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“Dall’acquila bicipite alla croce uncinata”

Mauro Scroccaro, Dall’aquila bicipite alla croce uncinata. L’Italia e le opzioni nelle nuove provincie. Trentino, Sudtirolo, Val Canale (1919-1939). Museo Storico, Trento, 2000, pp.380, £.35.000.

Quando Thomas Martinz nacque, nel 1895, a Coccau, in Val Canale, il paese era nell’Impero Austro-Ungarico. Nel 1919, terminata la Grande Guerra, esso diventa Regno d’Italia. L’8 settembre 1943, con la costituzione dell’Adriatische Kuenstenland, la Val Canale diviene, di fatto, parte del Reich germanico. Tornerà Italia, Regno e poi Repubblica, in provincia di Udine, alla fine della seconda guerra mondiale.

Mentre leggo la storia di questo contadino friulano, sposato con Aloisia Klavora, slovena della vicina Valle dell’Isonzo, penso a un prete palestinese che un giorno, a Gerusalemme, mi raccontò così la sua storia: "Nel corso del Novecento la mia famiglia ha cambiato passaporto ben cinque volte: prima turco, poi inglese, giordano, israeliano, e ora, finalmente, palestinese." L’analogia fra le due situazioni lontane illumina la drammaticità di entrambe le storie.

E’ vero, la terra, qualunque bandiera vi sventoli sopra al confine, la si chiami in tedesco, in sloveno, in italiano, ripete Thomas, "bisogna sempre zapparla, seminarla, ararla". Ma perché allora gli uomini hanno bisogno di tracciare confini, che poi scoprono dolorosi, inadeguati, pericolosi? E usano, per segnarli, i monti, i fiumi, i mari, e poi le sbarre, i fili spinati, con le guardie armate a difenderli?

A Thomas Martinz, alla moglie, ai tre figli, oltre il cambio di passaporto, sarà addirittura imposto, nel 1939, da un accordo fra l’Italia fascista e la Germania nazista, di scegliere se rimanere tedeschi, quali erano, e però allora di abbandonare la propria terra, e trasferirsi nei territori del Reich, oppure di diventare buoni italiani, restare a Coccau, rinnegando la propria cultura.

Furono queste le "opzioni", inventate dal "nazionalismo barbaro" (la definizione è di Claus Gatterer) dei due regimi totalitari, per conseguire la "pulizia etnica" di territori che la storia, sbadata, degli uomini, aveva prodotto multietnici e mistilingui.

Thomas, tormentato da mille dubbi, opta per la Germania, ne ottiene la cittadinanza, ma il "trapianto" si rivela irto di ostacoli: la vendita dei suoi beni a Coccau va per le lunghe, la nuova casa, e i campi, che gli vengono offerti, in Carinzia, non lo convincono. Ha l’impressione di subentrare a proprietari cacciati da poco, forse sloveni, per far posto a lui, che diverrebbe uno strumento violento di germanizzazione. Da vittima si trasformerebbe in carnefice. Così rimane in Italia, ma come uno straniero a casa propria. La cittadinanza italiana la riotterrà solo nel 1948, "ri-optando" a rovescio, ma passando per altri sospetti e difficoltà.

Sulle opzioni i dati numerici sono ingarbugliati, riconosce Mauro Scroccaro. Fra gli ammessi alla "scelta", in Sudtirolo (dove risiede ovviamente la popolazione più numerosa), nelle valli ladine, nella zona mistilingue della provincia di Trento, in Val Canale, nel 1939 gli optanti per la Germania sfiorarono il 90%. Il risultato dimostrava il fallimento della politica fascista di "italianizzazione" delle nuove provincie, annesse dopo la vittoria nella "grande guerra".

