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QT n. 10, 13 maggio 2000 Cover story

Referendum elettorale: una “spallata” a un sistema che non funziona

Contro i partitini, i ribaltoni, i governi che non riescono a governare.

L’attuale referendum per l’abolizione della quota proporzionale è il terzo (o forse il quarto) in materia elettorale; a dimostrazione di come i partiti, da soli, non riescono ad autoriformare il sistema della rappresentanza; ma come, d’altronde, neanche i referendum sappiano essere decisivi. Ne parliamo con Renato Ballardini, dei Ds, e Maurizio Perego, di Forza Italia.

Reanto Ballardini, dei Ds.

Ballardini: I contrari all’abolizione della quota proporzionale sostengono un argomento che il maggioritario è fallito, perché il numero dei partiti è cresciuto. E’ un’affermazione fondata su un presupposto falso: il maggioritario non può essere fallito, perché non esiste. Per le politiche, non abbiamo un sistema maggioritario, abbiamo un sistema ibrido che ha tutti i difetti dei due sistemi e nessun pregio. Dove il maggioritario è stato introdotto in maniera abbastanza compiuta (le comunali e ora le regionali), ha funzionato.

Non si può dire in assoluto che un sistema è migliore dell’altro: dipende dalla situazione storica. Per esempio, in Germania, dove l’orientamento degli elettori tende ad aggregarsi in grandi partiti, può funzionare benissimo anche un sistema proporzionale corretto...

Ma una delle motivazioni dei proporzionalisti è appunto che in Italia la tendenza storica ad avere una pluralità di espressioni culturali verrebbe castrata dal maggioritario...

Maurizio Perego, di Forza Italia

Ballardini: Le elezioni non servono a fare un sondaggio di opinione, hanno lo scopo pratico di formare gli organi di governo. E il corpo elettorale è un po’ come una massa d’acqua: se lo lasci andare secondo le sue tendenze istintive, si disperde e forma una palude. Quest’acqua va invece arginata e incanalata, per poterne utilizzare l’energia.

Quando è nata, Forza Italia era maggioritaria, poi sembra aver cambiato posizione, ma la cosa non è molto chiara, visto che l’indicazione che si dà è quella dell’astensione...

Perego: In Forza Italia oggi si confrontano due anime, una (Martino, ad esempio) nettamente favorevole al maggioritario, l’altra più vicina al proporzionale (Tremonti). Io, schierandomi con chi chiede di astenersi, dico questo: il sistema elettorale non è né un dogma né un fine, è uno strumento. Tutto dipende dagli obiettivi che si perseguono e gli obiettivi di Forza Italia, fin dagli inizi, erano: la legittimazione popolare e diretta del premier, la chiarezza verso gli elettori che dovevano poter scegliere le coalizioni prima del voto, la stabilità dei governi, la loro coesione in base a un progetto comune e l’impossibilità di tradire le scelte degli elettori attraverso ribaltoni.

Ma per ottenere questi risultati eravate orientati verso il maggioritario...

Perego: Dopo sei anni in cui questa legge ha dato vita a due parlamenti, abbiamo visto che questa strada non è la migliore. E ci siamo orientati verso un sistema proporzionale corretto in modo da produrre gli stessi risultati del maggioritario: con elezione diretta del premier, soglia di sbarramento, premio di maggioranza alla coalizione che vince e alla seconda arrivata, obbligo di presentare un progetto comune e norme anti-ribaltone, cioè vincolo di mandato per gli eletti, che non possono modificare le maggioranze cambiando partito. Un proporzionale così congegnato crea effetti più drastici del maggioritario.

Ma perchè siete contrari all’abolizione del proporzionale?

Perego: Se vincessero i sì, arriveremmo a una situazione ancora più ingarbugliata. Infatti l’attuale Parlamento non farebbe a tempo ad approvare una legge elettorale diversa, sicché andremmo a votare con un sistema elettorale dove al posto della quota proporzionale, verrebbero eletti i secondi, cioè gli sconfitti, in una serie di collegi uninominali, circa 157. Con questa possibile conseguenza: se costoro appartenessero tutti o quasi alla stessa coalizione, quella coalizione, che in realtà ha ottenuto meno voti e ha dunque perso le elezioni, potrebbe invece risultare maggioranza grazie al recupero dei secondi migliori perdenti. Sarebbe un sistema perverso, devastante per la democrazia. In un collegio si affrontano Tizio e Caio: Tizio vince e Caio perde, ma entrambi vanno in Parlamento. Cosa ci capirebbe la gente?

Ballardini: Per raggiungere gli obiettivi elencati da Perego, il sistema migliore è il maggioritario a doppio turno, perché anche nel maggioritario secco (come in Gran Bretagna) c’è il rischio che un partito, con una minoranza di voti ottenga la maggioranza dei seggi. Non è un caso limite, è successo.

E’ vero che se vince il sì il meccanismo elettorale che ne uscirebbe potrebbe avere degli esiti paradossali; ma proprio questo rischio dovrebbe costringere il Parlamento a fare una legge più ragionevole. Senza questo shock, non si farà nessuna riforma. La vittoria dei sì sarebbe una spallata per far uscire dall’inerzia un Parlamento che oggi è ricattato dai partitini.

