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QT n. 9, settembre 2012 L’editoriale

A proposito di Autonomia

Mentre andiamo in stampa, non si è ancora svolta la “Giornata dell’Autonomia”, prevista quest’anno come risposta alle difficoltà che la nostra massima istituzione locale sta attraversando. Della Giornata non possiamo quindi parlare; ma dell’Autonomia e dei suoi problemi sì.

A nostro avviso è inutile stracciarsi le vesti contro il centralismo romano: l’Autonomia oggi è debole, attaccabile, incontra incomprensioni ed anche ostilità all’esterno, perché è stata stressata all’interno.

Iniziamo dal quadro politico-istituzionale. Il Trentino, lo si voglia o no, deve il carattere speciale del proprio ordinamento al fatto che esso è stato concepito come corollario, quando non come contrappeso, all’ordinamento altoatesino. Nel bene e nel male, anche quando si sono lacerate (vedi il ben noto, e non immeritato Los von Trient), le due Province sono state viste da Roma congiuntamente, e spesso infatti hanno marciato di conserva. E oggi Trento sconta due cose: l’irrilevanza politica propria, e quella di Bolzano.

Sulla seconda Alessandra Zendron ha già ampiamente scritto su queste pagine. La teoria del blockfrei, delle mani libere, del ci alleiamo con quello che più ci paga, è stata disastrosa. Il contadino che si credeva il più furbo di tutti, Luis Durnwalder, giochicchiando tra un polo e l’altro, votando la fiducia all’ultimo Berlusconi in cambio delle mani sul Parco dello Stelvio, ha minato alle basi la credibilità della Svp e della sua rappresentanza, non a torto valutata come uno Scilipoti qualsiasi: nelle rare emergenze istituzionali, quando il suo voto è decisivo, lo paghi, in tempi normali gli rifili un calcio nel sedere. E questa deriva in qualche maniera si è ripercossa anche su Trento. Anche perché ci sono le nostre responsabilità: non avere, da anni, saputo portare a Roma una rappresentanza qualificata, nell’illusione che fosse il governatore (e Dellai in particolare) nei suoi rapporti diretti con i ministri, l’unico a giocare la partita. Ma se Trento non conta niente nei partiti e niente nel governo, questa partita si farà molto più difficile. Insomma, chiudersi politicamente in Trentino è stato un errore, in fin dei conti l’Autonomia è nata grazie al peso nazionale dei Degasperi e dei Piccoli.

C’è poi il discorso dei soldi, quello più pesante rispetto all’opinione pubblica nazionale. Come abbiamo scritto nel servizio di giugno I soldi dell’Autonomia”, oggi i nostri enti pubblici vengono finanziati trattenendo in Trentino il 90% delle tasse qui versate, e d’altra parte ad essi, Provincia e Comuni, fanno capo grosso modo il 90% delle competenze e quindi delle spese (sono esclusi difesa, corpo diplomatico, giustizia, polizia e poco altro). Il sistema è quindi in equilibrio. Ma non lo era fino a poco tempo fa, quando avevamo meno competenze: di qui le rimostranze, quando non l’astio delle altre regioni (specie di quelle confinanti, le cui popolazioni fanno i paragoni). Qui servirebbero due cose: da una parte un’operazione verità nello spiegare la situazione attuale, ponendo magari in chiaro che se comuni come quelli del Bellunese sono derelitti, non è perché il Veneto è povero, ma perché le grandi regioni non considerano i comuni di montagna (e questa è un’altra, fortissima ragione a favore dell’Autonomia). Ma dall’altra, proprio perché, nei decenni scorsi, dei finanziamenti statali abbiamo in effetti molto beneficiato, oggi non possiamo fare i furbi. Quindi, quando il governo istituisce una tassa di scopo, per il terremoto in Emilia ma anche per il rientro dal debito pubblico, non possiamo pretendere che il 90% rimanga in Trentino. E non possiamo neanche sottrarci (tirando malamente in campo proprio la difesa dell’Autonomia) alla comparazione con i costi standard delle altre regioni; che noi, grazie all’Autonomia, spendiamo meglio, non basta proclamarlo, bisogna dimostrarlo, e se un servizio costa di più, bisogna vederne il perché, se dà di più come autonomamente deciso, oppure se è inefficiente.

Il che ci porta a un altro livello del nostro rapporto con gli altri: la pretesa di essere “laboratorio”, o esempio. A dire il vero, ultimamente se ne parla poco, forse per il timore di qualche scheletro nei tanti armadi. E infatti, se sbandieriamo che noi ogni 20 anni rifacciamo l’ospedale, o le scuole, o abbiamo una caserma dei pompieri ogni cinque chilometri, o vogliamo costruire una metropolitana per collegare centri da 3000 abitanti, o che abbiamo quattro livelli di amministratori, possiamo essere sicuri che la spending review si abbatterà come una mannaia. Di qui il discorso base: l’Autonomia non può essere una litania che ci recitiamo tra noi, deve essere costantemente comparata, nei suoi risultati, con le altre esperienze. L’avere istituzioni, strutture, competenze, legislazione, legati al territorio, deve portarci verso il meglio, ad essere d’esempio, e quindi ad aprirci senza timori, non a chiuderci timorosi e rancorosi. Perché facilmente, chi vuole chiudersi, vuole solo coltivare il proprio orticello al riparo da occhi indiscreti.