Ma come si era arrivati alle opzioni? Al censimento del 1921, in quelle regioni risultavano presenti 887.976 italiani, 258.944 sloveni, 199.835 tedeschi, 92.800 serbo-croati, 68.842 ladini. Sono numeri che dimostrano come quella non era stata semplicemente la quarta guerra d’indipendenza, la conclusione del Risorgimento, per completare l’unità nazionale, secondo gli ideali degli interventisti democratici. Sull’annessione del Sudtirolo, in particolare, così scriveva nel 1919 Gaetano Salvemini: "Se fossimo sicuri che il nostro governo saprebbe fare dell’Alto Adige una specie di Cantone Svizzero del tutto libero nell’amministrazione, nelle scuole, nella vita religiosa, con dieta propria del tutto indipendente dal Parlamento di Roma...; se fossimo sicuri, insomma, dell’intelligenza e del buon senso del nostro parlamento, della nostra burocrazia e del nostro abominevole giornalismo, noi aderiremmo con assai minori esitazioni al confine del Brennero. Ma abbiamo dei dubbi".

I dubbi Salvemini li esprimeva sui governi liberali di Nitti e Giolitti. Vennero poi, nel ’22, addirittura il fascismo in Italia, e nel’33, il nazismo in Germania. Le intenzioni di Mussolini sono espresse dalle direttive date quando fu creata la provincia di Bolzano: "In un decennio bisogna spingere al massimo l’italianizzazione della regione e quindi alterarne profondamente e durevolmente il carattere fisico, politico, morale, demografico." Ispiratore della politica fascista era il senatore Ettore Tolomei, convinto sostenitore della superiorità della cultura italiana, che in Alto Adige si era solo assopita a causa delle invasioni dei tedeschi nel medio evo.

L’italianizzazione forzata cominciò con la lingua, dalla toponomastica alle iscrizioni tombali. A scuola, l’abbiamo visto in un documentario dell’Istituto Luce proiettato al Museo storico per la presentazione del libro, campeggiava la scritta: "Vietato sputare per terra e parlare in tedesco".

Ma il ricordo dell’Austria e del suo "buon governo" non fu sradicato, non solo in Sudtirolo, ma nemmeno in Trentino, che pure era italiano. Al momento dell’occupazione, che per il soldato italiano era liberazione, nel 1915, una ragazza del Primiero si esprimeva così al suo giovane interlocutore: "Noi vogliamo restare sotto l’Austria, che economicamente ci tratta bene; ma vogliamo restarci come italiani, con le nostre scuole e la nostra lingua". Su questo stato d’animo si innestò la politica fascista autoritaria, negatrice di ogni autonomia. Il "dogma della conformità fra stato e nazione", come lo definisce nella premessa al volume Christoph von Hartungen, non si era evidentemente ancora diffuso nelle vallate trentine.

Racconta Claus Gatterer, in "Bel paese, brutta gente come", a maggior ragione, fra i sudtirolesi, poveri e ricchi, piccoli contadini e grossi proprietari, fosse profonda la speranza che il confine potesse essere presto corretto, e di poter tornare con l’Austria. Intanto a scuola i bambini erano costretti a festeggiare il 4 novembre: "la vittoria sui nostri padri, l’inutilità del loro sacrificio e il dolore dei superstiti". I nomi dei bambini erano storpiati dai maestri italiani, il podestà era arrogante, i carabinieri diffidenti.

La soluzione radicale al problema venne individuata dalle due dittature in una pulizia etnica che cancellasse le zone grigie. I nazisti (il regista dell’operazione fu Himmler, il capo delle SS), ebbero le idee chiare fin dall’inizio: la scelta a favore della Germania doveva essere di massa, sia per accrescere il prestigio di Hitler, sia per procurare al Reich quella forza lavoro che scarseggiava. I fascisti oscillarono fra la soluzione integrale, e la consapevolezza dell’alto prezzo che essa comportava, sia in termini economici che di prestigio. Alla propaganda tedesca, capillare, piena di promesse, e violenta addirittura nei confronti dei Dableiber (coloro che intendevano restare), gli italiani, penalizzati da una ventennale politica vessatoria, seppero opporre, e soltanto negli ultimi giorni, parole retoriche.

