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QT n. 6, 24 marzo 2001 Servizi

Mille chilometri verso una pace giusta e dignitosa

Il significato della trionfale marcia zapatista su Città del Messico.

Anche chi non ha voluto sentire le voci che dal 1994 (per non dire dal 1492) si alzano dal profondo sud delle selve messicane, ora non può più farne a meno. Perfino il neo presidente Vicente Fox, insediatosi al potere nel dicembre scorso, ha smesso di far orecchie da mercante ed ha intuito il peso, foss’anche demagogico, della parola "Chiapas" nella politica interna e estera, per il Messico e per il mondo intero.

In questa foto e nelle successive: alcuni momenti della marcia zapatista (25 febbraio-11 marzo)

Come si è detto, "dal sogno alla Realidad" (vedi 1. nella scheda in basso). L’EZLN (Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale) clandestino, i volti color caffé dei guerriglieri coperti dal passamontagna diventano un interlocutore indispensabile ed inevitabile perché escono allo scoperto, mostrando ufficialmente una volta per tutte la portata del loro messaggio: "Il problema non è ottenere il potere - ribadisce el sub Marcos dalla piazza centrale di Città del Messico dove ha fatto il suo ingresso trionfale domenica 11 marzo accolto da una folla di centinaia di migliaia di simpatizzanti di tutto il mondo - sappiamo che la lotta per il potere è una lotta per la menzogna. Quello che dobbiamo fare, nell’era della globalizzazione, è costruire un nuovo rapporto tra potere e cittadini".

Ancora una volta l’originalità di questo peculiare movimento insurrezionale ci ha lasciati a bocca aperta. Domenica 25 febbraio parte da San Cristóbal de Las Casas (in Chiapas) una delegazione composta da 24 comandanti dell’EZLN: in quindici giorni, scortati da un gran numero di simpatizzanti provenienti da tutto il mondo (tra cui anche le "tute bianche" italiane dei Centri Sociali del Nord-Est), la carovana ripercorre il tragitto della marcia del celebre leader ribelle messicano di inizio secolo Emiliano Zapata. Il percorso attraversa undici stati della Federazione Messicana, quelli dove è più importante la presenza di popolazioni indigene povere e emarginate. Tra le tappe è prevista la sosta a Nurio (nello stato di Michoacán), dove si tiene in quei giorni il Congresso Nazionale Indigeno con la rappresentanza delle quasi sessanta etnie indigene del Messico. Infine, il giorno 11 marzo l’arrivo nello Zocalo (la storica piazza centrale) di Ciudad de México, la città più grande del mondo.

Nessuno si sarebbe aspettato una mossa del genere da un esercito clandestino male armato di indigeni abituati alle piogge, al fango, alle malattie delle foreste del Chiapas. Meno che meno se lo aspettava il Presidente messicano Fox, leader del partito di destra (il Partito di Azione Nazionale) che ha sconfitto nel luglio scorso il PRI - il Partito Rivoluzionario Istituzionale che, nel corso di 71 anni di governo, ha mantenuto in auge il sistema corrotto e assolutista del "partito-stato". E con Fox sono rimasti di stucco i grandi industriali, i teorici ed i sostenitori del neo-liberismo e del neo-imperialismo, e anche quella fascia di cittadini benpensanti impegnati a difendere con le unghie i privilegi ereditati per il solo fatto di essere nati in uno dei Paesi ricchi.

Ma cosa ha fatto sì che un piccolissimo movimento di ribelli faccia oggi rimbombare la sua voce come un’eco inarrestabile in tutto il mondo? E come mai durante le manifestazioni cui possiamo assistere sempre più frequentemente in questi ultimi tempi (da Seattle a Nizza, Davos, Porto Alegre, Trieste, Napoli) non di rado si fanno riferimenti all’esperienza zapatista in Messico?

