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QT n. 11, novembre 2021 Servizi

I labili confini del “diritto all'oblio”

Tra informazione e tutela dell'immagine della persona c'è una zona grigia ancora troppo grande.

La richiesta della società Auriga ci ha spinti a farci una domanda: qual è il confine che separa diritto all'oblio della persona e diritto di cronaca? E il diritto all'oblio può diventare la nuova “arma nucleare” inmano a chi vuole silenziare il giornalismo d'inchiesta? Poiché questo diritto si è originato nell'ultimo decennio a partire dalle modalità tecnologiche di diffusione delle informazioni, abbiamo fatto un approfondimento sullo stato attuale della questione parlandone con un giovane avvocato trentino, Davide Neri, che si occupa di questa materia di frontiera.

Il diritto all'oblio si configura come il diritto di una persona a veder cancellata (deindicizzata, in realtà, cioè resa inaccessibile aimotori di ricerca) una notizia che la riguarda e che ritiene non sia più attuale e possa danneggiarla. Questo vale però solo per lenotizie diffuse in rete, mentre non vale per quello che è scritto su carta. Come mai?
Bisogna tenere conto di chi può accedere alla specifica informazione. Oggi è molto facile accedere a una notizia, che sia un fatto avvenuto oggi o capitato dieci anni fa. Tutto viene plasmato in una sorta di presente continuo. Per questo ci sono tre chiavi per comprendere il diritto all'oblio: il concetto di identità, di tempo e di memoria. Che sono cambiate con velocità incredibile negli ultimi 20 anni.

Partiamo dall'identità. Una volta una persona aveva un bagaglio di caratteristiche che erano solo quelle che potevano essere conosciute tramite i cinque sensi e un incontro di persona. Tutto ciò è cambiato con il digitale ed ha fatto sì che oltre al profilo reale ci possano essere molti profili online della stessa persona. Penso ad esempio alle identità rubate, ai profili falsi. Ci sono profili online ed offline che corrono su rette parallele che non si incontreranno mai.

Poi c'è il concetto della memoria. Una volta i centri del sapere - scuole, biblioteche, ecc. - erano sparsi per il territorio, ma con poca capillarità e non semplice accessibilità. Ora la pervasività della rete e l'immediatezza dell'accesso creano una sorta di memoria collettiva che ha ricadute enormi sul piano della reputazione delle persone.

Però la persona quella determinata cosa l'ha fatta, scritta o detta. La differenza con l'era digitale è che prima c'era un filtro che selezionava le cose che venivano memorizzate mentre ora si ricorda tutto. Però questo imporrebbe anche che sia l'individuo a dover ricordare che resta traccia di qualunque cosa faccia o dica.
Qui entra in questione il concetto del tempo. Ormai tutte le informazioni che vengono create sono accessibili agli utenti come se fossero tutte considerate della stessa importanza e nello stesso concetto temporale. Quando uso un motore di ricerca, l'algoritmo mi ripropone le notizie che sto cercando in base alle parole chiave, secondo schemi che vanno dalle più importanti, alle più recenti. Ma riesco comunque a rintracciare tutte le notizie che sono state pubblicate in rete. Quindi la notizia pubblicata dieci anni fa che si era sedimentata negli archivi digitali, può tornare alla ribalta: basta che una persona con molti follower la rilanci e una vecchia storia piano piano comincia a salire nel ranking.

Quali sono le tendenze giurisprudenziali nella valutazione del “quanto tempo” deve passare perché ci sia diritto all'oblio? Inoltre, anche se è passato molto tempo, può essere importante ai fini di cronaca ricordare, ad esempio, una vecchia condanna penale di qualcuno.
Il concetto di tempo è quello che la giurisprudenza ha preso come elemento dirimente per valutare il diritto all'oblio. La sentenza più importante in merito è della Corte di Giustizia europea del 2014. La corte del Lussemburgo ha definito che si può ottenere una cancellazione delle notizie qualora queste siano inadeguate, irrilevanti o non più pertinenti. A meno che non si tratti di persona esposta mediaticamente o che svolga funzioni o abbia un ruolo pubblico. Poi la giurisprudenza ha ulteriormente definito il recinto dell'applicazione di questo parametro.

