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La lezione di Genova/7

Francesco Crosato

Poveri balilla! Un tempo ai Balilla si era propensi a dare molta importanza. Infatti li si riteneva il futuro della Nazione. Fieri, impettiti e sgambettanti, avevano il privilegio di marciare nei cortei e nelle sfilate in testa a tutti gli altri. I più piccoli erano detti "Figli della lupa", i più grandicelli "Balilla moschettieri". Ad essi venne dedicata anche una canzone, "L’Inno del Balilla", che narra di quel bimbo quattordicenne che, lanciando un sasso contro i soldati austriaci che occupavano Genova, dette inizio ad un’insurrezione popolare che in pochi giorni liberò la Liguria. Fu una specie di intifada palestinese, che ebbe la meglio sull’intero esercito austriaco. Passato il ventennio fascista, dei Balilla non si sentì più parlare.

Ora non si ammette più che un fanciullo per bene, che un figlio educato, che un ragazzo rispettoso di certi principi e di certi ideali tiri sassi in fronte a qualcuno. Soprattutto non si ammette che egli si ponga contro il potere costituito, anche se si tratta di un’azione esaltante ed eroica.

Eppure di fare qualcosa di buono i giovani di adesso sono ancora capaci. Sempre a Genova, come ai tempi dei Balilla, pochi giorni or sono un giovane agì con eroica fermezza contro gli occupanti della città. Non si è trattato di eserciti stranieri, bensì delle forze di polizia, cui ormai spetta il compito di reprimere ogni manifestazione che sia contraria al potere e ai suoi interessi.

In questo caso era in corso una riunione degli 8 Grandi della Terra, ovvero dei G8 e dei loro portaborse. L’incontro riguardava la globalizzazione della produzione e dei mercati, nonché la rischiosissima manipolazione genetica. Si mirava a spartire l’economia mondiale in modo tale da rendere sempre più ricchi i paesi che già detengono la maggior parte delle ricchezze a danno dei paesi poveri che, di conseguenza, sono condannati ad impoverirsi sempre più. Ad essi si riservano le briciole dell’economia occidentale. Agli africani, sempre più affamati e malati, sono state devolute dai G8 seicento lire a testa, affinché con questi soldi si curino l’AIDS o, in alternativa, si comperino una caramella.

La riunione degli 8 Grandi è avvenuta proprio nel cuore della città, reso inaccessibile ed inespugnabile da un gran numero di poliziotti e di carabinieri pronti a tutto. Era il 20 luglio 2001. Pulita, rassettata e messa a nuovo, la parte della città che era riservata all’incontro dei Potenti della Terra fu transennata da imponenti barriere metalliche, da un muro di blocchi di cemento e da file di enormi containers. Nessun oppositore, nessun dissidente, nessun manifestante avrebbe potuto entrare nella zona interdetta a turbare la quiete degli 8 Governanti, intenti com’erano, nelle loro splendide dimore, a discutere di affari, a fingere di aiutare i poveri del mondo e a gustare delicati manicaretti.

Frattanto masse di giovani, in rappresentanza delle forze democratiche di tutto il mondo e degli stessi paesi costituenti i G8, erano convenute tutt’attorno alla zona del divieto per manifestare contro gli abusi e le prevaricazioni dei Grandi della Terra. Essi cercavano solo di far sentire la loro voce e le loro ragioni. Questi giovani, vera espressione del desiderio di rinnovamento contro l’attuale condizione di immobilismo e di sclerosi che l’incontrastata vittoria del capitalismo ha portato con sé, rappresentavano ogni strato sociale. Nella loro diversità hanno costituito una vera galassia di tipi umani col loro vario modo di pensare, di vedere le cose, di provare fedi e sentimenti e di partecipare ai più esaltanti eventi.

Tutti questi giovani, mossi da intenzioni umanitarie e altruiste, sono andati a costituire, confluendo a Genova, il cosiddetto popolo del no, ovvero il movimento antiliberista di coloro che si oppongono alla globalizzazione e alle sue perverse conseguenze sull’economia dei paesi più poveri. Dentro Il Genoa Social Forum, che raggruppa più di 800 organizzazioni contrarie alla globalizzazione selvaggia, hanno trovato posto le tute bianche, promotrici di un’azione puramente passiva; "i migranti", riconoscibili dalle mani tinte di bianco e agitate in aria; quelli della "disobbedienza civile e non violenta", che pensano e pregano nelle canoniche; gli "zapatisti"; i "neomarxisti"; gli "antimperialisti"; i militanti della "Rete Liliput", ala pacifica del GSF. Ma hanno trovato posto anche i duri provenienti dal mondo intero e disposti a menar le mani, le "tute nere", alcune delle quali altro non erano che carabinieri travestiti e infiltrati a scopo provocatorio tra i dimostranti; i "black-bloc", sciami di gruppi di affinità anarchica provenienti dall’estero; i frequentatori dei Centri Sociali; le truppe dell’organizzazione fascista di "Forza Nuova", riconoscibili dalla testa rasata: circa centomila giovani assetati di giustizia e solo in minima parte disposti alla violenza e alla guerriglia urbana. A qualche migliaio di ragazzi per ragioni di sicurezza fu negato l’ingresso in Italia. "Tutta gente che sta contro l’Occidente" li ha definiti il premier Berlusconi, mentre per un suo ministro sono da considerare, semplicemente, "dei gaglioffi in tuta bianca". Troppi questi gaglioffi, perché non si debba temere per il futuro dello stesso Occidente.

