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QT n. 2, 26 gennaio 2002 Servizi

Congresso Cgil: ringraziando Berlusconi

La Cgil trentina, dopo mesi di lacerazioni, ritrova unità, linea e ruolo. E non è solo merito del Cavaliere...

E’ Silvio Berlusconi il nuovo padre del sindacalismo italiano? Nel senso che è stato il governo di centro-destra, a forza di minacciare licenziamenti e aggredire lo stato sociale, a riuscire a compattare un mondo sindacale altrimenti in crisi e lacerato?

Bruno Dorigatti, segretario uscente della Cgil trentina: una riconferma tutt'altro che scontata.

Questa può essere una lettura dei recenti avvenimenti, e tra questi, del recente congresso della Cgil trentina. Una lettura corretta, ma forse parziale. Ci sembra infatti di poter dire che, nella società globalizzata, il movimento sindacale - o per lo meno la Cgil - stia cercando la propria legittimazione in un ruolo che vada oltre quello di strumento di difesa dalle aggressioni dell’attuale governo.

Questo congresso era infatti iniziato, nei mesi scorsi, sotto pessimi auspici. A livello nazionale lo scollamento tra la Cgil e le altre centrali sindacali, aveva raggiunto ormai il livello di guardia: l’ultimo contratto dei metalmeccanici è stato firmato da Cisl e Uil, non da Cgil; con il conseguente contenzioso, la Cgil propone un referendum tra i lavoratori, se questi non lo approvano, il contratto non vale.

Questa dovrebbe essere la democrazia; ma le centrali sindacali sono anche strutture burocratiche, basate sul riconoscimento delle controparti; la durissima prova del disconoscimento elettorale sarebbe non una semplice sconfitta, ma la bomba atomica, l’arma totale.

A livello locale, la Cgil era travagliata da lotte intestine acutissime. In contrapposizione al segretario Bruno Dorigatti (della corrente del segretario nazionale Cofferati) si era organizzata la corrente di sinistra, guidata da Franca Peroni. Cosa buona e giusta; solo che non si creava un dibattito politico, ma una conflittualità interna, tutta giocata sui posti da occupare, ben presto degenerata in rissa. E peggio: l’ultimo congresso della Fiom (i metalmeccanici della Cgil) è stato sospeso causa pesantissime accuse sulla regolarità dello svolgimento e delle votazioni. Da Roma arrivavano i commissari con precisi compiti: ispezionare atti e contabilità, pilotare il congresso, con le buone o con le cattive, verso una pacificazione, passando attraverso la sostituzione di Dorigatti.

Una situazione allarmante. A questo punto, ecco arrivare Berlusconi e fornire un poderoso aiuto.

n Europa ci siamo e ci resteremo. Però per l’Italia - ha spiegato al congresso Carlo Ghezzi, della segreteria nazionale - ci sono due maniere di restarci: una linea alta, che punta su istruzione, qualità del prodotto, qualità del lavoro; e una linea bassa, che punta su un ruolo marginale, politico e produttivo, bassi livelli di qualificazione. La prima linea postula una società coesa e solidale, la seconda una società dell’individualismo arraffone e della precarietà".

IEcco quindi il ruolo, attualissimo, del sindacato: sconfiggere il tentativo di dar vita, secondo Dorigatti, ad una "’società del rischio’, fondata sulla precarizzazione delle condizioni di vita, in cui l’incubo dell’esclusione sociale è sempre più incombente". Per fondare invece una società basata sulla qualità: qualità dell’istruzione, della vita, della produzione, del turismo, dell’ambiente.

In questa visione, il ruolo del sindacato è centrale. Infatti le crisi incrociate della partitocrazia e della sinistra non rendono credibile un Fassino che pesta il pugno sul tavolo; ma un Cofferati che aggrotta le ciglia fa paura.

E non solo perché gli scioperi fanno male, più delle interrogazioni parlamentari; ma perché la Cgil è riuscita a costruirsi, con la coerenza, una credibilità che comincia a pagare. Cisl e Uil sembrano aver abbandonato ogni ipotesi di andare per proprio conto; Dorigatti può con piena legittimità rivolgersi ai no-global ("perché quelle centinaia di migliaia di persone che oggi sostengono che un altro mondo è possibile, stanno sotto la nostra stessa bandiera, quella dei diritti civili e della giustizia sociale"); e Ghezzi può rivendicare come "oggi in tanti ci diano ragione; e in tantissimi, che non sono né operai, né pensionati, si iscrivono alla Cgil, perché condividono il modello di società per cui lottiamo". Il che spiega i numeri: contro ogni pur recente ipotesi di estinzione del sindacato, la Cgil, per il quarto anno consecutivo, registra il massimo storico di iscritti, un boom di iscritti giovani (anche e soprattutto in aree come il Nord-Est) di lavoratori atipici, di immigrati.

Ci sono tuttavia le mutazioni delle condizioni di lavoro, dei profili sociali, "e noi dovremo adeguarci, per venire incontro alle nuove esigenze. E’ un compito difficile, e siamo in ritardo. Ma non ho dubbi che ne verremo a capo. Perché questa è la nostra storia: siamo nati come organizzazione degli scarriolanti, delle mondine, dei cappellai, e poi ci siamo adeguati a 150 anni di mutazioni sociali. Diventeremo il sindacato europeo, dove sarà decisiva l’idea confederale, la visione complessiva".