Inadeguato e irrilevante però non definiscono tempo, ma una cosa molto diversa, ovvero una valutazione di merito.
Ma anche l'irrilevanza può essere inserita in un concetto di tempo: si tratta della notizia che, trascorso il tempo, non è più rilevante. L'inadeguatezza invece viene vista come una necessità di aggiornamento delle notizie. Infatti il diritto all'oblio può esprimersi come cancellazione (deindicizzazione) di una notizia, ma anche come richiesta di un aggiornamento della notizia stessa.

Il punto più pericoloso, per il diritto di cronaca, ci pare proprio l'interpretazione dell'inadeguatezza. Chi decide che una notizia è inadeguata? Ci sono linee giurisprudenziali che si sono formate su qual è il punto di conflitto col diritto di cronaca?
Non ci sono criteri precostituiti da applicare facilmente, nonostante ci sia una copiosa giurisprudenza. In realtà si deve analizzare caso specifico per caso specifico. Perché ci sono situazioni in cui è prevalso il diritto di una persona alla tutela dell'immagine e della reputazione, mentre altre volte si è riconosciuto che in un determinato caso prevaleva il diritto di cronaca, inteso come diritto del pubblico di sapere. La componente temporale non è rigida. Dipende da troppi elementi: anche, ad esempio, dall'ambito sul quale quella specifica notizia ha un impatto, da quale potenza mediatica c'è.

Facciamo il caso di una notizia pubblicata su pagina web che viene anche pubblicata su carta. Su carta non si può rimuovere ameno di non arrivare al sequestro. Cosa che è molto difficile legalmente e praticamente. Per questo il diritto all'oblio ci pare uno strumento potenzialmente censorio in mano al soggetto che lo chiede. Perché è piùsemplice da usare della rimozione della carta.
Ma c'è sempre un passaggio di tipo giudiziario.

L’avvocato Davide Neri

Quindi dipendiamo dall'opinione di un giudice? La tipologia di questo diritto ci pare poco strutturata.
Essendo un diritto molto nuovo, sul quale deve ancora costruirsi una giurisprudenza consolidata - anche se ci stiamo arrivando - come spesso succede quando ci sono diritti in contrasto tra loro, ci vuole tempo, ci vogliono tante vicende e magari anche qualche caso clamoroso che porta a consolidare i concetti. Ad esempio recentemente è stato inserito nella legge delega per la fiscalità del 23 settembre scorso un comma per il riconoscimento automatico del diritto all'oblio qualora il soggetto, in un procedimento penale, ottenga il decreto di archiviazione o una sentenza di assoluzione o un non luogo a procedere. Deve però ancora essere trasposto in una legge attuativa e sarà ovviamente oggetto di discussione parlamentare.

La stampa che tipo di strumenti ha per difendersi? Se io giornalista ho bisogno di usare una determinata informazione che è stata “obliata”, vuol dire che non posso più usarla?
Dipende nuovamente per quale motivo intendo usarla. Voglio trattare la stessa notizia o voglio trattarne una nuova? E per quella nuova sussiste davvero l'interesse a che il pubblico conosca anche quella vecchia?

Che differenza c'è tra il diritto all'oblio e la diffamazione amezzo stampa?
Oblio e diffamazione possono essere due facce della stessa medaglia. Entrambi hanno a che fare con la reputazione della persona e spesso, infatti, si intrecciano tra loro in vicende giudiziarie.

Nel caso specifico del nostro giornale, i dati che ci viene chiesto di deindicizzare sono dati contenuti in pubblici registri.
Un conto è il dato personale, un conto è la notizia della quale si chiede la cancellazione. Non è il luogo dal quale si è ottenuto il dato che rileva, ma l'utilizzo che se ne fa.

Ma se giurisprudenza la pensa così, dobbiamo preoccuparci...
C'è sempre il bilanciamento con l'interesse pubblico di accedere alla notizia e informare l'opinione pubblica. Chiaro che per voi giornalisti può fare molto scalpore che venga riconosciuto il diritto all'oblio in determinati casi, ma il diritto di cronaca è stato riconosciuto molto spesso.