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QT n. 2, febbraio 2020 Monitor: Arte

“Tuuumultum!” Campionature tra arte, musica e rumore dalle Collezioni del Mart

Rovereto, Casa d’Arte Futurista Depero,fino al 29 marzo

Vladimiro Sternini
Fortunato Depero, Festa di bambini - strilli (1929)

La mostra racconta, attraverso una campionatura delle collezioni del Mart, il complesso legame tra musica, arte e rumore che ha attraversato il Novecento. Punto di partenza, immancabilmente, le rivoluzionarie teorie futuriste, innestate in ogni ambito del sapere così come della vita quotidiana, dalla letteratura al cinema, dal cibo alla musica. Già nel 1910 apparve un primo Manifesto dei musicisti futuristi, seguito l’anno successivo dal Manifesto tecnico della musica futurista, ambedue a firma di Francesco Balilla Pratella. Fu però solo nel 1913 che Luigi Russolo teorizzò nel suo manifesto L’arte dei rumori l’irruzione in ambito musicale del rumore, icona sonora della vita contemporanea. Nello stesso anno passò dalla teoria alla pratica, realizzando assieme a Ugo Piatti intere famiglie di strumenti musicali, gli Intonarumori, capaci per l’appunto di accordare e intonare vari rumori, sia naturali, come l’ululatore, che artificiali, come il rombatore. Questi strumenti, utilizzati anche all’interno di orchestre e visibili in mostra in una fedele ricostruzioni (gli originali sono purtroppo andati dispersi), non furono le uniche bizzarrie sonore brevettate da Russolo: nel corso degli anni Venti diede vita a varie versioni di Rumorarmoni, strumenti simili ai pianoforti che riassumevano però le varie sonorità degli intonarumori.

A questo rumorismo musicale, il Futurismo ne affiancò uno prettamente vocale, basato sull’arte della declamazione, tra i cui esponenti di spicco, oltre a Marinetti, troviamo Fortunato Depero, inventore dell’onomalingua, linguaggio grafico-sonoro ritmato da onomatopee, come in Campanelli (1916), una delle tavole presenti in mostra.

Da questi due focolai rumoristi si svilupparono nel secondo Novecento due diverse linee di tendenza documentate nel percorso: l’Arte dei rumori di Russolo generò la musica concreta prima ed elettronica poi; il rumorismo vocale sviluppò invece, a partire dagli anni Quaranta, la Poesia sonora. Parallelamente, altri futuristi, come Francesco Cangiullo, proposero una giocosa effrazione dello spartito musicale, ben evidente in edizioni come Caffeconcerto. Alfabeto a sorpresa (1919) e Poesia pentagrammata (1923).

Procedendo su tali direttive, il percorso affianca opere d’arte, video, edizioni d’artista, documenti, manifesti, oggetti e tracce sonore.

Luigi Russolo, Intonarumori - Gracidatore (1914)

Per quanto riguarda il primo Novecento, accanto agli intonarumori, a fotografie, ai manifesti futuristi e a varie tracce sonore, si segnalano due acquarelli di Kandinskij legati alla musicalità e al ritmo, temi al centro anche di una complessa opera di Luigi Veronesi di oltre 5 metri di lunghezza dedicata a Karlheinz Stockhausen, uno dei padri della musica elettronica.

Anche le sperimentazioni del secondo Novecento affiancano opere talvolta complesse a fonti documentarie: così, accanto agli otto quadri che compongono Musica madre di Giuseppe Chiari (1972), troviamo una gustosa ricetta di questo musicista sperimentale (autore tra le altre cose di Metodo teorico e pratico per suonare rompendo, 1961) per eseguire un brano d’avanguardia: Eseguire un’opera sinfonica di autore noto. Non eseguire l’ultima nota.

Oppure, accanto a fotografie e vinili di John Cage, ecco un trittico di manifesti in omaggio al suo brano forse più emblematico, 4’33’’ (...di silenzio, n.d.r.), realizzato da Leonardo Sonnoli, uno dei massimi graphic designer italiani. A proposito di manifesti: ve n’è una serie che rimanda a musicisti e gruppi leggendari del rock, come i Doors, Jimi Hendrix e Janis Joplin, a evidenziare l’utilizzo del rumore anche all’interno della musica cosiddetta incolta.

L’armonia, dunque, fatta a pezzi, come nell’opera Steinway del trentino Jacopo Mazzonelli, ove la sagoma di un pianoforte risulta composta da lettere metalliche che richiamano quelle utilizzate per le lapidi funebri, metafora della morte della classicità musicale; oppure negli spartiti reinventati in chiave verbovisuale da Annalisa Aloatti, Tomas Rajlich o Luciano Ori, dove sul pentagramma troviamo note rovesciate, frammenti di altri spartiti oppure elementi vegetali, come alberi e arbusti.

Infine - quasi una mostra nella mostra - una sorta di Wunderkammer presenta bizzarri supporti musicali di gruppi rumoristi, alcuni con diretti riferimenti al futurismo musicale.

Tra le varie amenità, segnaliamo un vinile esagonale, uno dal profilo seghettato e uno del gruppo noise The Haters, da graffiare prima dell’ascolto, in modo da poter riprodurre sul giradischi il rumore causato da tale efferata azione.

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