Menù
Home
QT
Questotrentino
Mensile di informazione e approfondimento
Utente
Cerca

Il Trentino che vive a Rio dos Cedros

In Brasile, 150 anni dopo, una popolazione che ancora parla uno splendido dialetto ma corre veloce verso il futuro in un paese complesso e piagato dall'ingiustizia.

Renzo Maria Grosselli
Il condominio “Villa di Trento”

Avete pane?”. “No, gnènte ancoi!”. E si pianta in bocca uno straordinario sorriso Vitória Anesi, una settantina d’anni. Tutto normale… tutto straordinario invece. Perché ci troviamo a Rio dos Cedros, nello stato di S. Catarina. In Brasile. Con Nova Trento e Rodeio uno dei tre comuni storici della trentinità catarinense. Ma ancora più straordinario è che questa gente parli un bellissimo dialetto trentino dopo 145 anni dall’arrivo delle prime leve di immigrati tirolesi italiani in questa foresta subtropicale.

Ma continuiamo il nostro viaggio al Zentro de Rio Zedro come dicono qui. Se hai bisogno delle lucaniche da abbinare al pane, entri al supermercato Menestrina. Alcune cose, al volo, le puoi prendere dal Murara, compresa la frutta e la verdura. Tropicale… ma ci sono anche i pomi. Poi via in questo giro di acquisti. Un paio di scarpe a Casa Tafner. Per le cuffie del cellulare gli Uber, se vuoi un mobile i Berlanda, ma se lo vuoi di vimini i Busarello. Gli occhiali da Marcos Trisotto. Uno dei pochi nomi di battesimo che rispettino i santi, in un Brasile in cui trovi nomi che sul calendario non ci sono mai stati. Un posto per dormire, appena fuori città, lo troverai dai Mattedi. Dove Valmór e la moglie Milde parlano indifferentemente e alternativamente due lingue: il portoghese e el taliàn.

Il primo gruppo di tirolesi italiani entrò nel territorio di Rio dos Cedros nell’agosto del 1875. Erano partiti da Mattarello e da altri paesi attorno a Trento. Qui ancora oggi qualcuno chiama il luogo di primo insediamento i Matarèi. Scomparsa dalla memoria popolare l’indicazione Zentenari (di Centa), continua invece quella di Samonati dove le famiglie portano il nome di Lenzi, Trisotto, Paoletto, Mengarda.

Il 15 agosto 1875 i primi trentini avevano preso posto nei baracconi del porto di Itajaì. Dopo un viaggio in canoa sul fiume Itajaí Açú arrivarono alla Colonia Blumenau. Poi furono accomodati nella foresta vergine. Gente di Civezzano, Fornace, Albiano, Cavedine.

Il 25 novembre 1875 Giuseppe Zanluca di Volano scriveva: “Posi piede a Blumenau credendola una vera città, o una grossa villa. Non vidi che 8 case e 3 in funzione”. Nel 1878 nella colonia fondata dal tedesco Hermann Blumenau erano 1.600 quelli che vivevano lì e pochi se l’erano battuta subito, a rotta di collo. Non avevano un soldo in tasca e anche il viaggio di andata era stato pagato dal governo brasiliano.

Oggi il Municipio di Rio dos Cedros conta 12.000 abitanti. Il sindaco uscente si chiama Marilio Felippi (Filippi in origine) e quello che lo sostituirà in gennaio Jorge Stolf. Ha un’economia fiorente in cui l’industria ha una parte importante e così i servizi. Un settore che sta crescendo è quello del turismo, dell’ecoturismo, anche se un altro è quello del legname, ormai quasi tutto da “piantagione”: eucalipto e un tipo di pino adatto a questo clima. Il territorio ha uno sviluppo verticale fin oltre i mille metri e ad altitudini di 600-800 metri due dighe hanno formato due ramificati laghi artificiali attorno a cui, per il clima ameno, le cascate e la bellezza del paesaggio, sono sorte decine di ville private ed esercizi al servizio dei turisti. Che accorrono tra le araucarie che a quella altititudine nascono spontanee. Tra le aziende più importanti di Rio dos Cedros c’è la Molas Marchetti, che produce sospensioni e molle per camion, autobus, treni e le vende in America Latina ma anche in Europa, Stati Uniti e Asia. Un must.

