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Enciclopedia delle Dolomiti

Franco de Battaglia/ Luciano Marisaldi, Enciclopedia delle Dolomiti. Zanichelli, Bologna, 2000, pp. 524, £.68.000

Gianluigi Bozza

Una decina di anni fa il Filmfestival della montagna di Trento, raccogliendo gli indizi sempre più numerosi che emergevano dalla pubblicistica e dai filmati televisivi, propose una riflessione sul tema "Una montagna di tutti?" alla quale parteciparono, fra gli altri, Aldo Gorfer, Silvia Metzeltin, Bernard Amy, Bruno Corna e Roberto Mantovani. Gli intenti erano, al contempo, di interrogarsi e di comprendere come e quanto stavano mutando gli atteggiamenti (e, quindi, i valori di riferimento e gli approcci culturali) e i comportamenti (e, quindi, le scelte concrete della quotidianità) riguardo l’intendere e il vivere la montagna, ma anche affermare che la montagna può essere, deve essere per tutti.

I convenuti da sempre andavano per monti, ovviamente con motivazioni e sensibilità dissimili. Gorfer, ad esempio, aveva costantemente concentrato la sua attenzione sui montanari, sulla loro dura esistenza, cultura materiale e storia cogliendo e scavando nelle trasformazioni provocate prima dai prolungati processi migratori per sfuggire alla miseria e poi dall’imporsi dell’economia industriale su quella agricola, soprattutto a partire dalla fine degli anni ’50. Altri, invece, avevano coltivato un interesse più strettamente collegato all’alpinismo o, più in generale, alle pratiche sportive e alle frequentazioni delle montagne per amore di un ambiente naturale segnato dalla presenza di una civiltà "diversa" di cui percepire gli echi da parte dei non montanari o, se si preferisce, di chi ha radicato la propria identità nelle culture industriali dell’urbanizzazione, della produzione di oggetti standardizzati e della fabbrica come modello di organizzazione del lavoro prima e in seguito nelle culture post-industriali della comunicazione planetaria, dei consumi immateriali, delle omologazioni racchiuse in quella che oggi chiamiamo globalizzazione. Motivazioni, sensibilità e biografie diverse che convergevano su alcune fondamentali letture e valutazioni comuni.

La divaricazione fra le montagne dei montanari e dei non montanari (queste ultime, alpinismo compreso, nate con la modernizzazione creata dai successi della scienza e delle sue applicazioni tecniche) aveva lasciato il posto ad una crescente differenziazione che da tempo stava intaccando modelli consolidati: le montagne dei montanari contadini o artigiani non erano le stesse dei montanari albergatori o professionisti del turismo, le montagne dei non montanari alpinisti non erano le stesse dei non montanari sciatori.Una differenziazione macroscopica e marcata sulle Alpi e, più in generale, su tutte le catene europee e che incominciava a porsi, con tratti peculiari, anche in Asia e in America, dove la scarsa antropizzazione e la vastità dei territori erano parsi fino ad allora muri non scalfibili dai processi della modernità. Constatare l’esistenza di queste differenze non da tutti colte mentre si formavano e spesso sottovalutate nei loro effetti nel medio-lungo periodo provocava manifeste inquietudini. Anche perché affiorava esplicitamente che esse si accompagnavano a potenziali non sempre prevedibili conflittualità, come sempre accade quando un equilibrio antico si spezza e le varie posizioni cercano di prevalere a discapito delle altre. Persino chi aveva sostanzialmente da sempre inteso la montagna come spazio libero di avventura e di sport, forse per la prima volta, comprendeva con lucidità che strade e impianti di risalita, che la proiezione dei consumi di massa nelle valli e sulle vette, che l’omologazione degli stili di vita mettevano radicalmente in discussione anche la loro montagna. D’altro canto come e con quali argomenti affermare che la propria montagna deve prevalere su quelle degli altri o, meglio, come riuscire a far convivere in nuovi equilibri -capaci di conciliare una complessità mai storicamente sperimentata- le diverse idee e frequentazioni delle montagne? Era evidente, in ogni caso, che fronteggiare queste nuove dinamiche per molti versi potenzialmente dirompenti, rendeva necessario ricomporre visioni tradizionali divenute parziali e inefficaci delle montagne, mettere a fuoco i limiti dei propri precedenti punti di vista, costruire un quadro di riferimento comune entro il quale elaborare e realizzare nuovi percorsi di valore e di senso. Gli anni ’90 hanno confermato e affinato l’analisi delle dimensione e delle caratteristiche di tali tendenze, accresciuta la consapevolezza di avere a che fare con un problematico e contraddittorio cambiamento epocale e che il lavoro si faceva difficile perché ci si deve far carico della ricchezza delle diversità aprendo prospettive appropriate e concrete di futuro. Lo testimoniano i contenuti della Convenzione delle Alpi e i suoi protocolli attuativi e l’impegno che sta accompagnando le iniziative per il 2002 "Anno internazionale della montagna" indicato dall’ONU.

