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La crisi in Libia e l’impegno militare italiano

Una realistica disamina, politica e militare, della situazione libica. Rappresenta la visione di uno dei preminenti centri di studio del settore, l’Istituto Affari Internazionali, di cui l’autore è responsabile per il “Programma Difesa”.

Alessandro Marrone

La conferenza di Berlino sulla Libia dello scorso 19 gennaio si è chiusa con il formale impegno di tutti i i governi partecipanti a cessare “ogni interferenza nel conflitto armato o negli affari interni” del Paese africano, e con l’appello agli altri attori internazionali a fare altrettanto. Il documento è stato firmato anche dagli stati che hanno fornito appoggio politico, economico e militare, diretto o indiretto, a una delle parti in causa: Russia, Egitto, Emirati Arabi Uniti e Francia a favore del generale Khalifa Haftar a capo del Libyan National Army (LNA); Turchia, Qatar e Italia a sostegno del Government of National Accord (GNA) di Tripoli guidato da Fayez Al-Serraj, l’unico governo libico riconosciuto internazionalmente da ONU, UE e NATO.

Le forze di Haftar sono all’offensiva dall’aprile 2019 e, forti di un sostegno internazionale maggiore di quello ricevuto da Serraj hanno man mano conquistato terreno dalla Cirenaica, loro roccaforte a est del Paese, verso la Tripolitania a occidente. Diverse milizie locali, come quelle che controllano l’importante città costiera di Sirte, sono passate dal campo di Tripoli a quello del LNA, che da settimane assedia la capitale libica. Quest’ultima però, dove vivono un terzo dei libici, è ancora sotto il controllo di Serraj, che nel frattempo ha ricevuto da Ankara un contingente di 2.000 soldati con i relativi equipaggiamenti.

I due fronti in campo sono quindi in una situazione di sostanziale stallo: sebbene le forze di Haftar abbiano guadagnato molte posizioni negli ultimi mesi, arrivando a conquistare il controllo di buona parte della Libia, non sembrano in grado di prendere le roccaforti avversarie di Tripoli e Misurata, e in generale di tenere unito e governare il Paese. Occorre infatti ricordare che la realtà libica è estremamente frammentata su base etnica, tribale, regionale e locale, e gli stessi Haftar e Serraj sono alla guida di coalizioni più o meno strutturate di gruppi i quali mantengono la loro autonomia. In particolare, le milizie locali sono molto bene armate e rispondono a comandanti in grado di cambiare repentinamente alleanze, come avvenuto appunto a Sirte a gennaio 2020.

In questo contesto, non esiste una soluzione solo militare in Libia: nessuno dei leader locali può imporre un nuovo ordine con la sola forza armata. Ma al tempo stesso non esiste una soluzione politica senza una componente militare, perché gli attori locali vanno in qualche modo costretti a sedersi al tavolo delle trattative e gli accordi risultanti vanno fatti rispettare. In altre parole, esiste un complesso negoziato diplomatico, intra-libico e internazionale, nel quadro di un processo di pacificazione e riconciliazione nazionale, in cui la forza armata serve per far rispettare gli accordi, sostenere chi lo appoggia e contrastare chi lo ostacola.

Nel 2015-2016 la comunità internazionale formalmente si era schierata con il GNA di Serraj.

Poi alcuni stati lo hanno sostenuto nei limiti del diritto internazionale, come l’Italia con una missione militare dal mandato molto circoscritto, dispiegata sia a Tripoli che a Misurata con compiti di assistenza alle forze locali anche tramite un ospedale da campo, e con la formazione della guardia costiera libica. Altri Paesi hanno poi smesso di appoggiare il governo Serraj, a partire dagli Stati Uniti di Donald Trump che dal 2017 si sono quasi completamente defilati dalla crisi in Libia.

Conte e Di Maio alla Conferenza di Berlino

Di questa debolezza ha approfittato Haftar, forte del sostegno specialmente egiziano e russo, che si è concretizzato da parte di Mosca anche con l’invio della cosiddetta Brigata Wagner. Su questa forza militare e sostegno estero il generale libico ha costruito la sua legittimità internazionale, partecipando negli ultimi due anni alle conferenze di Parigi, Palermo e Berlino sullo stesso piano del governo di Tripoli.

Forza militare e processo politico-diplomatico sono strettamente legate in Libia, e continueranno ad esserlo nonostante i buoni propositi di Berlino.

