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QT n. 7, 6 aprile 2002 Servizi

Roma: le emozioni, le ragioni

Come tre milioni di persone sono più efficaci di sei reti Tv. Cronaca di una manifestazione che ha saputo diffondere ottime ragioni.

“La facciano pure la loro manifestazione…" Anche questa volta, come nel ’94 sulla questione pensioni, abbiamo visto gli uomini del governo Berlusconi irridere, le labbra increspate da un sorriso sprezzante, alla vigilia della manifestazione sindacale: ma cosa credono di fare questi trogloditi, con il loro vecchio, penoso armamentario, le bandiere, i pullmann, gli altoparlanti, i panini al sacco? Minoranza sono, minoranza patetica si confermeranno.

E poi invece, oggi come allora, anzi ancor di più, le reazioni preoccupate e rabbiose, quando ci si accorge che i milioni di persone, in carne ed ossa e motivate, sono un incomparabile veicolo e di idee e di emozioni; e allora la litania: "Non siamo riusciti a farci capire… il governo non ha avuto spazio sui media (figurarsi!)" o i contrattacchi scomposti, come le proterve accuse di contiguità con il terrorismo.

Insomma, è accaduto ancora: la passione civica di tante persone ha catalizzato l’attenzione dell’intera nazione, che ne ha ascoltato, discusso, e in buona parte condiviso le peraltro ottime ragioni. Il Grande Fratello con le sue sei reti Tv, giornali, commentatori di regime, ha dovuto cedere il passo; attraverso la mobilitazione personale un ampio settore della popolazione si è espresso, parlando agli altri; e questi sono stati a ascoltare.

Raccontiamola in quest’ottica la giornata del 23 marzo.

Siamo arrivati alle 11 alla stazione Termini. Il nostro programma è quello che Berlusconi definirà "una scampagnata": partenza all’alba, manifestazione, giro per la città, cena con degli ottimi amici romani, notte in albergo, domenica nei nuovi musei di Villa Borghese e/o Domus Aurea. Tutto a nostre spese, ovviamente. Per il resto, ha ragione il Presidente, intendiamo unire l’utile al dilettevole: perché, la vita ha diritto a godersela solo lui nelle sue otto ville in Sardegna?

Siamo subito risucchiati dal corteo, uno dei cui rami lambisce il piazzale della stazione e scende rumoroso per via Cavour, dove abbiamo l’albergo. Ci troviamo nel settore dei no-global: alcuni automezzi con altoparlanti procedono lentissimamente, un autocarro trasporta un’orchestra interetnica, attorno una variopinta folla di giovani balla, canta, scandisce slogan più goliardici che arrabbiati. Entriamo nell’albergo a prendere le camere e depositare le valigie, fra turisti stranieri più divertiti che stupiti: nei corridoi, nelle stanze, ovunque giunge la musica e gli slogan della strada. E’ allegria, vita, voglia di contare nella società: emozioni contagiose, che viaggiano nell’aria, entrano nelle finestre, si spandono tutto intorno.

Ritorniamo in strada. In mezz’ora il camion è andato avanti di cento metri; a bordo si è alternata un’altra orchestra, ora c’è musica rap. Attorno soprattutto giovani. "Se il Berlusca pensava di mettere i giovani contro gli adulti, si è sbagliato" - mi dice un amico.

Lo stile, la cultura, la musica, sono quelli dei centri sociali: un pizzico di aggressività, capacità di essere avanguardia culturale vera, spirito libertario. Qui si vede, nel concreto, l’egemonia politica - che viene dalle idee, dal rappresentare la popolazione - di una grande organizzazione come la Cgil: Cofferati ha rifiutato la parola dal palco ai leader dei partiti come pure ad Agnoletto; eppure ora sono qui tutti, per strada, iscritti e no-global, assieme alle centinaia di migliaia di persone non incasellate, ognuno con la propria cultura, e tutti sotto la bandiera dei diritti del lavoro.

Certo, non tutto è rose e fiori: in un bar gremito di manifestanti, un ragazzo nell’uscire sgraffigna una bottiglia, subito bloccato dalla figlia della padrona messa all’uopo di guardia. E’ la solita cultura italica del più furbo, magari riverniciata a sinistra con qualche pelosa giustificazione sui "bisogni proletari"; la signora alla cassa scuote la testa sconsolata, io mi vergogno, vorrei scusarmi, prendere le distanze dal furbastro, ma non trovo le parole.

Il corteo è troppo lento. E’ mezzogiorno, di questo passo non arriveremo per l’una a sentire Cofferati. Usciamo dalla folla, e per strade traverse arriviamo al Circo Massimo. Lo spettacolo è imponente: il mare di gente e bandiere colpisce, ubriaca. Le "adunate oceaniche" hanno una loro forza intrinseca, vedere così tanta gente unita da un’idea (o da un mito) affascina, lascia a bocca aperta. Lo hanno sperimentato fin troppo bene tanti demagoghi del secolo scorso.

