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QT n. 10, novembre 2009 L’intervista

I musei fra business e cultura

La cultura, ora lusso superfluo, ora volano del turismo. I nuovi compiti, pericoli, opportunità dei Musei e delle mostre culturali, in un’intervista a Franco Marzatico, direttore del Castello del Buonconsiglio.

Franco Marzatico

La “integrazione possibile” tra offerta museale e promozione turistica, le strategie culturali per il turismo del Belpaese, come “comunicare il museo come attrazione turistica”, ecc... Questi i temi dell’incontro Musei e turismo su cui a fine settembre a Trento si sono confrontati direttori di musei, operatori del settore, economisti, esperti di comunicazione e marketing, critici d’arte. Nella sua comunicazione introduttiva, Franco Marzatico, da 15 anni direttore del Castello del Buonconsiglio, monumenti e collezioni provinciali, ha parlato di nuovi “orizzonti” del museo fra conservazione e consumo culturale. Lo abbiamo incontrato per confrontarci sul tema.

Al convegno lei ha lanciato un allarme sulla crisi d’identità e sul destino dei musei, sul rischio di dover pensare più alle istanze del mercato turistico che non alle finalità di conservazione delle collezioni e di produzione e comunicazione di saperi.

Premetto che la mia analisi prendeva in esame la situazione nazionale, per molti aspetti più sfavorevole rispetto a quella trentina, in particolare per quanto riguarda gli investimenti pubblici.

Partiamo allora dal quadro generale.

Si sa che in tempi di crisi economica come questo alcuni considerano la cultura un lusso superfluo al quale rinunciare, oppure pensano al patrimonio storico, artistico, archeologico e monumentale come un bene di consumo da sfruttare prevalentemente, se non esclusivamente, in termini economici. Le funzioni scientifiche e conoscitive dei musei rischiano di passare in secondo piano, superate dai principi di redditività, audience, visibilità, competizioni aziendali e fra territori. È a queste esigenze, comunque innegabili, che sembra rispondere la nomina - criticata da più parti - di Mario Resca, ex amministratore delegato di McDonald’s Italia, a direttore generale per la valorizzazione del patrimonio culturale del Ministero per i Beni e le Attività Culturali.

Bene, anzi male. E in Trentino?

Costituisce senza dubbio un caso privilegiato, in quanto a sensibilità e sostegno pubblico verso i musei. Il Rapporto sull’economia della cultura del 2004 registra come nel 2000 le Regioni a Statuto speciale abbiano speso un terzo in più del totale delle altre regioni. In Provincia di Trento, in particolare, la spesa pro capite investita in cultura è di gran lunga superiore rispetto agli altri territori italiani. Da noi, infine, si registra il maggior interesse per la visita a musei e mostre.

Non mancano però anche qui le criticità. Da un lato si chiede di contenere le spese, dall’altro si registra una proliferazione di piccole esposizioni permanenti a fini turistici, priva di regia e di valutazione della sostenibilità economica, che rischia di sottrarre risorse vitali per le istituzioni “storiche” e consolidate. Molte di queste mini-strutture sono definite musei, nonostante siano prive dei requisiti fissati dall’ICOM (International Council of Museums).

Le ricadute turistiche sono diventate un assillante luogo comune, alimentato per lo più da valutazioni semplicistiche, auspici o entusiasmi del momento, in assenza di esami approfonditi sulla domanda e sull’offerta. Vengono spesso trascurati costi di gestione, bacini di utenza e soglie di attenzione. Pensiamo ad esempio alle attese tradite sui Bronzi di Riace a Reggio Calabria.

Negli ultimi decenni molti musei hanno puntato sulle mostre-evento per attrarre nuovi visitatori, spesso contando sugli aspetti emozionali e spettacolari, talvolta a scapito della serietà che la divulgazione richiede. Un esempio tanto per rimanere in casa nostra, la mostra sulla Grande Guerra alle Gallerie di Piedicastello, con la galleria nera che forniva intense emozioni e quella bianca, che doveva dare le spiegazioni, assolutamente insulsa.