La conferenza in Germania è servita infatti a far dialogare i sostenitori esterni delle due parti, per evitare una escalation del conflitto con un coinvolgimento più diretto dell’Egitto contro la Turchia, nonché l’inasprimento dei rapporti tra Ankara e Mosca. Ma si tratta di impegni non vincolanti, il cui esito dipenderà dalle evoluzioni sul terreno. Purtroppo i precedenti delle conferenze di Parigi (2018) e Palermo (2019) non lasciano ben sperare: dopo un temporaneo cessate il fuoco, gli scontri sono ripresi.

In questo quadro si colloca il tema dell’embargo di armi alla Libia, formalmente in vigore dal 2011 e mai pienamente rispettato. Il confine terrestre libico, nel mezzo del Sahara, è vastissimo ed estremamente difficile da controllare, e anche i porti libici non rispondono ad un controllo centralizzato efficace. È perciò relativamente facile per milizie come quelle di Haftar ricevere equipaggiamenti dai vicini egiziani piuttosto che mercenari dalla Russia.

Per quanto riguarda l’esecutivo Serraj, essendo l’unico governo internazionalmente riconosciuto, ha in teoria il diritto a richiedere assistenza militare per le vie ufficiali, come fatto con la lettera formalmente inviata da Serraj ai governi amici di Algeria, Italia, Regno Unito, Stati Uniti e Turchia a inizio 2020 per chiedere sostegno contro le forze sovversive che minacciano Tripoli. Ankara ha risposto a questa lettera inviando appunto truppe ed equipaggiamenti con una decisione politica, e pubblica, del parlamento turco. Difficile quindi parlare oggi di un vero embargo di armi alla Libia.

Nello stato nordafricano i combattimenti sono diminuiti in concomitanza con la conferenza di Berlino, ma non vi è una vera e propria tregua. Haftar e Serraj hanno acconsentito alla richiesta di nominare propri rappresentanti in una commissione militare congiunta che dovrà monitorare il cessate il fuoco, ma non è chiaro di quali poteri disporrà tale commissione, né se vi sarà un impegno internazionale, politico e militare, a suo sostegno. Si è parlato anche di una missione europea, ma l’UE ha rinviato ogni decisione al riguardo.

Purtroppo al momento non vi sono le condizioni sul terreno, e a livello regionale, per una missione internazionale che garantisca veramente l’attuazione del cessate il fuoco e dell’embargo di armi alla Libia. Non vi è il consenso di Haftar, e da ciò si desume che non vi è il consenso dei suoi protettori internazionali i quali, se avessero veramente voluto, avrebbero potuto costringere il leader del LNA a firmare una tregua semplicemente ritirando il proprio sostegno militare ed economico.

La situazione libica e internazionale resta quindi in stallo, continuando a favorire l’offensiva del fronte oggi militarmente più forte, quello di Haftar. Ciò costituisce un rischio per il contingente italiano dispiegato dal Paese nel 2014 nel quadro dell’odierna missione MISIAT, che ha il mandato, la dimensione e l’equipaggiamento per assistere le forze del governo di Tripoli in una situazione non di conflitto, ma che non è in grado di difenderlo dall’offensiva di Haftar. I militari italiani si trovano quindi esposti a minacce cui non possono rispondere adeguatamente. Nell’autunno 2019 i bombardamenti da parte di Haftar dell’aeroporto e del porto di Misurata, nei pressi dei quali sono acquartierati uomini, mezzi e navi italiane, ne sono una prova allarmante. L’abbattimento lo scorso novembre nei cieli libici del velivolo a pilotaggio remoto dell’aeronautica militare italiana è un altro campanello di allarme. La strategia italiana in Libia va ripensata, e la componente militare deve essere al servizio di una soluzione politica a livello locale.

L’impegno militare italiano in Libia

Missione bilaterale di assistenza e supporto in Libia – MIASIT

Data di inizio: 1° gennaio 2018 (fino al 2017 “Missione Ippocrate”, confluita nella MIASIT)

Quadro della missione: Missione bilaterale

Personale e mezzi impiegati: fino a un massimo di 400 militari e 130 mezzi terrestri (più mezzi aerei e navali del dispositivo “Mare Sicuro”)

Basi: Misurata, Tripoli

European Union Border Assistance Mission in Libya – EUBAM

Data di inizio: 22 maggio 2013

Quadro della missione: UE

Personale e mezzi impiegati: 3 militari

Basi: Tripoli (HQ), Tunisi

United Nations Support Mission in Libya - UNSMIL

Data di inizio: 16 settembre 2011

Quadro della missione: ONU

Personale e mezzi impiegati: 1 militare

Basi: Tunisi (HQ)