe consegnarla alla egemonia russo-iraniana. Per questo occorre seminare di nuovo il caos, di cui gli sconfitti potrebbero voler profittare per cercare una improbabile, ma per la Siria devastante, rivincita.

La specificità e insieme la pericolosità dei “Balcani del XXI secolo”, ossia il Medio Oriente, stanno proprio qui: i paesi che dall’esterno della Siria manovrano da otto anni i vari pupazzi che si scannano al suo interno, ossia Israele, Iran, Turchia e Arabia Saudita, sono ancora lì, la loro potenza militare è intatta, e la voglia di rivalsa degli sconfitti è grande. Ma questa volta non sarebbe solo la Siria a rimetterci, questa volta sarebbe a rischio la pace mondiale.