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QT n. 11, novembre 2017 Cover story

I soldi delle Autonomie

Quanto costano allo Stato e al Lombardo-Veneto, le Autonomie speciali? Il Trentino gode ancora di privilegi? Tutti i conti e i confronti, che sono chiarissimi.

Sala del consiglio provinciale di Trento

Ma allora le regioni a statuto speciale, sono delle sanguisughe? A danno di altre regioni più virtuose e – loro malgrado – più generose, come Lombardia e Veneto?

È stato recentemente Enrico Mentana a sostenere questa tesi, a Trento, applaudito peraltro dalla platea. Ma è la tesi anche sottesa alle rivendicazioni del presidente del Veneto Luca Zaia, come di tanti prima di lui, che individuano nella “specialità” un privilegio, giustificato forse qualche decennio fa, ma oggi inaccettabile. E i referendum autonomisti di Veneto e Lombardia, delle regioni cioè che finanzierebbero le specialità, tra cui quelle trentine, hanno con una qualche brutalità riproposto il tema.

Tira insomma una brutta aria per l’Autonomia. Anche perché i nostri rappresentanti di questa parola hanno talmente abusato per troppa retorica o come foglia di fico, da renderla non solo vuota, ma decisamente antipatica, o addirittura ambigua, come quando Lorenzo Dellai si inalberava perché si ricorreva ai forestali veneti per rilevare l’inquinamento a Borgo, o Rossi perché la giustizia amministrativa pretende che nel gestire gli appalti si seguano le regole che prevengono i conflitti di interesse.

Enrico Mentana

In questa situazione a nostro avviso è indispensabile allargare il discorso, osservare le dinamiche più dall’alto, nel loro fluire lungo i decenni. È quanto hanno tentato di fare in questi giorni diversi studi a livello nazionale (ultimo quello apparso sul numero del 30 ottobre nel supplemento “Affari e Finanza” di Repubblica): in maniera però che a noi sembra affrettata, molto imprecisa e anche – ci si permetta – superficiale.

Ragioniamo qui invece attorno ad un altro studio, del prof. Gianfranco Cerea dell’Università di Trento, ricavato da elaborazioni degli ufficialissimi dati della Ragioneria Generale dello Stato.

Parleremo non solo di numeri, ma pur sempre da essi partiremo: è da una loro lettura ragionata che, a distanza di diversi decenni, si può trarre un giudizio sulle (perduranti?) ragioni dell’Autonomia speciale delle province di Trento e Bolzano..

I soldi

Il Trentino, quanto prende e quanto dà? Questo è l’interrogativo base attorno a cui tutto si fa ruotare. E attorno ad esso il prof. Cerea ha raccolto e analizzato i dati, e di questo noi discutiamo.

Premettiamo che questi non sono dati semplici, innanzitutto da raccogliere ed analizzare: infatti tutta una serie di semplificazioni ha fatto arrivare giornali e politici a conclusioni che ci sembrano decisamente fuorvianti. Cerchiamo di spiegare al meglio.

Tabella 1. Componenti della spesa statale locale. Media 2010/11 - Valori pro capite in euro. Sei anni fa in effetti le autonomie speciali, fra cui il Trentino, erano privilegiate. La composizione della spesa era molto diversificata.
REGIONISpesa localizzataTrasferimenti a Enti PrevidenzaTrasf. e devoluzioni alle regioniTotale spesa stat. localeSpesa statale comuneTotale spesa
Valle d'Aosta1.054 898 10.113 12.066 2.37114.437
Trentino Südtirol714 -284 6.655 7.086 2.3719.457
FriuliVen. Giulia2.215 1.560 2.700 6.475 2.3718.846
Sicilia2.555 1.651 2.409 6.615 2.3718.986
Sardegna2.370 1.781 3.214 7.366 2.3719.737
Regioni ordinarie2.372 1.082 1.260 4.715 2.3717.085
ITALIA2.353 1.135 1.550 5.039 2.3717.410

Partiamo dalla spesa: quanto lo Stato spende in ogni regione. La tabella 1 riporta la spesa pro capite, risulta quindi indipendente dalla vastità e popolosità delle regioni, ed è sostanzialmente divisa (tralasciamo qui la parte relativa ai trasferimenti agli enti previdenziali, in cui peraltro il Trentino risulta l’unico territorio in credito: paga più di quanto riceve) in tre parti: la “spesa comune” relativa a quei capitoli che riguardano l’insieme dello Stato (esercito, ambasciate, interessi sul debito pubblico ecc) e che va computata in parti uguali per ogni cittadino di ogni regione; la “spesa localizzata”, relativa agli interventi statali – per la scuola, le imprese, le famiglie ecc – in ogni regione; e la spesa “per trasferimenti e devoluzioni” alle regioni, ordinarie e speciali, che poi ne utilizzano gli importi per gestire le competenze che esse gestiscono. Ecco quindi che due Province a statuto speciale come il Trentino-Sudtirolo, che si gestiscono anche la scuola, l’università, la viabilità statale ecc, vedono una forte prevalenza della spesa per trasferimenti, mentre le Regioni ordinarie, che oggi in prima persona gestiscono la sanità e poco più, avranno la spesa localizzata molto più alta di quella trasferita.