Il risultato, quasi un plebiscito per la Germania nazista, fu uno smacco per il fascismo, aggravato dalla pretesa di molti italiani di essere ammessi alle opzioni, perché dall’emigrazione si aspettavano un avvenire più roseo di quello che l’Italia poteva promettere. Un anziano che fu, da bambino, testimone diretto, ha sentito un optante di Pergine dichiarare fiducioso, mentre saliva sul treno:" Le lucaniche non saranno abbondanti, né facili da raggiungere, nemmeno in Germania, ma un poco più comode che in Italia, lo saranno di certo". In realtà fu un tuffo nel vuoto "per migliaia di persone costrette a scegliere tra la propria terra, la propria casa, la propria piccola patria, e l’appartenenza etnica, culturale, linguistica."

L’autore della ricerca, Mauro Scroccaro, ritiene che nella scelta abbiano prevalso le ragioni economiche. Leopold Steurer ammette, invece, che soprattutto fra i giovani, diluendosi con il tempo la tradizionale identità austriaca, la propaganda nazistaebbe qualche successo. Ed alcuni degli optanti divennero, da vittime, veri e propri carnefici, in quanto arruolati subito nella Wehrmacht e nelle SS. Equelli che, dopo il ’45, poterono ritornare, non ricostituirono più comunità con i Dableiber. Le opzioni rimasero a lungo un nodo irrisolto, una storia rimossa.

Questo produssero, cioè una "barbarie nazionalista", i regimi totalitari di Hitler e Mussolini, maneggiando i concetti di minoranza e di razza, di identità e di confine.

Ma, e le democrazie?, gli organismi internazionali? - si sono domandati in parecchi, dialogando con l’autore, pensando alle guerre interetniche, e neotribali, di oggi, in Jugoslavia, in Africa, in Asia. Sono esempi riusciti gli Stati Uniti, il Canada, l’Italia dei nostri anni?

Lo stesso giorno, sconvolto dalla tragedia che insanguina ogni giorno la Palestina, rilascia a la Repubblica un’intervista Abraham B.Yehoshua: "Io sostengo che, dopo un secolo di guerre, arabi ed ebrei devono separarsi, creare un confine chiaro, occuparsi ciascuno del proprio Stato, dei propri problemi." La storia delle opzioni è però qui a dimostrarci che il "confine chiaro" è un’illusione. Ma perché gli uomini, anche nell’era della globalizzazione, di confini hanno bisogno?

Josef Martinz, il figlio di Thomas, alla presentazione del libro finisce casualmente accanto a me, mi illustra le fotografie, e mi dice: "Noi siamo stati maltrattati per tutta la vita: l’Austria ci considerava italiani, mentre per l’Italia eravamo tedeschi!" I sospetti si sono trascinati anche negli anni della Repubblica.

La prognosi che Eric J.Hobsbawm traccia sulla democrazia, a conclusione de "Il secolo breve", è preoccupata. Quando le divisioni etniche (e religiose) si radicalizzano, e le componenti di un popolo si sentono incompatibili, la democrazia, inventata per contare le teste una alla volta, si rivela metodo di governo inadeguato. La globalizzazione moderna abbassa i confini, distrugge vecchie identità, ma ne inventa anche di nuove, distorte ed esclusive. Basta che si riducano le risorse economiche da distribuire ai vari gruppi, che esplodono identità che credevamo imbrigliate, assopite, persino capaci di comunicare fra loro. Nemmeno noi, in Italia, in Trentino-Alto Adige, possiamo sentirci tranquilli - ci ha ammoniti Leopold Steurer.

L’identità ci dà sicurezza. E contemporaneamente costituisce un pericolo.

La democrazia ci permette però, se vogliamo, negoziando in continuazione, di tenere i rischi sotto controllo, quelli fuori e quelli dentro di noi, e di scoprire che alla fine "noi siamo gli altri". Non possiamo rinunciare ai confini, ma possiamo non barricarci attorno ad essi.