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Solitudine addio?

Flavio Faganello e i masi sudtirolesi trent’anni dopo.

"Gli eredi della solitudine: un ritorno" è il titolo della bella mostra che ha aperto i battenti a Bolzano nella Galleria Civica di piazza Domenicani e del suo catalogo.

Masi presso Fundres: nel marzo 1972 (sopra) e nel dicembre 2002 (sotto). Foto di Flavio Faganello.

Trent’anni fa Aldo Gorfer scrisse un libro sui masi di montagna del Sudtirolo, visitando una serie tra quelli più sperduti e raggiungibili solo a piedi su sentieri difficili e pericolosi. Luoghi di insediamenti umani al limite dell’impossibile, quei masi costituivano, per l’ostilità dell’ambiente, un miracolo di sopravvivenza e l’oggetto di una ricerca non scientifica ma condotta con interesse, curiosità e con una crescente emozione, da parte degli autori. Partirono convinti che tutto deponeva a sfavore della vita solitaria, misera, tanto differente da quella del fondovalle dove si stava diffondendo modernizzazione e benessere. Furono però presi dal fascino di uno stile di vita che riconduce all’essenza dell’umanità, dove tutto è concentrato sui bisogni primari e non c’è tempo per i sentimentalismi. Nel suo libro Gorfer cerca in quelle persone la vicinanza ad una più profonda religiosità e ne trova le tracce e la mescolanza alle superstizioni di chi vive a strettissimo contatto con la natura, tanto da esserne in gran parte dipendente. "La solitudine unifamiliare", "il disperato lavoro non retribuito" vengono rimarcati continuamente, ma il testo non riesce a rimanere su un piano realistico: continuamente emerge la profonda emozione che deriva dal contatto con una realtà culturale capace di enorme adattabilità a condizioni durissime.

Masi presso Fundres: nel marzo 1972 (sopra) e nel dicembre 2002 (sotto). Foto di Flavio Faganello.

Le foto hanno un ruolo fondamentale, sobrie e in bianco e nero; dagli oggetti e dagli occhi delle persone traspare la rassegnazione, la consapevolezza di essere alla fine di un’epoca, in alcuni l’umiliazione proveniente dall’aver visto la modernizzazione che tutto cambia e sapere di esserne esclusi. Si legge e si vede nelle pagine di Gorfer/Faganello l’emozione della scoperta di un mondo.

Trent’anni dopo, nel 2003, il ritorno avviene in auto e col timore di averlo perso, quel mondo. Gorfer è morto, ma Faganello si presenta alle persone con cui allora venne stabilito un rapporto profondo di rispetto e fiducia, con in mano le foto di allora, e le porte si aprono su situazioni non sempre migliori, ma profondamente mutate. Negli occhi dei contadini di montagna c’è oggi orgoglio e consapevolezza del proprio ruolo. Lo dice in una delle prefazioni Georg Mayr, dell’associazione dei contadini sudtirolesi, che parla di "contadino ambientalista", consapevole del ruolo di enorme importanza per l’economia, il turismo, la sopravvivenza della cultura, l’ambiente. Il turismo in Sudtirolo non potrebbe vivere senza contadini di montagna. A meno che non si parli di un turismo, che purtroppo comincia a far capolino, che prescinde dal benessere dei residenti, senza futuro, e dedicato solo a sfruttare il più in fretta possibile il territorio senza curarsi delle conseguenze. Ma per ora i contadini di montagna hanno contribuito a costruire un nuovo equilibrio economico insieme al turismo. I masi non vengono più abbandonati e costituiscono un’unità ecologica indispensabile al mantenimento dell’aspetto delle Alpi.

Anche quel libro, oltre alla politica della Provincia di Bolzano, contribuì alla crescita della consapevolezza dei conduttori di masi.

La solitudine non sta più lassù. La socializzazione limitata è radicalmente cambiata con la realizzazione delle strade, mentre la perdita di identità e la solitudine senza speranza della società in corsa che emargina chi non tiene il suo ritmo restituisce valore a quella cultura così vicina al ritmo della natura, a quel senso di consapevolezza e identità prodotto - come scrive Martina Isabella Steiner nel bel saggio introduttivo al catalogo - dalle "conoscenze nell’organizzazione del lavoro, la fabbricazione di arnesi da lavoro e le strategie di sopravvivenza nell’ambiente ostile". Steiner rileva che Gorfer per la prima volta fece parlare le donne, solitamente non prese in considerazione dagli storici e dagli antropologi abituati a far parlare solo i capifamiglia. Per molti masi il destino è segnato proprio dalle donne: l’impossibilità di trovar moglie ne determinò per molti anni la decadenza, la durezza della loro vita, fra parti senza assistenza, l’obbligo di allevare molti figli, di lavorare fuori casa col marito e dentro con animali e per la conduzione di case faticose. Anche le donne hanno trovato un nuovo equilibrio, maggiore autonomia finanziaria, aiuto con gli elettrodomestici, e dai macchinari per il lavoro agricolo che ha reso possibile anche per una donna condurre il maso al pari e meglio di un uomo, che da parte sua non è mai in grado di fare i lavori femminili.

La mostra è aperta fino al 5 ottobre e ha un contorno eccezionale: sono state organizzate infatti una serie di escursioni tra luglio e ottobre ai masi visitati e rivisitati, cui tutti possono iscriversi chiamando l’Azienda di Soggiorno di Bolzano (Tel. 0471 307000 e-mail info@bolzano-bozen.it).

Un’occasione per mettere in pratica un detto di John Rustein che si può leggere nella mostra: "Vi fu sempre al mondo/ assai più di quanto gli uomini/ potessero vedere quando andavano/ lenti, figuriamoci/ se potranno vedere meglio/ andando veloci".