Il rischio di fermarsi all’aspetto emozionale esiste. Talvolta si punta più sugli allestimenti scenografici, le luci, addirittura la colonna sonora, più che sui contenuti, per avvincere i visitatori. Ora, è giusto sperimentare nuovi linguaggi per comunicare, stando però attenti a non cadere nella banalizzazione. È vero che spesso per catturare con più facilità l’attenzione del pubblico - e qui faccio autocritica - non si rinuncia a ricorrere alle certezze offerte dai termini “capolavori”, “tesori”, “ori” e al motto “per la prima volta”, non a caso sfruttato contemporaneamente per la mostra in corso sull’Egitto qui al Buonconsiglio e per quella su Cesare a Roma.

Ma da parte del pubblico c’è anche una richiesta di significati oltre che di emozioni? Si avverte un bisogno di capire di più della nostra storia?

Sì. E il museo ha la responsabilità di raccontare, attraverso una selezione di oggetti, uno spaccato di storia, di rispondere alle curiosità del visitatore, di realizzare un momento di apprendimento anche divertente, ma impostato su basi scientifiche. È fondamentale trovare un punto d’equilibrio tra studio e divulgazione, tra aspetto emozionale e approfondimento. Certo è più facile comunicare i contenuti di una mostra archeologica o di scienze naturali, magari con percorsi mirati per i bambini anche sotto forma di gioco, anziché con un’esposizione storica o artistica. Lo vediamo anche al Buonconsiglio. Siamo bravi a presentare le collezioni provenienti dall’antico Egitto che caratterizzano l’ultima mostra, mentre forse non siamo del tutto attrezzati a spiegare la storia di questa terra. Con la mostra del “Gotico nelle Alpi” nel 2002 abbiamo cercato di affrontare alcuni aspetti della storia medievale del Trentino, così come la mostra dei “Madruzzo e l’Europa” nel 1993 aveva approfondito le vicende del Principato tra Papato ed Impero tra il 1539 e il 1658. È nostra intenzione, inoltre, sperimentare a Castel Beseno nuove forme di divulgazione della storia, in particolare legate alla fase veneziana di Rovereto e della Vallagarina. Forse, grazie all’introduzione dell’insegnamento della storia locale nelle scuole, si individueranno nuove modalità di comunicazione, utili anche al museo.

L’ultima mostra, “Egitto mai visto”, allestita nelle sale del castello del Buonconsiglio, sta registrando un grande successo di pubblico. In ottobre ha superato i 115.000 visitatori. Vi aspettavate questo risultato, in controtendenza rispetto al calo generalizzato di frequentatori dei musei italiani nel 2008?

Sinceramente no. Nel 2008 avevamo registrato anche noi gli effetti della crisi, mentre quest’anno i risultati superano di gran lunga le aspettative, con le richieste di visita da parte di gruppi organizzati e di scuole che ci hanno indotto a prolungare l’apertura fino al 10 gennaio 2010. La scelta di una mostra d’argomento archeologico, ritenuta generalmente più “facile” da parte del pubblico, è stata vincente, ma la differenza la fa l’offerta culturale differenziata proposta dai Servizi educativi interni al Museo attraverso laboratori per famiglie, percorsi di ricerche per le scuole, visite guidate per gli adulti.

Torniamo ai soldi: qual è il bilancio della mostra?

Le nostre mostre annuali costano circa un milione di euro. Con i ricavi (biglietti, vendita di cataloghi e altro materiale presso il bookshop) riusciamo a coprire circa il 35% dei costi. Quando l’esposizione ha grande successo si arriva al 50% e con “Egitto mai visto” siamo già al 45% a due mesi dalla chiusura, pur scontando i minori introiti dovuti all’ingresso gratis ai minorenni e agli over 65 introdotto un paio di anni fa. Poi ci sono, e qui ritorniamo al discorso iniziale, le ricadute economiche sulla città e sul territorio, in particolare nel settore alberghiero e della ristorazione.

A questo punto i conti finali li tiriamo noi. Al 10 gennaio l’”Egitto mai visto” sarà stato visitato da circa 100.000 visitatori da fuori provincia. Basta che ognuno di essi spenda in città anche solo 5 euro, che fanno 500.000 euro totali, perché il conto complessivo della mostra chiuda in pareggio. Insomma, per un territorio una buona mostra è un ottimo business. Il che ripropone il discorso iniziale di Marzatico: se la cultura può essere un affarone, si aprono nuove opportunità, ma anche subdole tentazioni.