Al lavoro in colonia

In 145 anni i riocedrensi hanno cercato nuove terre da coltivare ad ogni latitudine brasiliana, dal Paraná a Tocantins e fin su in Rondonia. I 20 ettari di “colonia” distribuiti a basso prezzo dal governo di Rio de Janeiro furono sufficienti per un paio di generazioni. E basta. Molti nipoti dei primi immigrati dovettero prendere su le loro cose e cercare nuova terra nell’immensità brasiliana. Ed era un nuovo inizio, una nuova lotta serrata: col clima, la fauna locale… i commercianti che compravano i prodotti agricoli, data la primitività delle vie di comunicazioni, a prezzi bassi mentre vendevano ai contadini chincaglieria, petrolio, sale e qualche brandello di stoffa a prezzi alti. Ma trentini, veneti, lombardi, tedeschi e polacchi portavano nel loro sangue e nella loro cultura il germe del “progresso”, la voglia non solo di cancellare gli stenti vissuti in patria, ma anche di assicurare alla generazione successiva una vita migliore.

Qualcuno, partendo dalla piccola proprietà agricola familiare ha saputo inventare meraviglie. “Sen taliani” dicono qui, anche se i più vecchi ricordano che il passaporto degli immigrati era austriaco. Uno di questi taliani, Acarí Menestrina, lavorando ed imparando in Italia, ha creato un gioiello, Gran Mestri, che lui ha definito “l’industria intelligente del formaggio”. La casa madre sta a centinaia di chilometri a ovest di Rio dos Cedros, ai confini con l’Argentina, ed è sinonimo di formaggio in tutto il continente Brasile. Se vuoi un tipo di grana, provolone o gorgonzola che ti ricordi la qualità italiana devi cercare il suo marchio. Macchinari e “maestri del formaggio” vengono dall’Italia. Ma il seme sta a Rio dos Cedros, dove mamma e sorelle ogni giorno producevano sul focolare quelle forme di formaggio che assicuravano le proteine ai figli.

Rio dos Cedros, dove per un secolo le famiglie contadine hanno messo al mondo 8, 10, anche 15 figli (il record pare sia stato di 21 marmocchi), lavorando buone o mediocri terre.

Famiglie cattoliche che fino agli anni ´60 hanno mandato a studiare coi preti e con le móneghe centinaia di ragazzi. Un orgoglio avere un sacerdote in casa, ma anche l’unico modo per poter far studiare le nuove generazioni. La prima generazione brasiliana aveva studiato qualche anno in scuolette nate nella foresta, finanziate coi prodotti della campagna. Insegnanti trentini o bellunesi che mettevano a disposizione, per tre o quattro giorni alla settimana, il loro non enciclopedico sapere, occupando gli altri giorni con aratro e zappa.

Il municipio del Zedro è abitato anche da minoranze tedesche, polacche e luso-brasiliane. Ma ciò che lo connota è el taliàn, dal forte profumo dei dialetti trentini.

Adír Lenzi, 74 anni e origini a Samone, inizia così il racconto della sua vita. Lui che ha fatto mattoni ma anche il vaccinatore di bovini nella vita: “Son nassèsto chi. La matonèra el l’ha fata me pupà chel gavea 80 mórgheni de tèra. Eravamo 10 figli e lavoravamo tutti nella colonia: sorgo per la polenta, patate dolze e riss per magnàr, tabàc per vender”. La terra era misurata in mòrgheni e il lavoro per farla produrre ancora negli anni ‘50 del ‘900 era misurato in ore ed ore. Dall’alba al tramonto. Ma se la famiglia era colpita dalla disgrazia, un’alluvione, la morte del padre… così racconta la sorella di Adír, Iris: “Quando una famiglia rischiava di perdere il raccolto, allora c’era el piófego: la comunità li aiutava. Quando le terre del Paoletto si allagavano, tutti a raccogliere il loro mais”.