Personalmente ci pare che il miglior modo per apprezzare un’opera come l’"Enciclopedia delle Dolomiti"di Franco de Battaglia e Luciano Marisaldi sia proprio di accostarla e di fruirne (per le sue caratteristiche va in parte letta e in parte ripetutamente consultata) alla luce del contesto che abbiamo cercato di delineare.

Gli elementi che spingono in questa direzione sono molteplici. Le Dolomiti rappresentano una parte delle Alpi dove con più evidenza gli effetti della modernità con le sue lacerazioni si sono espressi (dalla Grande Guerra alla diverse etnie e realtà politico-amministrative, dal turismo d’élite divenuto di massa alla meccanizzazione della montagna e all’influenza della vicinanza con il mare e di una delle aree economicamente più vivaci: solo per accennarne alcuni).

La scelta di realizzare un’enciclopedia è la più indicata per tentare di farsi carico e comunicare al lettore l’esigenza di inserire in una visione d’insieme aspetti particolari, punti di vista e suggestioni specifici apparentemente troppo distanti per trovare credibili connessioni.

I due autori nella premessa al volume sono chiari al riguardo quando affermano che il loro "è stato un viaggio, un’esplorazione … anche un approdo, dato che da diversi decenni frequentiamo e studiamo queste montagne… (che) la sfida è stata dare comunque delle Dolomiti e dei loro uomini un quadro totale e moderno, che rendesse conto della complessità dei legami, di saperi, di esperienza e invogliasse il lettore a proseguire approfondendo ciò che è qui accennato… l’ambizione è stata quella di presentare il mondo dolomitico, forse per la prima volta, nella sua unitarietà".

Per suggerire piste di lettura gli autori hanno articolato il testo (di più di 500 pagine) in un "manifesto per il futuro", in sette piste tematiche, in una sezione alfabetica di circa settecento voci e in alcune utili strumentazioni integrative finali con un percorso fra i libri e i siti Internet. Naturalmente si sono avvalsi di numerosissimi collaboratori.

Qualche nome fra i tanti e fra i trentini: Rolly Marchi, Franco Marzatico, Michele Lanzingher, Mauro Neri, Luigi Casanova, Roberto Bombarda, Ugo Pistoia e Gino Tomasi.

De Battaglia ha curato le piste tematiche "Spazi e confini" (spazi limitati e confini molteplici, con un ragionamento importante sui limiti e i confini come opportunità e orientamento verso il futuro), "Le tre capitali" (ovvero Trento, Bolzano e Belluno), "Segni di storia" (indicando trenta momenti fondamentali nella storia delle Dolomiti); Marisaldi le piste "Formazione del paesaggio", "Viaggiatori" (coloro che hanno "inventato le Dolomiti" e la nascita dell’alpinismo dolomitico), "Le strade" (del Brennero, di Alemagna, quelle di guerra e la guerra di strade), "Case".

Per farsi un’idea della sezione alfabetica è sufficiente accennare ad una lettera qualsiasi (la A, per esemplificare) per scoprire che si spazia dal territorio (l’Agordino, le Alpi Feltrine, Ampezzo, l’Anaunia Val di Sole, ecc.) all’alpinismo e ai club alpini, dall’alpeggio fino alla biografie di studiosi e scienziati come Leo Aegerter e Annibale Appollonio, di alpinisti come Erich Abram e Armando Aste e a riferimenti storici (come l’Alpenkorps).

Un approccio composito, unitario ma assai articolato, che rischia consapevolmente (è una delle peculiarità delle enciclopedie) qualche arbitrarietà e qualche errore, che vuole stimolare ognuno a ricostruire "il quadro delle sue Dolomiti", ma anche di partecipare ad una sorta di work in progress con osservazioni e con suggerimenti richiesti esplicitamente.

La finalità è troppo strategicamente rilevante perché tutti quelli che tengano alla montagna non debbano venirne corresponsabilizzati.

E’ questo, probabilmente, lo scopo principale dei due autori e del "manifesto per il futuro" che apre il libro invitando a frequentare le montagne "non per fuga, per dimenticare" ma come "un’occasione per vivere", Dolomiti come "un’antica storia che, nel suo territorio, diventa un manifesto per il futuro".

"Enciclopedia delle Dolomiti" è una compagnia essenziale e vitale lungo un percorso di comprensione e di progettualità per tutti quelli che considerano la montagna una parte essenziale del proprio mondo e del proprio futuro.

Un compagno che ci spinge a proseguire il viaggio insieme con molti con entusiasmo e razionalità, con spirito critico e con assoluta chiarezza della posta in gioco.