Amato ha detto che nel centro sinistra ci sono 13 partiti, ma non ci sono 13 visioni diverse della società: ci sono 13 burocrazie da mantenere. Gli è stato risposto che è un discorso di culture diverse, che non saranno magari 13, ma neanche solo due o tre...

Ballardini: Le culture diverse ci sono anche in Inghilterra o in Germania, ma non per questo ci sono decine di partiti. Le culture vere devono saper convivere con altre culture quando fanno politica. Il discorso di Bertinotti, che il maggioritario sopprime delle realtà, non ha senso: le realtà che esistono, resteranno, troveranno altre forme di manifestazione.

Nel Polo, la convivenza con i piccoli partiti appare meno problematica; ma a prescindere da questo, come vedete la questione delle piccole forze politiche e delle culture minoritarie?

Perego: Sono fondamentalmente d’accordo con Ballardini: un conto è il bipolarismo - al quale si può arrivare - un altro conto il bipartitismo, che in Italia non potrà mai esistere. Ma non è più tollerabile che una coalizione di governo possa cadere a causa del potere di veto di partiti mono-rappresentati. Faccio l’esempio della nostra Provincia: il potere di un consigliere, unico del suo partito, e che ha anche un assessorato, è una follia sul piano dell’etica politica. In Italia possono esistere tante culture, ma vanno favorite le aggregazioni in schieramenti omogenei. L’astensionismo di cui ci si lamenta deriva anche dal fatto che la gente non capisce le distinzioni fra i 13 (o 17) partiti del centro sinistra, e probabilmente fatica anche a capire la differenza fra il CCD e il CDU, e tra Forza Italia e il CCD e il CDU. Dobbiamo offrire ai cittadini uno schema semplificato e chiaramente identificabile: un polo di centro destra e uno di centro sinistra. Se cominciamo a offrire 5-6 schieramenti, l’elettore non si prende la briga di scoprire le differenze, se ne rimane a casa.

E per questo non volete il doppio turno.

Perego: L’abbiamo visto a Venezia, dove il sindaco è stato eletto col 56% del 40%, quindi col 22% del suffragio popolare. Il doppio turno favorisce l’astensionismo e il potere d’interdizione dei partiti. Io ho degli amici del centro destra in alcuni piccoli centri, che in occasione delle comunali mi hanno detto: ‘Io non mi aggrego alla lista del sindaco: faccio una mia lista, mi candido a sindaco, entro in Consiglio e vendo il mio appoggio per la poltrona di vice-sindaco o di assessore a quello che ha più probabilità di vincere.’ Questo succede col doppio turno: il mercato delle vacche. Il sistema migliore è quello delle regionali: chi ha un voto di più al primo turno vince e ha la maggioranza.

Ballardini: Conservare una quota proporzionale è comunque un fomite alla visibilità e quindi alla frantumazione; per questo ho delle riserve nei confronti del sistema verso il quale Forza Italia è orientata... E poi la soglia di sbarramento - si è visto - viene facilmente aggirata tramite la cosiddetta "bicicletta". Poi c’è il problema, molto delicato, del ribaltone, che è di valenza costituzionale. In un meccanismo maggioritario bisognerebbe prevedere che in caso di rottura della coalizione - quando viene a mancare la maggioranza in Parlamento - si va alle elezioni; questo, oltre tutto, sarebbe un deterrente, contribuirebbe alla stabilità dei governi.

Perego: Sono tematiche estremamente tecniche, anche noiose per la gente, e difficilmente si risolvono con un sì o con un no. Allora è la famosa spallata, lo shock: il voto diventa semplicemente un’indicazione, per di più molto umorale in questo momento. Il problema è che si vota il 21 maggio: c’è tempo fino ad agosto, poi c’è la Finanziaria. Abbiamo calcolato che ci sono - bene che vada - 6/7 mesi di politica da qui alle politiche del 2001. O forse meno, perché da gennaio saremo in campagna elettorale. E’ utopia pensare che i partiti, ormai in campagna elettorale e quindi portati a spararsi addosso...

Volete che si vada a votare nel 2001 con la legge attuale per avere magari l’ennesimo ribaltone?

Perego: Proponiamo che si voti con questa legge (che pure non ci piace), e che parte integrante del programma delle coalizioni (certamente del Polo) sia la riforma elettorale.

In conclusione, vogliamo trattare brevemente anche la questione della legge elettorale provinciale?

Ballardini: Mi par di capire che ci sia, in merito, la proposta di Forza Italia, molto simile peraltro a quella di Dellai, dove si prevede l’elezione diretta del presidente, il premio di maggioranza, un premio per il secondo arrivato e la soglia di sbarramento. Una proposta che non mi trova pregiudizialmente contrario, ma che presuppone la modifica dello Statuto.

Perego: Io sono favorevole alla cosiddetta "norma transitoria" (secondo la quale, se entro l’attuale legislatura provinciale Trento non sarà in grado di approvare una riforma elettorale, entrerà automaticamente in vigore il sistema previsto per le Regioni a Statuto ordinario, n.d.r.) e la ritengo giuridicamente lecita: quando un’Autonomia non è capace di riempire gli spazi che le sono lasciati, automaticamente si allarga il potere dello Stato, grazie a una legge elettorale che oltre tutto funziona bene, con l’elezioni di "governatori" che si pongono come vero contraltare al potere centrale e che sono la garanzia del federalismo possibile.