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QT n. 9, settembre 2011 Trentagiorni

Alla fine dei soldi

Dellai

In un bell’editoriale su L’Adige del 6 settembre, Franco de Battaglia constata come “al termine di quest’estate in cui è cambiato il mondo... l’Autonomia è sottoposta a continui attacchi che la stanno trasformando in un punching ball”. Il timore kessleriano del “Trentino piccolo e solo” è quantomai attuale. Hanno infatti rivelato tutta la loro inconsistenza le pretese dei vari presidenti (Dellai, con l’accordo di Milano, è stato solo l’ultimo caso, anche se il più vistoso) di “aver chiuso una volte per tutte” il contenzioso con lo Stato sui soldi dell’Autonomia. Pretese assurde in termini di rapporti di forza politica: quando non sei rappresentato da un Degasperi, o non sei visto come garante\cogestore di un esplosivo problema etnico ai tuoi confini, quale forza contrattuale pensi di avere? Di qui le inevitabili, progressive erosioni di una situazione di privilegio finanziario sempre meno giustificato.

L’ultima invenzione era stata quella del “laboratorio politico”, il Trentino autogiustificava i soldi in più in quanto, grazie all’Autonomia e alle ridotte dimensioni, sperimentava soluzioni che poi la nazione avrebbe potuto assumere e generalizzare. Romano Prodi, nella campagna elettorale del 2006, alla Sala della Cooperazione abbracciava entusiasta questa soluzione: “La scuola professionale, - autorevolmente suggeriva - dovete darmi un modello di scuola professionale”. Non risulta che dal Trentino sia arrivato alcun input particolare sulle scuole professionali, né peraltro che il fragile governo Prodi si sia di suo impegnato su alcun versante della scuola, e nemmeno che il più robusto governo Dellai abbia, allora o in seguito, prodotto alcunché di innovativo, se non sbiadite rielaborazioni delle abborracciate “riforme” Moratti e Gelmini (anzi, a dire il vero, delle peculiarità il sistema scolastico trentino le ha, gli edifici funzionali e sempre nuovi; Dellai si sta anche ora spendendo per nuove sedi che nessuno ha chiesto, ma qui appunto torniamo a bomba, i troppi soldi dell’Autonomia, che fanno schiumare i politici confinanti).

Insomma, dopo gli esiti d’avanguardia, ampiamente riconosciuti a livello nazionale, della politica ambientale di Walter Micheli della fine anni ‘80 (normalizzata poi da Dellai, e anche questo vorrà dir qualcosa) il “laboratorio politico” è stato solo uno slogan.

Intendiamoci, l’amministrazione ha la sua efficienza. Le strade, le gallerie si fanno, velocemente e bene. Si è effettivamente investito in università e ricerca. Ma tutto questo fa solo imbufalire lo Zaia o il Formigoni di turno: con i nostri soldi loro saprebbero fare altrettanto, perbacco!

Insomma, diciamolo chiaro: motivazioni per una ripartizione economica privilegiata, non ce ne sono più. (Forse le esigenze di un territorio di montagna, ma implicherebbero la costruzione di un sistema di alleanze di cui non c’è traccia alcuna).

Conseguenza? L’Autonomia dovrà poggiare non più sui soldi, ma sulle competenze, le capacità di autogoverno, la cultura e l’identità.

Quanto si è pronti a questo passaggio? La risposta non è semplice. Qui rimarchiamo come, quando in merito a cultura e identità il relativo assessore è un nostalgico asburgico che di continuo pasticcia tra storia, memoria e folklore, la consapevolezza della posta in gioco è molto bassa.