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C’eravamo tanto armati…

Quando Saddam Hussein era un amico. Servizio fotografico sul bellicismo irakeno ai tempi in cui era supportato dall'Occidente. Da Narcomafie, mensile del Gruppo Abele di Torino.

Alla fine del 1979 Saddam lancia una escalation propagandistica contro l’Iran, dove una rivoluzione popolare dai caratteri fortemente antiamericani aveva posto fine all’epoca dei re, cacciando lo scià Mohammad Reza Pahlavi.

La scintilla che aveva dato avvio alle sommosse popolari tra la fine del ’78 e l’inizio del ’79 era stata la misteriosa uccisione in Iraq di un figlio dell’ayatollah Khomeini, carismatica, intransigente figura del clero sciita, da anni in esilio.

Tutte le componenti della variegata opposizione parteciparono alla rivolta, ma in seguito, forte della rete capillare di moschee e scuole in tutto il Paese, il clero sciita riuscì ad assumerne il controllo. Il carisma di Khomeini fu tale che nel giro di pochi mesi fu approvata, con un referendum, la nascita di una Repubblica Islamica; vennero istituiti nuclei di potere retti dal clero parallelamente a quelli governativi (tribunali speciali, comitati rivoluzionari, pasdaran, ossia "guardie della rivoluzione"), e venne imposta una Costituzione strettamente ispirata ai princìpi coranici.

Il regime degli ayatollah rappresentò per l’Occidente - ma anche per l’Iraq e le monarchie del Golfo - un evento di estrema gravità per la sua capacità di destabilizzare una regione contenente oltre la metà delle riserve energetiche mondiali. Saddam si propose allora ai regimi arabi e ai Paesi occidentali come baluardo contro il khomeinismo, mosso sia dalla pericolosa presenza in Iraq di una maggioranza sciita potenzialmente influenzabile dai successi dei fratelli vicini, sia dalla speranza di riacquistare vantaggio rispetto al vicino rivale. Questo comportò un riavvicinamento all’Egitto e all’Arabia Saudita, l’allentamento dei rapporti con l’Urss (di cui condannò l’invasione in Afghanistan), e un avvicinamento ai Paesi occidentali.

Dopo una serie di incidenti di frontiera, che costituirono il pretesto per l’attacco, il 22 settembre 1980 le truppe irachene invasero il territorio iraniano. Mosca e Washington, preoccupate dagli sviluppi della situazione in Iran, pensarono a una soluzione rapida del conflitto. L’imprevedibile resistenza dell’esercito iraniano protrasse invece la guerra fino al 1988, quando venne accettato un cessate il fuoco proposto dall’Onu, che in sostanza sanciva il nulla di fatto relativamente al contenzioso.

L’Iran, con il prezzo di circa un milione di morti, si era compattato intorno al suo leader di fronte alla minaccia esterna ed aveva eliminato ogni residuo di opposizione interna. L’Iraq era stato appoggiato dagli Stati Uniti, che però in parte avevano finanziato segretamente l’Iran (il noto Iran-gate). Il conflitto produsse dunque un’incontrollata corsa agli armamenti, nella quale venne privilegiato il regime di Baghdad. Pur nella precarietà della situazione economica, l’Iraq si trovò così nelle condizioni di avviare un’industria militare che ne fece, dopo Israele, la maggiore potenza militare della regione, creando le premesse per un nuovo conflitto. Saddam Hussein, tre anni dopo, avrebbe invaso il Kuwait.