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“L’ufficiale e la spia”

Il conflitto fra obbedienza e coscienza, un film di Roman Polanski

“L’ufficiale la spia”

Cretinata numero uno, ieri: Roman Polanski sbarca al Lido e conquista pubblico e critica con il suo ultimo film in concorso. I giudizi della stampa nazionale e internazionale lo indicano come il film più bello e più quotato vincitore del Leone d’Oro dell’ultima edizione della Mostra del Cinema di Venezia. Alla fine gli viene però attribuito il Gran Premio della Giuria, ovvero il secondo posto, un ripiego. Ironia della sorte: la mancata vittoria è proprio da imputarsi alla presidente della giuria, la regista argentina Lucrecia Martel, che fin dalla prima conferenza stampa aveva espresso la sua avversione alla presenza del film in concorso, non per l’opera in sé, ma per il regista e i suoi trascorsi penali. Un po’ come avere dei pregiudizi sulle opere di Caravaggio, perché era un delinquente assassino.

Cretinata numero due, oggi: la 01 Distribution non ha la minima fiducia nella conoscenza della storia e cultura francese di fine Ottocento da parte del pubblico italiano. Per lo meno riguardo il famoso caso Dreyfus, l’ufficiale francese di origine ebrea accusato ingiustamente di essere stato un informatore dei nemici tedeschi e difeso con un vibrante e celeberrimo intervento giornalistico da Emile Zola. Diversamente non avrebbe tradotto l’evocativo, pregnante titolo originale del pezzo giornalistico e del film, “J’accuse”, con il rozzo e deviante “L’ufficiale e la spia”.

Passiamo oltre, ma siamo sempre nei preamboli. È plausibile che l’interesse ed impegno del regista nella realizzazione di questo film siano stati anche di tipo personale: sia per denunciare il razzismo nei confronti degli ebrei, che per sottolineare la devastante gogna mediatica alla quale si può essere facilmente sottoposti per decenni; viste le travagliate vicende personali e familiari, con ambedue i genitori morti in campi di concentramento tedeschi.

Ma razzismo e scandalismo mediatico sono elementi di contesto del film, per quanto impressionanti siano le scene di folla inferocita e devastante nella Parigi di fine ‘800. Un’epoca ricostruita in modo impeccabile, dove è l’utilizzo degli spazi a risultare efficace e funzionale a suggestioni sociologiche specifiche: la clamorosa degradazione di Dreyfus in campo apertissimo; le claustrofobiche stanze dei servizi segreti militari con i serramenti bloccati; il vizioso, fumoso, poco illuminato locale di provincia dove si ricerca il vero colpevole; il minuscolo, insignificante tribunale della riabilitazione.

Ma il tema centrale del film è a mio avviso altro, ovvero il conflitto tra ubbidienza e coscienza. Perché protagonista del film non è l’accusato, ma Georges Picquart, ufficiale dell’esercito francese promosso a capo della Sezione di statistica, la stessa unità del controspionaggio militare che aveva montato le accuse contro Dreyfus. Picquard infatti si accorge che, anche dopo il confinamento del condannato sull’isola del Diavolo nella Guyana francese, il passaggio di informazioni al nemico non si è arrestato. Così riapre l’indagine e scopre le prove dell’innocenza di Dreyfus.

Che fare una volta resosi conto dell’errore di tutto l’apparato militare nell’individuare una facile e opportuna vittima da sacrificare al patibolo dell’opinione pubblica? Mettersi contro l’omertà autoprotettiva e censoria dello Stato Maggiore, accusarlo di superficialità e strumentalizzazione antisemita? Far trionfare la verità contro tutto e tutti screditando il sistema di cui lui stesso fa parte? Come militare ha l’obbligo dell’obbedienza ai superiori, anche se questi, volenti o obbedienti, hanno condannato un innocente. Come uomo ha invece il principio dell’onesta e della verità. La scelta è difficile ma netta. Ma come agire?

Ed ecco un nuovo tema: la forza e importanza della comunicazione nell’influenzare l’opinione pubblica e nella diffusione di falsità e verità.

Un film ottimamente realizzato in tutti i suoi aspetti: le ricostruzioni, gli attori, il ritmo. Due ore che non cedono un minuto e da cui si esce con la sensazione di aver vissuto per un momento in quell’epoca, fatta di gerarchie, onore-disonore, fedeltà-infedeltà di altri tempi, come in un racconto di Maupassant. Imperdibili le sequenze iniziali e finali.

Razzismo, coscienza ed obbedienza, forza e dinamiche della comunicazione, un film perfettamente storico e perfettamente attuale. Imperativo nelle scuole.

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