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QT n. 18, 27 ottobre 2001 Servizi

Anche la fame è guerra

L'odio verso il mondo ricco e indifferente agli altri: questo il problema, che sembra non si voglia vedere.

Ha scritto in questi giorni Günter Grass, il testimone non reticente delle tragedie europee del Novecento: "Io provo profonda solidarietà e compassione per l’America. Ma a lungo il mondo ricco restò indifferente a fronte dei 250 mila musulmani bosniaci massacrati da serbi e croati, o delle 800 mila vittime delle stragi in Ruanda. Sembra a volte che i morti nel ‘nostro’ mondo ricco valgano dieci o cento volte di più di quelli delle tragedie del Terzo mondo, e che i morti del Terzo mondo per noi siano solo fredde cifre con tanti zeri".

Günter Grass, scrittore.

Due sentimenti da coltivare insieme se non si vuole scadere in posizioni falsate della storia e del futuro.

La minaccia del fondamentalismo, i crimini del terrorismo e la sua carica destabilizzante non possono mai essere ignorati, né sottovalutati. Per questo non siamo d’accordo con chi è pregiudizialmente contrario a qualsiasi intervento armato. Ma la solidarietà all’America non può essere illimitata ed acritica quando l’intervento armato (non a caso effettuato con i sistemi vecchissimi delle bombe su un paese dove non ci sono più case, cibo e occhi per piangere) è deciso e realizzato fuori da istituzioni e regole certe che dovrebbero disciplinare operazioni di polizia internazionale. E questo perché l’unica superpotenza ha pensato di poter controllare il mondo da sola, quando non di poter fare a meno di un governo mondiale. Che adesso è invece costretta a rincorrere, con dinamiche confuse e dagli esiti incerti.

E’ qui che urgente deve manifestarsi il ruolo politico dell’Europa, che dalla durissima lezione delle tragedie del Novecento da essa provocate trae motivi per vivere sul diritto, la convivenza e la tolleranza E che senza le contrapposizioni ideologiche della vecchia guerra fredda può evitare agli Stati Uniti l’onere di essere il riferimento, la potenza, il simbolo esclusivo dell’ordine mondiale.

L’Europa deve evitare per rispetto ad un paese amico, atteggiamenti d’acritica acquiescenza, perché rischia di diventare solidarietà cieca, che impedisce ai paesi europei di fermare in tempo, un amico che sbaglia.

L’opposto di quel che intende fare Berlusconi con la sua maggioranza e il suo governo con la parata stelle a strisce programmata per il 10 novembre, altra dimostrazione, né richiesta né apprezzata di un servilismo fuori del tempo e della storia, cui si vuole confinare l’Italia nel concerto delle nazioni europee.

Il terrorismo sopravviverà infatti alla caduta di Bin Laden, e del governo dei Talebani. Per questo la soluzione non può essere solo militare. Alle Nazioni Unite, vent’anni fa, Willy Brandt, un leader della sinistra europea, un premio Nobel per la pace, sosteneva: "Finché non avremo equamente diviso le risorse del mondo non vi sarà giustizia, senza giustizia non vi è pace e senza pace non vi sarà libertà in nessuna parte del mondo. Anche la fame è guerra." Brandt fu applaudito, ma il suo rapporto Nord Sud, fu messo nel cassetto.

Il "tutto cambierà nel mondo dopo l’11 settembre" non ha avuto voci profetiche, ma nemmeno realistiche nel mondo dei vertici e dei consessi che determinano i destini del mondo.

Lo ha ricordato ancora una volta proprio Grass, l’autore del "Tamburo di latta", testimone d’esodi, pulizie etniche, odii che sono state fonti di reciproco sterminio nel cuore dell’Europa, che solo il sonno della memoria possono farci dimenticare: "E’ morta la società basata sul divertimento nel ricco Occidente. Quegli orribili attentati hanno voluto essere anche un’esplosione d’odio verso il ricco Nord del mondo, verso il mondo ricco, freddo e indifferente ai problemi del mondo povero".

Se non si parte consapevolmente da qui, allora non si capisce perché così rapidamente si sia sbiadito il ricordo dei morti delle Twin Towers. Morti reali e mai visti, come accade per i civili afgani colpiti dalle bombe. Vittime che rischiano di essere morte inutilmente, perché troppi parlano all’America col pregiudizio della terra del male o con la voce querula e vile dei servi, piuttosto che con l’azione responsabile e corresponsabile degli amici leali, che proprio per essere tali devono usare la severa virtù della critica.