Misteri degli abissi referendari
Coloro che domenica 21 maggio si sono recati a votare i sette referendum sono stati a mio avviso moltissimi. Certamente molti di più di quanti fosse ragionevole aspettarsi. Guardatevi attorno: quante sono nella cerchia delle vostre conoscenze le persone in grado di sostenere un’opinione motivata sulla preferibilità di un sistema elettorale con o senza quota proporzionale, o se sia conveniente che l’elezione dei membri del Consiglio Superiore della Magistratura avvenga con voto di lista oppure no, o se siano opportune o meno le trattenute delle quote associative dei sindacati?
Ciascuno dei sette quesiti referendari presupponeva conoscenze tecniche differenziate e non di comune dominio. E tuttavia alcuni milioni di persone sono andati ad esprimere la loro opinione su ognuno di essi, essendo dotate, o per lo meno credendo di esserlo, di quelle conoscenze specifiche necessarie per risolvere tutti e sette i così diversi problemi. La dimensione dei votanti è ancor più stupefacente se consideriamo che durante la campagna referendaria, tranne forse che in parte per il quesito elettorale e quello sui licenziamenti, non si è parlato affatto delle questioni sottoposte al voto. La propaganda si è svolta tutta sul punto se andare a votare o restare a casa, e sulle conseguenze che l’esito referendario avrebbe dovuto avere sul destino del governo Amato.
Al contrario quegli altri, molto più numerosi, esattamente più del doppio dei primi, che invece non si sono recati alle urne, perché lo hanno fatto?
Forse perché hanno constatato la propria misconoscenza dei singoli problemi, e onestamente si sono astenuti dall’interferirvi? O semplicemente perché disinteressati ad essi, considerandoli materia delegata ai professionisti della politica? O perché, affetti da un radicale scetticismo, ritengono il voto inutile, perché tanto non cambia nulla?
Probabilmente ciascuna di queste motivazioni ha fatto la sua parte, e ne risulta l’identikit di un corpo elettorale che in sue vaste zone è affetto da una crisi di sfiducia non solo nei confronti della democrazia rappresentativa, vale a dire la cosiddetta "classe politica", ma persino nei confronti della democrazia diretta, quale appunto si esplica nelle consultazioni referendarie nelle quali è il popolo sovrano che è chiamato a decidere direttamente il proprio destino.
Naturalmente una certa quota di astenuti è stata determinata dall’istigazione a disertare il voto che da varie parti politiche, per i motivi più contraddittori, era stata proposta. Ma è impossibile misurare, anche con larga approssimazione, le varie porzioni di inerzia elettorale attribuibili alle diverse motivazioni. Volendo dunque interpretare il significato della consultazione referendaria con riguardo al suo dato esterno, cioè la partecipazione e l’astensione degli aventi diritto al voto, brancoliamo nel buio.
Ma la tenebra s’infittisce ancor più se passassimo ad analizzare i riultati dei voti espressi, presumibilmente da una massa composta dai medesimi votanti, sui singoli quesiti referendari. La percentuale dei partecipanti si aggira per ciascun referendum intorno al 32%, poco più o poco meno: dunque le stesse persone hanno contribuito a formare la porzione di votanti in ciascun referendum, e le lievi differenze di affluenza registrate sui diversi quesiti sono dovute al fatto che una piccola parte di essi hanno ritirato solo alcune delle sette schede e non tutte.
Ma chi erano questi milioni di elettrici ed elettori che rappresentano il 32% del corpo elettorale? A giudicare dall’82% di sì per l’abrogazione della quota proporzionale della legge elettorale e dal 66.6% di no dell’abrogazione dell’art. 18 dello Statuto dei lavoratori, se ne dovrebbe arguire che in gran parte erano elettrici ed elettori DS. Ma allora come si spiega che gli stessi hanno poi votato il 71.1% di sì all’abrogazione del rimborso delle spese elettorali, il 69% di sì alla separazione delle carriere dei magistrati, il 61.8% di sì all’abrogazione delle trattenute associative?
Questi ultimi risultati corrispondono tutti a tipiche posizioni della destra. Come è stato possibile che la stessa massa elettorale, una cospicua porzione del corpo elettorale composta cioè dagli stessi elettori, abbia manifestato sulle diverse questioni orientamenti politici così palesemente contraddittori? Misteri degli abissi referendari!
Non ho risposte. Ho solo una certezza: l’uso che i radicali hanno fatto del referendum è valso a snaturarlo. Lo hanno stravolto in un monstre gigantesco, costosissimo ma improduttivo, forzato a proporre anziché ad abrogare, repulsivo e non attraente per i cittadini, indecifrabile e quindi privo di significato, quando invece doveva essere il canale privilegiato della luminosa volontà popolare. Raramente è accaduto, come in questo caso, che un prezioso strrumento sia stato così miseramente sfregiato dai suoi più affezionati cultori.