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Il Grande Nulla

Ci stiamo abituando anche al Grande Fratello, ma c’è ancora qualche voce di protesta. Non laica, purtroppo.

Col Festival di Sanremo e col concorso di Miss Italia, si sa, è ormai una partita persa: chi si azzarda ad avanzare critiche di fondo, è subito irriso, tacciato di essere uno snob, un intellettualoide rétro e cattocomunista: il tutto basandosi sul singolare argomento che le critiche sono sempre le stesse, ormai vecchie di decenni e dunque svalutate. E comunque un auditel favorevole è una sorta di indulgenza plenaria che lava ogni peccato: il successo dimostra il favore di Dio e quindi l’intrinseca bontà di un programma. Si vede che stiamo diventando protestanti…

Col "Grande Fratello" sta succedendo lo stesso: dopo il dibattito anche acceso dello scorso anno, le acque si sono placate, la resistenza è cessata, il malloppo metabolizzato. La sola speranza risiede ormai in un abbassamento degli ascolti.

Benedetto, dunque, sia don Reanto Tamanini, un passato di 16 anni in Bolivia, attualmente direttore del seminario diocesano, che durante la messa domenicale nel Duomo di Trento ha inserito questa singolare preghiera: "Per tutti quelli che guardano il Grande Fratello, Cristo, pietà", motivando poi, sull’Alto Adige del 23 ottobre, le ragioni della sua iniziativa: quella trasmissione "esprime un modello dominante, che è quello del vuoto, dell’occuparsi del niente" ed esalta una "voglia di successo e di denaro che soffoca ogni autonomia personale [dei concorrenti], vittime come sono di un condizionamento culturale talmente forte che non ammette alcuna idealità"; e che li rende disponibili a "lapidare, in cambio del successo, anche la loro immagine, mettendo in piazza ciò che hanno di più caro e di più intimo".

Il cronista che raccoglie queste parole appare meravigliato: "Ma tutto questo – chiede beatamente - con la fede cosa c’entra?"

"La fede non serve in cielo – spiega paziente il sacerdote - serve in terra per aiutare a prendere posizione di fronte a quello che succede".

Ma il giornalista non è ancora convinto: il "Grande Fratello" sarà senz’altro discutibile, ma "che qualcuno arrivasse a mettere in guardia i fedeli dal pulpito di una cattedrale, forse non se lo aspettavano in molti". E così va a cercare conferma da un altro prete, don Agostino Valentini, ex direttore di Vita Trentina (ha capito ch’è inutile rivolgersi al mondo laico: la sinistra non segue queste minuzie, si occupa di cose serie, come gli equilibri in giunta provinciale…).

E don Agostino non si tira indietro: "E’ un programma squallido. Squallido per ciò che si dicono tra loro quei ragazzi, squallido per l’idea di fondo, quello cioè di un’Italia guardona. (…) Serve a rincretinire i ragazzi, ad offrire loro un modello di vita, un’altra possibilità di pensare meno alle cose serie, o di far loro credere che le cose serie non esistono. E’ un programma fortemente diseducativo".

Per completare il panorama, ecco poi il parere dello scienziato, il prof. Antonio Scaglia, preside di Sociologia, che pacatamente dissente dai due sacerdoti: "Censurare non serve… è importante piuttosto offrire alla gente gli strumenti per conoscere le cose, metterla in grado di poter scegliere".

Un discorso apparentemente sensato: se proprio la televisione non fosse, a conti fatti, la principale "agenzia educativa" che quegli strumenti dovrebbe fornire. Giudichino i lettori.

Qualche giorno più tardi, infine, arriva la stringata replica di uno degli autori del programma, Gian Maria Tavanti, che con una profondità di pensiero degna dei suoi protetti, così ribalta la frittata: vuoto di valori? "E’ piuttosto un esempio di tolleranza e integrazione. Questi ragazzi entrano in relazione con persone alle quali forse non si sarebbero mai avvicinati".

Un programma per guardoni? "Alla gente piace conoscere la verità, e il Grande Fratello racconta storie di vita vera".