D’accordo, si dirà, ma alla fin fine, chi spende di più e chi di meno? L’ultima colonna risponde alla domanda: in effetti – dati 2010/2011 – le Regioni ordinarie spendono notevolmente meno delle speciali, e il Trentino, pur tenendo conto delle tante competenze di cui si sobbarca, comunque brilla per una spesa superiore di 2.000 euro a testa rispetto alla media italiana. Mentana e Zaia hanno ragione: è ora di finirla con questi privilegi!

Ma è proprio così?

I risultati

Prima di rispondere all’ultima domanda, ci si permetta di introdurne un’altra. Come sono stati spesi questi soldi? Quali risultati hanno prodotto?

Qui parliamo sempre di economia, che poi vuol dire denaro, condizioni di vita. E ricordiamo un dato: nel 1951 il Trentino era la provincia più povera d’Italia. Più povera dei più poveri tra i meridionali. Gli uomini emigravano, talora verso situazioni disperanti come in Cile; le donne avevano il gozzo, le contadine le gambe deformate dal peso delle gerle; la speranza di vita era la più bassa in Italia. In questo contesto, che effetti hanno avuto i soldi dell’Autonomia?

Il prof. Cerea analizza, mediante una metodologia che risparmiamo al lettore, l’evoluzione dei gettiti tributari dovuta all’incremento del Pil (alla ricchezza cioè del territorio) nell’arco temporale che va dal 1971 (quando l’Autonomia si è pienamente dispiegata) al 2011.

Tabella 2. Quota dei gettiti tributari dovuti alla crescita economica. Milioni di euro - Pro capite in euro. Soldi investiti bene: il Trentino cresce di più, e porta nuova ricchezza. La Sicilia al contrario cresce meno del resto del sud.
 REGIONIVariazione incidenza Pil 1971-2011Gettiti tributi erariali 2010/11Quota relativa a incremento PilIdem pro capite
Valle d'Aosta12,2%1.044127 995
Trentino Südtirol33,5%7.3202.452 2.374
Friuli Ven.Giulia5,7%7.747442 358
Sicilia-16,8%18.434-3.097-614
Sardegna-11,3%6.836-772-461
Italia-347.367--
Nord-0,5%176.361-882-35
Centro6,5%77.0465.008 420
Sud e isole-3,6%52.580-1.893-127

Nella tabella 2 sono riportate le variazioni dei gettiti rispetto alla media italiana: se una regione registra variazione zero, è cresciuta nella media italiana, se ha variazione positiva è andata avanti rispetto alle altre, se ha variazione negativa è diventata più povera, o meno ricca, delle altre regioni. Come si può vedere, le regioni del nord a statuto speciale hanno messo a frutto i soldi e le possibilità delle autonomie speciali: sono cresciute più del resto del paese; mentre Sardegna e Sicilia, pur usufruendo della specialità, sono andate indietro (-11% e addirittura -17%) non solo rispetto all’insieme dell’Italia, ma anche rispetto alle altre regioni del sud (-3,6%). Insomma, non basta avere l’autonomia, per di più speciale, bisogna anche saperla gestire. E in questo contesto spicca appunto la nostra regione, che è cresciuta del 33% più del resto del paese, più del resto del nord.

L’Autonomia quindi, da noi ha funzionato. Ha strappato una popolazione alla povertà. L’ha portata a concorrere alla creazione di ricchezza nazionale.

Tutto bene, bravi – diranno Mentana e Zaia. Ma adesso basta, vi siete messi in sesto, ora per favore, smettetela di spendere a carico degli altri.

Non hanno torto. Ma ci sono altre cose da considerare. Non tutti i territori sono uguali, ci sono quelli svantaggiati. Nel nostro caso è evidente che assicurare i servizi a una popolazione concentrata in pianura, in un’area relativamente limitata (prendiamo Cremona o Mantova) è ben diverso che farlo in una realtà frastagliata dall’orografia, con la popolazione sparsa entro un raggio di cento chilometri, con tempi di collegamento anche superiori alle due ore. Dare servizi a un quartiere di una grande città è certamente molto meno costoso che darli a 500.000 persone disperse in 6.000 chilometri quadri.