Tra tutti questi giovani uno si è particolarmente distinto, tanto da diventare, sicuramente, il simbolo e il martire del Movimento Anti-G8. Si tratta di Carlo Giuliani, un ventenne che quel giorno ha combattuto nella guerriglia urbana in nome dell’antiglobalizzazione e contro il profitto facile del neocapitalismo. Il suo impegno nella lotta fu tale da provocargli la morte. Mentre egli tenta di lanciare contro una camionetta dei carabinieri una rossa bombola da estintore, una mano, armata di pistola, dall’interno dell’automezzo gli spara contro, a bruciapelo e in pieno volto. Fulminato dalla pallottola assassina, il ragazzo cade a terra, mentre un zampillo di sangue gli esce dalla ferita. Non accontentandosi di avergli sparato, i due carabinieri occupanti la camionetta subito dopo lo hanno anche schiacciato, passando e ripassando col pesante automezzo sopra il suo povero corpo, tanto da provocare uno scempio di cadavere. In pochi attimi, nelle intenzioni dei militari, il ragazzo è stato ucciso due volte.

Il suo corpo, deformato, per qualche tempo rimane scoperto e in balia dell’esterrefatta contemplazione degli astanti, che piangono in silenzio. Poi qualcuno gli stende sopra, pietosamente, un lenzuolo, che diventa un sudario macchiato di sangue. Vicino al cadavere viene allestito un altarino, circondato dei resti della battaglia. Sulla grande macchia di sangue, che qualcuno dopo coprirà di segatura, sono deposti tanti fiori rossi, raccolti nelle aiole circostanti. La sacralità movimentistica è affidata ai simboli di quella giornata di lotta: insegne divelte, bandiere rosse, una sciarpa, una t-shirt con scritta, un casco di plastica, una maschera antigas, una specie di corazza in gommapiuma. Un bastone ed un candelotto lacrimogeno, piantati per terra, fungono da candelabri.

Qualcuno si affretta a dedicare la piazza dell’eccidio al giovane martire. Sulla targa di marmo il vecchio nome è impietosamente cancellato. Il nuovo che avanza, avido dei simboli offerti dalla guerra di Genova, elimina, come superflui, i segni del passato. Ora il rinnovamento dispone del volto di un giovane, che è colto, povero, senza pregiudizi e assai deciso. E’ il volto di un eroe.

Dopo la morte egli subì anche l’infamia della calunnia. I giornali, frettolosi e superficiali come sono, raccolgono e subito trasmettono le subdole informazioni fornite loro dalla Questura. Alla domanda di chi fosse quel misero cadavere, la polizia risponde che appartiene ad un punkabbestia, ad una persona che usa vivere in maniera ripugnante coi cani, tendendo una mano ai passanti per chiedere l’elemosina, che occupa il gradino più basso dell’apprezzabilità sociale e che, deliberatamente, ha scelto di identificarsi con le bestie. Del ragazzo così si uccide anche la memoria.

Ma sarà poi vero che si tratta di un punkabbestia? Ben presto ci si rende conto che queste sono fandonie e miserabili calunnie, aventi il solo scopo di impedire che il nuovo movimento di piazza possa disporre per il futuro di un simbolo in cui credere. E’ il caso dunque di riflettere, una volta di più, sulla perfidia di certi adulti e di quelle istituzioni che non hanno alcun riguardo nell’infrangere e nello screditare la memoria perfino di martiri ed eroi.

Poi del ragazzo emerge un profilo veritiero, che lo vuole assetato di giustizia, idealista come molti suoi coetanei, altruista, combattente in difesa dei compagni di strada, tanto da essere stato ammonito dal Questore. Si viene a sapere che si tratta di un ragazzo sveglio e intelligente, che, senza sforzo, ottenne la maturità scientifica, che frequentava l’Università nella Facoltà di Lettere, ma che non ha mai disdegnato quella grande scuola di vita che è la strada. Un nuovo Balilla, ancora più deciso e consapevole del suo predecessore. Sicuramente sarà un modello per le masse giovanili che sono in cerca di qualcosa di valido in cui credere e di un ideale per cui valga la pena di lottare.