La marcia pacifica degli zapatisti a Città del Messico è una grande vittoria della società civile internazionale, globalizzata per una volta in concorrenza con la globalizzazione-liberalizzazione dei mercati. Quando il 12 gennaio 1994, solamente undici giorni dopo l’uscita allo scoperto dei guerriglieri dell’EZLN, Marcos e la comandancia generale decisero di abbandonare le armi e di optare per la strategia della lotta non violenta politica e civile, si trattò di un segnale molto forte del fatto che i tempi erano cambiati, e che era necessario abbandonare le vecchie tecniche della guerriglia sudamericana. La strategia mediatica, Internet, comunicati, poesie e analisi socio-geo-politiche: Marcos è l’eroe della comunicazione, riesce a creare una rete fittissima di associazioni civili, centri per la difesa dei diritti umani, comitati di cittadini, centri sociali, partiti politici e organizzazioni non governative di tutto il mondo uniti per la globalizzazione della solidarietà e dei diritti.

La Guerra Fredda è finita, è caduto il muro di Berlino nel 1989, l’URSS si è disgregata due anni dopo e il sistema della "democrazia liberale" ha prevalso sul sistema socialista. Nei fatti, la vittoria degli Stati Uniti ha dato il via alla internazionalizzazione del sistema del libero mercato ed ha aperto un baratro sempre più incolmabile tra pochi paesi ricchissimi e una miriade di stati sempre più poveri. I nuovi padroni del mondo non sono più superpotenze politico-ideologiche, ma quanti controllano il capitale finanziario: Banca Mondiale, Fondo Monetario Internazionale, Organizzazione Mondiale del Commercio, Ocse, multinazionali. E’ contro l’insostenibilità (umana, ambientale, ecc.) di questo sistema che si muove il "popolo di Seattle", uno spaccato assolutamente eterogeneo della società civile internazionale in cui possiamo includere con diritto anche lo zapatismo.

Eora? E’ finito l’ultimo sogno rivoluzionario, sono cadute le maschere (o i passamontagna), si torna alla routine della quotidianità? Per usare un’espressione del Nobel José Saramago, convinto simpatizzante del movimento indigeno chiapaneco, "questa non è la fine, è solo l’inizio di un processo che ora sta cominciando".

Il trionfo sulla piazza è stato un momento importante, indimenticabile per quanti hanno potuto prenderne parte, sopra il palco o accalcati nella piazza, un happening simbolico che ha lasciato un sapore forte di speranza, di solidarietà, di coraggio e determinazione. Ma ora si rimane tutti in attesa che il Presidente rispetti le promesse fatte durante la campagna elettorale (la liberazione dei detenuti politici zapatisti e il ritiro delle truppe dal Chiapas) e che il Parlamento messicano riprenda in esame la proposta della legge per il riconoscimento istituzionale e la tutela delle popolazioni indigene della Federazione. Perché il Messico smetta di essere il "cortile di casa" degli Stati Uniti e perché l’entusiasmo vissuto nello Zocalo di Città del Messico diventi fonte di speranza per gli immigrati, le lesbiche, gli omosessuali, le minoranze etniche, i poveri, i bambini, le donne, gli anziani e tutti quanti oggi siano vittime di discriminazioni e emarginazione in ogni parte del mondo.

Perché tutti siamo Marcos, e non importa che ora si conosca la sua identità perché è il caso, piuttosto, che ci interroghiamo sulla nostra identità, sulla nostra capacità di essere "indigeni", di rispettare la terra e la vita in tutte le sue forme. "Siamo una voce tra tutte queste voci. Un’eco che la dignità ripete tra tutte le voci. Ci uniamo ad esse, ci moltiplichiamo con esse. Continueremo a essere eco, siamo e saremo voce. Siamo riflessione e grido. Sempre lo saremo. Ci chiamiamo ribelli. Ed oggi lo ripetiamo: siamo ribelli. E lo saremo. Ma vogliamo esserlo con tutti quanti siamo. Senza la guerra come casa e cammino" (nota 2) . E, soprattutto, dal sogno alla Realidad.

1) La Realidad (dallo spagnolo, La Realtà) è il nome del villaggio della Selva Lacandona ai confini con il Guatemala nei pressi del quale c’è la comandancia dell’EZLN con il subcomandante Marcos. Il gioco di parole è stato usato nell’occasione in cui un gruppo di italiani (Associazione Ya Basta! e PRC) hanno portato a termine il progetto di installare una turbina idroelettrica in quel villaggio indigeno.

2) Dal discorso che il subcomandante Marcos ha pronunciato nello Zocalo di Ciudad de México.