E ovviamente sarebbe un disastro se tutta la popolazione si concentrasse in pianura: la montagna deve essere presidiata, per evidenti motivi ambientali, di sicurezza idrogeologica, ma anche di sicurezza civile e sociale, non si possono lasciare lembi di territorio abbandonati a se stessi; in montagna non vogliamo i bruti, i predoni, le frane e le alluvioni, vogliamo l’economia silvo-pastorale, gli alberghi con wellness, l’industria dello sport e dell’accoglienza. Ma questo ovviamente costa: quando il sistema bibliografico trentino permette a un residente a Caoria di ordinare telematicamente un libro presente in qualsiasi biblioteca della provincia e di vederselo recapitare nel punto di pubblica lettura di valle dopo due giorni, è la collettività che ne sostiene i costi. Ma è così che la montagna vive, e tutti ne traggono vantaggio.

Questi temi sono stati tradotti in cifre, a quantificare la maggior onerosità dei territori di montagna. Il prof. Cerea ha quindi rielaborato la tabella sulla spesa locale introducendo questi fattori correttivi (approfondiamo nella scheda in basso). Pertanto si passa (tabella 3) da una spesa locale a una “spesa standard” pro capite, che per il Trentino-Sudtirolo si abbassa da 9.457 euro a 7.352, inferiore quindi alla media italiana, 7.410.

Tabella 3. Spesa standard dello Stato nei territori regionali. Media 2010/11 - Milioni di euro - Pro capite in euro. Come si tiene conto delle differenze dei territori.
REGIONISpesa totaleFattori correttiviSpesa standardSpesa standard pro capite
Piemonte33.24822933.4777.520
Valle d'Aosta1.868-3551.51311.816
Lombardia51.6873.54155.2285.594
Trentino A. Adige9.925-2.3307.5957.352
Veneto29.56079030.3506.162
FriuliVen. Giulia11.116-40410.7128.674
Liguria14.798-1.60413.1948.163
Emilia Romagna28.90672429.6306.727
Toscana27.863-20227.6617.396
Umbria7.493-5626.9317.670
Marche11.528-41511.1137.072
Lazio38.4171.38139.7986.976
Abruzzo11.517-91710.6007.907
Molise3.043-5062.5377.928
Campania46.9841.37048.3548.295
Puglia33.78884934.6378.474
Basilicata5.160-7574.4037.486
Calabria18.585-88517.7008.804
Sicilia46.13435946.4939.212
Sardegna16.558-30516.2539.710
ITALIA448.1780448.1787.410

Le tasse

Arriviamo a questo punto al cuore del problema, alle tasse pagate a fronte delle spese sostenute. È il “residuo fiscale”, la differenza tra tributi riscossi in un territorio e spesa standard (con i correttivi di cui sopra) dello stesso. Se una regione (tabella 4) ha un residuo positivo, è virtuosa e sopperisce alle difficoltà delle altre, se lo ha negativo, viene aiutata dalle altre regioni.

Tabella 4. Tributi erariali, spesa standard e residuo fiscale nei territori delle autonomie speciali. Media 2010/11 - Milioni di euro - Pro capite in euro. Il residuo fiscale: la differenza tra quanto si paga in tasse e quanto si spende
REGIONITributi erarialiSpesa standardResiduo fiscaleResiduo pro capite
Valle d'Aosta 1.044 1.513-469 -3.662
Trentino A. Adige 7.320 7.595-275-266
FriuliV. Giulia 7.747 10.712-2.965-2.410
Sicilia 18.434 46.493-28.059-5.556
Sardegna 6.836 16.253-9.417-5.631
Totale Speciali 41.381 82.566-41.185-4.517
ITALIA 347.367 448.178 -100.811-1.667
Regioni ordinarie
Nord 176.361 161.824 14.537575
Centro 77.046 85.518 -8.472-711
Sud e isole 52.580 118.274 -65.694-4.634

La tabella è molto eloquente. Primo dato: l’Italia nel suo insieme ha un residuo negativo, 1.667 euro per abitante. Cosa vuol dire? Beh, è il dato ben noto, l’Italia spende più di quanto incassa, e così aumenta il debito pubblico. E le regioni? Sono tutte con il segno meno, tranne le regioni ordinarie del nord. Le regioni a statuto speciale e quelle del sud sono pesantemente negative. La specialità non è servita a niente a Sicilia e Sardegna, anzi: hanno un residuo fiscale peggiore delle altre regioni meridionali.

Luca Zaia

Il Trentino-Sudtirolo si distingue ma non eccelle: ha un residuo fiscale ridotto, ma pur sempre negativo, Zaia non può strepitare, ma lamentarsi sì.

