Antiberlusconiani
“Lasciate lavorare Berlusconi che ha preso il 70% dei voti!” Così ci diceva un conoscente confondendo la millantata percentuale di consenso auto-attribuitasi dal Presidente del Consiglio con i reali voti elettorali ottenuti nel 2008, che sappiamo attestarsi di gran lunga sotto il 50%.
Questa è la forza della propaganda berlusconiana, che dopo quindici anni di martellamento continuo è penetrata nella mente degli italiani più insospettabili. Solo così si spiega come gli scandali e le buffonate, il linguaggio violento e a-democratico ma anche le concrete azioni di governo (dallo scudo fiscale fino alla politica estera con gli amici Putin e Gheddafi) abbiano scalfito in minima parte la popolarità dell’eversore che ci rappresenta. Solo così si può spiegare il fatto che anche osservatori antiberlusconiani si mettano a lodare il modo con cui è stato gestito il dopo terremoto in Abruzzo. Il monopolio di quasi tutta l’informazione televisiva, l’aggressività dei giornali di area o di proprietà, l’incapacità dell’opposizione di utilizzare un linguaggio chiaro e univoco sono i pilastri del regime berlusconiano.
Fin qui siamo al primo vulnus alla democrazia, il ben noto conflitto d’interessi. Ma ce ne sono altri: l’indulgenza, attraverso condoni e delegittimazioni della magistratura, verso l’illegalità diffusa, utilissima anche per creare un clima favorevole alla legislazione giudiziaria ad personam, e il progressivo attacco alle istituzioni che fungono da contrappeso all’esecutivo: il capo dello Stato, la Corte Costituzionale, il Csm, il Parlamento.
Se a questo aggiungiamo gli ulteriori elementi, non criticabili a priori, che rendono forte Silvio Berlusconi (la sua sintonia culturale con la parte di popolazione rimbambita da decenni di Tv spazzatura; la capacità di fare breccia, come rappresentante del loro mondo, nell’universo del lavoro privato, dal manager all’artigiano all’operaio; e per converso lo scarso appeal di una sinistra in cui prosperano arrivisti e cacicchi, ben rappresentata da personaggi come l’inamovibile Antonio Bassolino), ecco che abbiamo un quadro della pericolosità dell’uomo, peraltro disposto a tutto.
Non riteniamo in queste righe di aver detto nulla di nuovo. In tanti si possono riconoscere in queste affermazioni, anzi ritenerle banali. Ma proprio qui sta il punto: se questa è la situazione, di non remoto pericolo per la democrazia, perché non scatta la reazione? Perché al berlusconismo, non viene contrapposto un vasto anti-berlusconismo, che vada oltre il recinto dei Di Pietro e dei Travaglio? Un movimento culturale e politico, che abbia la stessa vastità e rigore dell’antifascismo? Che rispetti le persone (con gli elettori berlusconiani è bene e giusto mantenere rapporti civili) ma sia rigoroso sul piano politico? E quindi bandisca non solo gli inciuci, ma anche le larghe intese, le scritture condivise delle regole che solo babbei travestiti da furbi come i vari D’Alema o Veltroni possono aver accarezzato come realizzabili?
Diciamo questo in un momento in cui il Cavaliere non è solidissimo. Ma la storia ci insegna che è il momento più insidioso: proprio perché debole i suoi avversari gli giungono in soccorso, cercandolo per giocarci di sponda.
E inoltre: perché mai la democrazia la si dovrebbe difendere solo all’ultimissimo momento, un attimo prima della catastrofe? E prima invece ci si dovrebbe trastullare con vacui dibattiti sul grado di pericolosità degli eversori? Non accorgendosi invece che la democrazia è una cultura che lentamente deperisce a forza di vili sottovalutazioni, di supine accettazioni di strappi e smagliature?
Purtroppo è molto vasta la platea dei democratici che, per un motivo o l’altro, non sono disponibili a una “demonizzazione” del berlusconismo: tutti i terzisti in stile Corriere della Sera, i moderati che ritengono che la moderazione consista nell’essere sempre tiepidi, quelli per cui “non è Berlusconi il problema, è ben altro…”
Ci viene un dubbio di fondo, in Italia esiste davvero una profonda coscienza democratica? Questo ci sembra l’aspetto più triste.