Orgoglio di organizzazione, doveroso in un congresso, che è anche - e spesso soprattutto - emozione e propaganda? Certo; ma non solo.

Il ruolo indubbio acquisito dalla Cgil ha infatti smorzato, a livello nazionale, ogni contrapposizione polemica. La corrente di sinistra (denominata, polemicamente, "cambiare rotta") contesta, in particolare, un punto chiave della linea di Cofferati, la cosiddetta "concertazione", la pratica degli accordi a tre (governo, Confindustria, sindacati) in politica economica, che per esempio hanno permesso l’ingresso in Europa. Ora, con la Confindustria di D’Amato e il governo di Berlusconi, la concertazione è un ricordo, il problema è l’aggressione ai diritti e allo stato sociale. Svaniscono quindi i motivi della contrapposizione interna, anche perché la linea di Cofferati (aggregare la parte di società, industriali compresi, che vuole orientarsi verso l’apertura e la qualità) risulta difficilmente contestabile.

A livello trentino il discorso va invece fatto sulla segreteria Dorigatti. Sul fronte dell’apertura alla società e del pluralismo, Dorigatti ha fatto compiere al sindacato decisivi passi in avanti: nessuna riverenza verso il suo partito di provenienza, i DS, che ha invece ripreso per la scarsa attenzione verso il mondo del lavoro; apertura di dialogo vero con tutti, da Rifondazione ai no-global alla Confindustria; immissione nel sindacato di forze e culture nuove, che si riferiscono all’ambientalismo, al pacifismo, all’accoglienza.

Un discorso più approfondito merita il rapporto con il padronato. In Trentino, in una situazione di piena occupazione, gli industriali, che periodicamente si lamentano della carenza di mano d’opera, vedono come una jattura qualsiasi ipotesi di conflitto sociale. Di qui l’adesione formale alle barricate anti centro-sinistra del precedente presidente Fossa; e la freddezza verso la linea di scontro frontale di D’Amato. In questo contesto Dorigatti, in sintonia con il direttore dell’Associazione Industriali Fabio Ramus (l’uomo che oltre i presidenti rappresenta la continuità della Confindustria trentina) ha pensato di poter avviare, assieme alla giunta provinciale, una politica locale di concertazione, tesa ad avviare anche da noi, una politica economica della qualità.

Purtroppo il partner debole è risultato quello politico, la Giunta Dellai. Chiacchiere tante, documenti sottoscritti a bizzeffe, provvedimenti legislativi zero o giù di lì. Se si eccettuano i soldi sganciati all’Università, alcuni significativi protocolli d’intesa come quello sugli infortuni, di concreto c’è stato poco o nulla. Anzi, uno strumento come i Patti Territoriali, che nella visione concertativa dovevano sollecitare, attraverso processi partecipativi, "grandi investimenti sui saperi, sulla formazione, sulle infrastrutture del territorio" nella pratica di Dellai e Grisenti sono invece "divenuti in diverse occasioni lo strumento dei poteri forti locali", come amaramente constata lo stesso Dorigatti.

E in questo contesto anche gli industriali si sono messi a pensare ai problemi di bottega di alcuni di loro, cominciando a sostenere quegli interventi (dalla PiRuBi al mega Interporto, prima accantonati) che significano spreco di soldi pubblici per un Trentino peggiore.

Insomma, a Trento la concertazione con questo centro-sinistra inconcludente è stato un flop: "La Giunta provinciale ha continuato ad avvitarsi sui problemi di assestamento politico".

Su questo punto però l’opposizione interna non ha mai incalzato Dorigatti. Il quale non rinuncia alla propria linea di fondo, bensì la sgancia dalle sorti di questo governo e da riferimenti politici contingenti: "Vogliamo riaprire il confronto per ragionare attorno al futuro…, vogliamo innalzare il dibattito sulle grandi opzioni, vogliamo scuotere il Trentino dal torpore in cui si è adagiato. Il modello di società basato sulla precarietà invita le imprese a ricercare la competizione sul versante della flessibilità esasperata, dell’evasione dei diritti e delle regole. Per queste ragioni abbiamo assunto il tema della qualità come asse portante della nostra strategia e del modello di sviluppo che perseguiamo."

A contrastare la linea di Dorigatti, di alto profilo seppur attualmente in stallo, non c’è stato alcunché. Gli interventi degli oppositori si sono limitati a richiedere "pluralismo", cioè una acconcia distribuzione di sedie. E così i papaveri romani, venuti per commissariare Trento sospendendo la rielezione del segretario, si sono trovati di fronte a una sola linea politica, la sua. Quando in una lunghissima riunione notturna hanno tentato di imporre la dilazione dell’elezione, si sono trovati il 90% dell’organizzazione che a spada tratta voleva la riconferma immediata di Dorigatti. Analizzati con la lente i libri contabili (in seguito a velenose insinuazioni anonime), hanno trovato una situazione correttissima.

"Beh, forse abbiamo avuto informazioni sbagliate - è stato il loro commento finale - Meglio, molto meglio così".

In questa maniera il congresso trentino riduceva a poca cosa mesi di litigi velenosi. La presenza di un avversario detestato e incombente (il centro-destra berlusconiano e il padronato alla D’Amato) fungeva da formidabile elemento di coesione.

Ma soprattutto la consapevolezza di avere qualcosa da dire, un ruolo importante da svolgere: dobbiamo costruire la società del 2000, ci perdiamo a litigare per gli strapuntini?