Ma prima dell’ultimo balzo della modernità, se lavoro estremo, e sofferenza, facevano parte della quotidianità contadina, dal Trentino erano giunte in Brasile anche tradizioni più leggere.

Un negozio di Trentini

Queste le parole “sdialettizzate” di Irma Tomaselli: “A mia mamma piaceva cantare. Era una Pedrelli. Canti in italiano: La verginella, La cara mamma e c’era la fisarmonica. Era un Delucca che suonava. Poi quando le feste erano più importanti ce n’erano nasquanti. In colonia si cantava, si era allegri. Avevamo le nostre difficoltà, ci si brontolava alle volte. Ma poi c’era allegria”.

I maschi bestemmiavano? “C’era qualcuno che le tirava giù. Un mio parente quando stava lavorando al tabacco e il vento gli portava via il cappello… quanti cappelli ha sbrindellato col coltello. Diceva: ‘Questo non lo voglio più sulla testa’. E lo riduceva in pezzettini”.

Negli anni ‘50-’70, accompagnando il Brasile nella corsa all’industrializzazione, tanti altri figli di Rio dos Cedros se ne andarono. Così Elisário Cattoni, oggi 96 anni, e Valdír Vicenzi, 74, che studiarono da frate e prete, coi cappuccini e i salesiani. Per poi finire a fare i docenti universitari in Paranà. Altri misero bottega, sarti o barbieri a Curitiba, ma la maggior parte finì in fabbrica. Mentre le ragazze, che per antica tradizione non ereditavano neanche un pezzo di terra (solo la dota quando si sposavano), andavano a fare le operaie e le segretarie nelle città industriali di Blumenau, Joinville, Timbó e Pomerode.

Oggi sono tutti brasiliani a Rio dos Cedros. Trentini incrociati con tedeschi, polacchi e luso-brasiliani. Così se vai nella farmacia del dottor Dárcio Gonçalves da Cruz, troverai un’accoglienza famigliare e consigli all’altezza dei tempi. E alla fine saprai che sua madre era una Campestrini e sua moglie è pure figlia di trentini.

Abbiamo posto a decine di riocedrensi due domande. Sei brasiliano? Sei taliàn? Una risposta che ne riassume tante è quella di Zenaide Odorizzi Campestrini: “Sono brasiliana perchè sono nata qui. Sono anche taliana”. Più italiana o più brasiliana? “Mi son taliàna”.

Rio dos Cedros è una tipica cittadina “italo-brasiliana di Santa Catarina in via di rapida modernizzazione. Ma non mancano i problemi. Le vie di comunicazione tra questi, visto che la maggior parte delle strade che va verso l’interiór sono di terra battuta.

Poi, le differenze sociali ancora marcate. Negli ultimi decenni il municipio ha ospitato centinaia di famiglie provenienti dal resto del paese, soprattutto contadini che avevano perso la terra o che si erano urbanizzati senza successo. Molti di loro vivono ancora in situazioni precarie e non è facile la vita di chi, ai margini della cittadina o nel grande territorio municipale vive ancora di piccola agricoltura. Nel Brasile dell’enorme latifondo e del pervicace conservatorismo della politica e delle “classi alte” che non vogliono delegare un millesimo del loro strapotere.

Rio dos Cedros, dove molti usano ancora a profusione lo strutto in cucina. E lo chiamano colà. E col sangue del porco preparano i brusti. Accompagnadoli con la feijoada.

Parole chiave:

Articoli attinenti

In altri numeri:
Le due apocalissi, gli ultimi

Commenti (0)

Nessun commento.

Scrivi un commento

L'indirizzo e-mail non sarà pubblicato. Gli utenti registrati non devono inserire altre verifiche e possono modificare il proprio commento dopo averlo inserito.

Riporta il codice di 5 lettere minuscole scritto nell'immagine. Puoi generare un nuovo codice cliccando qui .

Attenzione: Questotrentino si riserva la facoltà di cancellare commenti inopportuni.