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QT n. 2, febbraio 2009 Monitor: Arte

Quel poderoso tempo creativo delle avanguardie

Arte: “illuminazioni”

Ol’ga Rozanova, Città (1913)

“Illuminazioni”, la prima delle tre mostre proposte dal Mart e curate da Ester Coen nel corso del 2009 per il centenario del Futurismo, è un’operazione culturale che evita le vie più battute, come ripercorrere il solo futurismo italiano o il suo rapporto con l’ avanguardia francese, il cubismo. Propone un confronto meno frequentato, con altre avanguardie, la tedesca e la russa, nel quinquennio che dal 1910 porta alla Grande Guerra.

Nel fare questo, illumina la fitta rete di contatti e influenze (in cui il cubismo gioca comunque la sua parte fondamentale) che, in campo artistico, oltrepassa i confini delle nazioni proprio negli anni in cui le esasperazioni nazionalistiche precipitano. E riesce a portare qui, oggi, opere poco o per nulla esposte da noi, molte provenienti dai musei nazionali o regionali dell’est europeo.

Insieme all’epistolario dei protagonisti di quegli anni, pubblicato nel libro che l’accompagna, la mostra riserva delle sorprese, e aiuta a capire come il radicale sconvolgimento che investe i linguaggi dell’arte, prima della guerra, dia risposte diverse al cambio epocale venuto avanti da qualche decennio, l’imponente sviluppo tecnico e industriale che si ripercuote nella vita quotidiana. I futuristi ne sono folgorati. Boccioni, in una lettera, descrive il suo viaggio a Parigi nel 1906 come fosse un viaggio iniziatico, incontro travolgente con la città simbolo della vita moderna. E’ lo spettacolo di dinamismo (prima che il fermento artistico) a colpire la sua immaginazione, e la risposta sua e del suo gruppo sarà di esaltare le nuove condizioni percettive, le incessanti stimolazioni del movimento.

Ciò che più accomuna le avanguardie (e le rende tali) è lo stravolgimento dello spazio pittorico tradizionale, la compresenza di una pluralità, o l’assenza di qualunque prospettiva. Qui lo vediamo. Ma questa fuoriuscita dal realismo non sempre (nemmeno tra i futuristi, del resto) è un atto di esaltazione della modernità.

Il confronto di linguaggi e poetiche è via via favorito da un’opera futurista, scelta, in ogni sezione della mostra, come possibile termine di paragone. Così, sul tema quasi emblematico della città per il cambio epocale, lo smottamento degli spazi urbani di Olga Rozanova, la fosca incombenza della "Vecchia fabbrica" di Sevcenko, che pure usano stilemi non lontani dall’avanguardia italiana, sono altra cosa dalla brulicante effervescenza della città di Carrà (ancora in debito però, nel 1910, col postimpressionismo), ma anche dal famoso dipinto di Boccioni sullo stesso tema (qui non esposto). Per non dire della dimensione, quasi aliena, di incantamento, lontanissima dalla frenesia del moderno, che connota la raffinata serie di dipinti "architettonici" di Feininger.

Oppure, se si tratta di figura, la violenza espressionista di un’opera come quella di Grosz, esasperata nel colore e nella prospettiva ("Suicida"), coglie la tragicità quasi grottesca della vita contemporanea, ben lontana dagli interessi soprattutto plastici dell’opera-guida di Boccioni per questa sezione.

E se gli artisti del Blaue Reiter portano la loro sensibilità spiritualista che pare, con Kandinskij soprattutto, ma anche con Marc, uscire dal tempo presente e recuperare radici mistiche, tra le artiste e gli artisti russi, oltre i modi più vicini al cubismo che al futurismo della Udalcova o della Popova, si trovano le prove molto più autonome della Goncarova, di Larionov (il raggismo), e la suadente astrazione ritmica di Rodcenko.

Dicevamo delle scoperte. In qualche caso scopriamo un autore in un momento che precede le ricerche che lo hanno reso famoso. Ad esempio un "Falciatore" dipinto nel 1912 da Malevic: arcaismo e modernità meccanica assorbiti nella sospensione luminescente della figura. Un altro grande russo, Chagall, con una deliziosa opera che gioca con la grammatica cubista piegandola ai suoi scopi. Oppure il dialogo che la ricerca di Gino Severini (non sempre il più citato dei futuristi, fuori di qui) sulle linee di forza degli oggetti e dei movimenti di danza, intesse con altri autori in vari punti del percorso. E ancora, lo scrigno di piccole opere grafiche, disegni, improvvisazioni dei bei nomi di quel poderoso tempo creativo. Lo splendido finale di astrazione che trae linfa da percorsi diversi.

(Rovereto, Mart, fino al 7 giugno)