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QT n. 6, 22 marzo 2003 Monitor

Alberto Sordi

Nascita, crescita e maturazione di un attore-personaggio, orgoglioso specchio dell'Italia media e mediocre.

Germana Bertamin

Anche se con qualche ritardo e anche se tutto è stato detto e scritto su di lui, questa rubrica vuole dedicare due parole al ricordo di Alberto Sordi. Per mezzo secolo egli ha intrattenuto , sedotto, allietato gli italiani, e non solo, col suo cinema, da attore in primo luogo e con esiti eccelsi e indelebili nella memoria e nell’immaginario, ma anche come regista, di film non sempre riusciti, per la cura volta più alle interpretazioni che al linguaggio iconico, elemento però non rimarcato dalla critica se interprete ne era lui stesso.

La sua morte recente è stata onorata da una folla immensa, quella stessa gente comune che aveva incarnato le sue maschere e popolato l’affresco italiano che è la sua filmografia (vastissima, circa 130 film, in gran parte a tutti arcinoti), nata da un’osservazione penetrante della realtà, chiara e arguta, a volte spietata, mai sentimentale. Egli, che ha lavorato con i più grandi registi e sceneggiatori italiani, non è a loro che deve la sua grandezza, ma a sé che "era autore di se stesso", e costituiva un mondo, il paese Italia, di cui si faceva specchio.

Sordi, partendo dal niente, è arrivato alle vette raggiunte per suo merito, della sua costanza, del suo amore per il cinema, lo spettacolo in genere e per il pubblico cui ha dedicato la sua vita, e, prima, per il talento innato; una genialità che, attraverso le tappe dell’avanspettacolo, della radio, dei difficili approcci con il cinema per cui proponeva una modalità comica in anticipo sui tempi, si manifesta presto pienamente, passando dalla macchietta a personaggi complessi e più sfumati, che impersonano tutte le tipologie umane fatte vivere sullo schermo in autenticità.

Gli inizi sono negli anni ’50, in cui interpreta ben 54 film che concorsero via via alla maturazione del personaggio, che, in quell’epoca di eroi positivi, si presenta al negativo, senza sentimenti o tratti amabili, senza audacia e giustificazioni storiche. Il senso unidirezionale degli atteggiamenti, sgradevoli e antipatici, vili, del vitellone, dell’imbroglione da strapazzo, del seduttore, che contravviene alle regole note del cinema comico, lascia il pubblico incerto e freddo, perché non trova identificazione.

Il personaggio Sordi comincia così a modificarsi e a crescere, nel senso di allargare il contesto dei suoi difetti, non più attribuibili solo al carattere individuale, ma alla natura umana, alla situazione storico-sociale, e di affiancarvi qualche pregio, e specie un fondo di bontà naturale e di umanità, che intervengono nei momenti cruciali a riscattare in parte la negatività. È questo il personaggio che il pubblico impara ad amare e in cui si identifica.

Esso dominerà nei film della commedia degli anni ’60 e ’70, connotata di una comicità dai risvolti amari, di un cinismo misto a sentimento, di una miscela di elementi umoristici e drammatici. E continuerà fino alla fine degli anni ’90, seguendo i cambiamenti culturali via via ravvicinati, e dandoci nei film, sempre più radi e deboli, alcune figure che preludono al degrado e ai "mostri" che si vedono frequenti agli inizi di questo millennio.

Nella variegata galleria dei suoi personaggi,
Sordi riesce a materializzare una condizione
dell’italiano, nelle sue varianti di vizi e virtù, un italiano medio in perenne conflitto con società e potere costituito, che paiono anche peggiori di lui. Mettendo in luce e alla berlina le caratteristiche dei connazionali, ha permesso anche di vederle meglio e, insieme alle risate, ha suscitato riflessione e autocritica, testimoniando pure in questo la sua grandezza.

Sordi si fa interprete, quindi, del costume e del sentimento degli italiani, ne rispecchia contraddizioni e opportunismi, ma anche punti di forza. Con acuta versatilità, che gli permette di passare agilmente dai ruoli comici ai drammatici (ricordiamo fra questi alcune delle sue migliori interpretazioni) sa penetrare nella psicologia della gente comune, in tutti i periodi della nostra storia; e riesce a cogliere quel tratto persistente del carattere nazionale, che si mantiene oltre i cambiamenti e diviene una costante nel suo dialogo, che lo riflette e che, scevro da pessimismo radicale e oltre ogni cinismo, sa tenere salda la nota dell’umanità, e la comicità nei contorni di una vitale ironia.

Si scrive di lui: "E’ stato uno dei più grandi attori del nostro secolo. Gli altri hanno fatto la commedia all’italiana; lui è stato la commedia all’italiana", che certo senza di lui avrebbe perso in pregnanza e genuinità, documento essenziale per capire la nostra storia e società del XX secolo, intesa nel senso di carattere quasi identitario, conosciuta e riconosciuta da tutti, anche oltre i confini e oltre oceano.

Nel personaggio Sordi le illusioni sono cadute e totale è l’accettazione della realtà, rivelando in questo tutto il disincanto del carattere italiano, che nel cinema ha trovato sbocco proprio nella commedia all’italiana, che si connota così di una profonda amarezza, ma si mantiene sempre nei toni lievi della commedia, quella della vita, con risvolti di farsa e di tragedia. Come i grandiosi funerali hanno ribadito.

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