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"La donna non era bianca, ma italiana"

L’incerta “razza” degli emigrati italiani negli Stati Uniti fra Ottocento e primo Novecento. Da "Quale vita", bimestrale di Torre dei Nolfi (L'Aquila).

Aldo Morrone

Davvero gli Italiani sono bianchi da 8-9000 anni? Non tutti ne sono sempre stati convinti. Nel famoso processo "Rollins", celebrato in Alabama nel 1922, un nero, Jim Rollins, condannato in primo grado per aver avuto rapporti sessuali con una donna bianca e aver quindi commesso un reato particolarmente grave - "miscegenation", cioè mescolanza di razza, in base al Virginia Racial Integrity Act del 1924 (dichiarato incostituzionale dalla Corte suprema solo nel 1967), fu assolto dal giudice P. J. Bricken perché, come l'imputato aveva più volte ribadito, "la donna non era bianca, ma italiana".

Infatti si trattava di una donna siciliana, tale Edith Labue, e il giudice ammise che "non c'erano prove di alcun tipo a sostegno dell'accusa materiale che Edith Labue, la coimputata, fosse una donna bianca, o che l'imputata fosse una negra o una discendente di una negra... Il semplice fatto che la testimonianza mostrasse che questa donna proveniva dalla Sicilia non può in alcun modo essere considerato conclusivo del fatto che fosse quindi una donna bianca, o che non fosse una negra o una discendente di una negra".

Gli Italiani negli Stati Uniti hanno faticato a diventare "bianchi". Erano infatti sprovvisti in larga misura di una coscienza nazionale e impararono a sentirsi italiani in reazione al pregiudizio diffuso contro di loro da parte degli americani "bianchi". Dovettero prima accettare l'appartenenza ad uno stato di "bianchezza" inferiore, per poi lottare ed essere riconosciuti essi stessi "bianchi". La loro acquisizione di una identità "bianca" coincise con l'aver interiorizzato la legittimità delle relazioni di dominio delle persone dalla pelle più chiara sulle persone dalla pelle più scura.

Gli Italiani per molti, troppi anni, hanno vissuto sui confini della "linea del colore". Solo quando si uniformarono alla cultura razzista della società americana ebbero il pieno riconoscimento della loro appartenenza alla "razza bianca", a conclusione di un processo di "razzializzazione" del quale furono soggetti attivi e passivi.

Per gli Italiani lo status di "bianco" fu l'esito di un processo socio-economico e non un dato connaturato alla loro origine europea, fortemente avversata dai "bianchi" americani di origine anglosassone.

"To become white" - diventare bianchi, acquisire la "bianchezza", è stato per i nostri connazionali d'America una necessità, preceduta da una condizione di non completa "bianchezza". La realtà degli immigrati, soprattutto siciliani, negli Stati Uniti del tardo Ottocento, era quindi comparabile a quella degli afro-americani nelle piantagioni, con i quali condividevano persino la violenza dei soprusi e dei linciaggi.

Nel libro "Gli Italiani sono bianchi? Come l’America ha costruito la razza" a cura di Jennifer Guglielmo e Salvatore Salerno (Il Saggiatore, 2006) si ricorda come "gli Italiani arrivati negli Stati Uniti non avessero alcuna consapevolezza dell'esistenza della 'linea del colore'. Ma impararono in fretta che la 'bianchezza', cioè essere bianchi, significava riuscire ad evitare molte forme di violenza e di umiliazione e ad assicurarsi, tra gli altri privilegi, l'accesso alla cittadinanza, al diritto di proprietà, insomma, ad una vita migliore".

"Bianco" era sia la categoria nella quale erano più frequentemente collocati, sia una consapevolezza che adottarono e respinsero allo stesso tempo. Insomma, non sono sempre stati "bianchi", e la perdita di questa memoria è stata una delle tragedie del razzismo in America.

La "bianchezza" è una costruzione sociale come la razza. Il bianco e il nero, come colori della pelle, non esistono in natura, ma sono un prodotto del pensiero e dell'azione umana. Hanno un'origine storica, cambiano il loro significato nel tempo e nello spazio, e non di meno possono essere distrutti dall'uomo che li ha costruiti.

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