Il Circo Massimo è un lungo ovale, al centro correvano le bighe, sugli spalti sedeva il pubblico; dopo un non facile avvicinamento prendiamo posizione su uno dei ripidi bordi rialzati, giusto in tempo; il presentatore dà "la parola al segretario Sergio Cofferati". Cofferati ce lo vediamo di fronte, su un maxischermo distante duecento metri di folla; a sinistra altre centinaia di migliaia di persone, che guardano in direzione opposta, verso un altro schermo; e più oltre, sempre a sinistra, ancora gente, ormai indistinta; e poi tutti quelli sulla destra. "Ma il Cofferati vero, dove diavolo è?" - chiedo dopo aver scrutato invano, tutt’attorno. Mi viene indicato un punto, a quattrocento metri sulla destra, oltre la fine dell’ovale del Circo: davanti, un altro mare di bandiere; e più oltre? "Beh, non ci sarà altrettanta gente, perché non c’è altrettanto spazio come qui nel Circo, però…"

L’emozione è palpabile: essere in tanti, con tutto quel colore rosso ritenuto desueto, commuove. Cofferati, invece, smonta la folla. Una lunga prolusione contro il terrorismo: doverosa, ma scontata. La gente non è venuta qui a milioni "contro il terrorismo": quei quattro gatti, pur sanguinari, pur pericolosi, non meritano tanto. Il popolo di sinistra è qui perché ritiene di dover difendere la democrazia, il lavoro, la sicurezza sociale; minacciati non dalle BR, ma dal centro-destra.

Cofferati ci arriva, ma con calma. Evitando le emozioni. Usando toni pacati, quasi freddi.

Sviluppando invece ragionamenti. La questione di fondo con il governo "è il modello di economia e di società, che non è fondato sulla qualità, sull’innovazione, sulla valorizzazione della persona; ma sui tagli dei costi, delle tutele sociali, dei servizi, dei diritti."

Una visione diversa alla radice. La Cgil l’aveva già enunciata durante il suo recente congresso (snobbato dai media, che gli avevano anteposto il bolso teatrino dei partiti): qui, al profilarsi di un aspro scontro sociale, alla luce delle linee d’azione del governo, questa divaricazione appare in tutta la sua evidenza. "Vediamo nella scuola; dove le scelte non puntano su una società imperniata sulla formazione; ma evidenziano un disegno per impoverire e rendere marginale la scuola pubblica. E’ una visione cinica della vita: per i più forti scuole private e privilegi; per i più deboli una povera formazione professionale e un’oscura vita di subalternità."

E così sul fisco, i servizi sociali, la previdenza: più privilegi, meno diritti.

"Mentre al contrario noi vogliamo estendere i diritti anche a chi è nato altrove, e liberamente chiede di vivere e lavorare qui." Ma non possiamo dare nuovi diritti e al contempo togliere quelli da tempo acquisiti.

"Si dice, a chi è tutelato: di che ti preoccupi? Stiamo solo cercando di dare più lavoro ai giovani. Ebbene, questo non è vero, non c’è stata mai alcuna relazione tra libertà di licenziare e possibilità di assumere. Ma poi c’è un’intenzione subdola, prospettano un patto corporativo a chi è tutelato, cercano il consenso dei garantiti per negare i diritti a coloro che li chiedono. Ma noi non ci possiamo stare: è una questione di cultura - e qui la voce, per una volta si appassiona - noi siamo figli dell’idea di solidarietà!"

Alla fine del non breve discorso, applausi, tanti e sinceri, ma non un’ovazione. Si sfolla lentamente, pensierosi. Ci scambiamo qualche prima parola di commento. Il deflusso è lentissimo; perché milioni di persone non si possono muovere tutte insieme; ma anche perché si ama indugiare, andare prima nella zona del palco, vedere bene tutti i luoghi, assaporare in pieno il senso della giornata. Stare ancora un po’ insieme, con questa variegatissima umanità cui ci si sente tanto vicini.

"Beh, da Cofferati mi sarei aspettato più calore, più pathos…" - mi confida un giovane amico. Vero: il cinese non ha emozionato. Soprattutto non ha eccitato gli animi. Ma ha convinto. Ha fornito nuove ragioni ai milioni di fronte a lui. Che le ripeteranno a casa, sul lavoro, con gli amici.

Forse questo è un aspetto fondamentale della democrazia; che ha fatto scoprire a Berlusconi come sei reti tv, una decina di giornali, un centinaio di opinionisti a libro paga, non possano sempre bastare.