Questi sono però i dati del biennio 2010-2011. Nel periodo successivo sono intervenuti diversi “tagli” e accordi Stato-Regione: ogni volta il presidente di turno, Dellai e Rossi, hanno presentato l’accordo come definitivo, tombale (“Abbiamo chiuso il contenzioso”), e ogni volta si doveva poi riaprirlo. Ma al di là dei teatrini, la ripartizione dei tributi 90-10 (90% rimane in Trentino, 10% va allo Stato) data come diga invalicabile, franava. E i dati che abbiamo riportato ne spiegano le ragioni. Si è arrivati quindi, tra partecipazioni al risanamento del debito, o ai provvedimenti per i terremotati e altro ancora, a una ripartizione 75-25, o forse più bassa ancora.

I risultati si vedono nella tabella 5, relativa al bilancio 2014. La situazione nell’insieme dell’Italia non è cambiata, gli squilibri restano; ma il Trentino è passato a un consistente residuo attivo.

Tabella 5. Residuo fiscale per abitante nel 2014. Pro capite in euro. Cosa è cambiato dopo i recenti tagli.
REGIONI20112014
Valle d'Aosta-3.662-998
Trentino A. Adige-266605
FriuliVen. Giulia-2.410-2.946
Sicilia-5.556-5.711
Sardegna-5.631-5.898
ITALIA-1.667-1.712
Ordin. Nord575479
Ordin. Centro -711-589
Ordin. Sud -4.634-4.714

Insomma, la storia della nostra Autonomia è globalmente – al netto cioè di tanti clientelismi, qualche ruberia, alcune megalomanie – una storia decisamente positiva. Dobbiamo rendercene conto. E dobbiamo difenderla: dall’interno, da chi cioè è tentato dal deviarla dai principi del buon governo; ma anche dall’esterno, da chi per disinformazione o per malafede, porta accuse di parassitismo oggi del tutto ingiustificate.

Grandi per forza?

Il prof. Gianfranco Cerea prende in considerazione due “fattori correttivi” che giustificano una maggior spesa pubblica, dovuta alle sfavorevoli caratteristiche di un territorio. I due fattori che generano più costi sono la montagna (e di esso parliamo nell’articolo) e la dimensione della regione. Più una regione è grande, più è popolosa, maggiori sono le economie di scala, minori sono le spese procapite.

Questa argomentazione, che porta a legittimare la richiesta di più fondi alle unità amministrative più piccole, può essere scivolosa. Si potrebbe obiettare: se ad essere piccoli costate di più, perché, invece di chiedere altri soldi, non vi aggregate ad entità più grandi?

Il ragionamento è lineare, e infatti sta portando alle aggregazioni dei Comuni, e dovrebbe scoraggiare la frantumazione in nuove province.

Ma non tutto è misurabile con i parametri econometrici, che imporrebbero sempre il gigantismo. Affrontiamo la questione analizzando i risultati degli ultimi referendum sull’autonomia in Lombardia e in Veneto. Vediamo due dati apparentemente contraddittori: in Lombardia l’area più tiepida nei confronti del referendum è stata Milano (affluenza del 31% contro un dato regionale del 38%, e una percentuale di No del 5,5%, piccola ma di gran lunga la maggiore); mentre in Veneto le province tiepide sono state Belluno (51% di affluenza) e Rovigo (49,9%), contro il 57% della regione.

Il risultato milanese si spiega con lo scetticismo di una città internazionalizzata, fortemente proiettata all’estero, verso tematiche che sanno di campanile, di chiusura localistica o peggio (si sa che molti “autonomisti” sono capacissimi di diventare “indipendentisti” vedi appunto la Lega, o i catalani, o da noi anche la Svp che ancora accarezza l’autodeterminazione).

E Belluno e Rovigo? Cosa li accomuna a Milano?

Per loro vale il ragionamento opposto: all’interno di una regione grande, le aree periferiche sono neglette, sono i perdenti dell’autonomia. A Venezia, dei rovigotti o dei montanari del bellunese, interessa poco o niente: sono quattro gatti, hanno scarso peso economico ed elettorale, i loro problemi nei palazzi veneziani contano zero; e i risultati si vedono: tra i comuni trentini del Primiero e quelli confinanti del bellunese la differenza si percepisce al primo sguardo.

Questo sembra il destino della zona periferica, ancor peggio se montuosa, all’interno di una regione grande: la marginalizzazione.

Ecco quindi il senso di regioni non troppo grandi e non disomogenee; e come nella valutazione della spesa pubblica, si debba tenere conto di questi aspetti.