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QT n. 10, ottobre 2018 Cover story

Quattro candidati

A colloquio con Filippo Degasperi, Giorgio Tonini, Paolo Ghezzi, Antonella Valer

Partendo dai risultati del test che riportiamo nelle pagine precedenti, abbiamo intervistato alcuni fra i più significativi dei candidati a presidente: Giorgio Tonini del centrosinistra, Filippo Degasperi dei 5 Stelle, Antonella Valer dell’aggregazione di sinistra (Liberi e Uguali e Altro Trentino a Sinistra). Ci sarebbe piaciuto colloquiare anche con il presidente uscente Ugo Rossi del Patt, nonché l’attuale favorito (secondo i sondaggi) Maurizio Fugatti della Lega, ma non sono risultati disponibili nonostante le nostre insistenze. Ce ne siamo fatti una ragione, e abbiamo completato il quadro con un’intervista a Paolo Ghezzi, della nuova formazione Futura 2018. In questi colloqui siamo partiti da un giudizio sugli ultimi 20 anni di governo (15 di Dellai-Pacher, 5 di Rossi) per poi affrontare alcuni dei principali nodi programmatici.

Filippo Degasperi

Filippo Degasperi

Parliamo dei governi degli ultimi anni: nel nostro test si parla di “centro sinistra autonomista troppo succube rispetto ai poteri forti del Trentino” e ci ha sorpreso la sua contrarietà a questa affermazione...

Come spiego nel commento, ritengo che sia il caso di parlare non tanto di dipendenza della politica dai poteri forti, ma di matrimonio consensuale, di interessi convergenti, da una parte il mantenimento del consenso, dall’altra parte gli affari.

Questo matrimonio, come dice lei, è stato caratterizzante del centro-sinistra? E con quali conseguenze?

È risultato caratterizzante e deteriore, è uno dei motivi per cui sono nati i 5 stelle in Trentino: vedi il caso del quartiere alle Albere, le consulenze, Trento Nord... tutto è ruotato attorno a quel modo di far politica. Per questo il Trentino ha fondamenta fragili: ha sì le qualità dei suoi residenti e ricchezze ambientali, ma anche un modello di sviluppo che ha il tempo contato. Non è possibile proseguire con l’attuale politica economica (incentivazioni, politiche di sostegno ai territori come ad esempio a Folgaria – che ha portato al default della Cassa Rurale, che vuol dire crisi profondissima di tutta un’economia - o al Monte Bondone – con alberghi ristrutturati con il contributo pubblico e poi venduti all’asta a meno del contributo) con le risorse pubbliche che hanno fatto la fortuna di pochi ma lungo una strada senza uscita.

È un problema solo di quella classe politica?

No, è molto più ampio. Pensiamo agli stessi imprenditori, che nel loro libretto mettono tra i 10 punti programmatici per i prossimi 5 anni la PiRuBi e la terza corsia dell’autostrada: sono visioni di 40 anni fa, e molto limitative, che riducono il raggio d’azione del Trentino a soli 50 km, con il trasporto in macchina, e lo considerano mero territorio di passaggio.

Le sembra saggio dire agli imprenditori in campagna elettorale: state sbagliando tutto, votatemi?

Non dico sbagliate tutto, dico che ci vogliono idee e probabilmente uomini nuovi.

Una carenza che sembra appesantire i 5 Stelle a livello nazionale è la competenza del vostro personale politico. E sul locale?

Dissento dalla lettura sul nazionale. In Trentino poi nessuno ha mai eccepito su tale questione, si veda come i transfughi dal nostro movimento sono stati accolti da altri a braccia aperte. La nostra lista è composta in gran parte da professionisti – medici, commercialisti, avvocati, ingegneri, insegnanti, informatici ecc - mentre nelle altre liste abbondano riciclati e riesumati, gente che vive di politica da 30 anni. Non è un caso che nessuno abbia avuto da ridire sulla qualità dei nostri candidati.

Lei ha chiesto la chiusura del Cinformi (agenzia provinciale che gestisce l’accoglienza dei profughi, ndr) ed è molto contrario ai fondi per la cooperazione e lo sviluppo. In entrambe le situazioni ci sono forse degli aspetti da registrare, ma non è che lei sta proponendo di gettare il bambino con l’acqua sporca?

Precisato che questi non sono problemi risolvibili dal Trentino, vediamo. C’è il fatto che chi non è straniero, a torto o ragione si sente discriminato al contrario, perché quando ha bisogno di informazioni deve fare una trafila fra Itea, patronati e Provincia, con ognuno che fornisce brandelli di informazione, nessuno fornisce suggerimenti, mentre chi è straniero gode di questi servizi riconosciuti efficienti. La conseguenza di questa disparità di trattamento è che la popolazione ha votato per chi offriva soluzioni tranchanti. Per questo abbiamo detto togliamo il Cinformi che fornisce informazioni solo a una parte, e sostituiamolo con una struttura che li fornisce a tutti.

Ma per assistere gli stranieri occorrono conoscenze – di lingue, di approccio, giuridiche – particolari. Non sono cose da preservare?

Penso di no; nella struttura informativa comune dovrà esserci comunque l’addetto che si rapporta con gli stranieri. Però con le elezioni del 4 marzo abbiamo visto che una parte consistente della popolazione ritiene ci sia una discriminazione al contrario non tollerabile.

Ma esiste o è una percezione?

I lavoratori della Marangoni in mobilità ci dicono che si sono trovati scavalcati da quelli per cui si sono spesi quelli del Cinformi.

Queste telefonate del Cinformi sono così importanti da decidere le assunzioni di un’azienda?

Io vedo i risultati elettorali, la popolazione è insoddisfatta. E lo stesso discorso lo faccio sull’Agenzia del Lavoro, cui rimprovero di aver delegato le sue funzioni ai privati; la Pat ha perso il governo di queste dinamiche, i lavoratori espulsi dal mercato rischiano di non trovarlo più.

Ci sono stati dei genitori che non hanno iscritto i figli alla scuola primaria pubblica ma al Sacro Cuore, perché lì non ci sono figli di immigrati. Qual è il ruolo della scuola nell’integrazione?

Non c’è dubbio, la scuola statale ha questo compito, se problemi sorgono sono per i genitori di una parte o dell’altra, la scuola deve essere un ambito in cui scioglierli. Si potrebbe far di più, ad esempio nei casi in cui le bambine musulmane non partecipano alle gite scolastiche.

Quali sono oggi le ragioni della nostra Autonomia speciale? Ancora l’aggancio con Bolzano?

Il rapporto con Bolzano è un’opportunità che andrebbe coltivata, ma l’Autonomia ha piena ragione d’essere, e non come privilegio. Se Veneto e Lombardia vogliono prerogative e competenze come le nostre, noi siamo favorevoli, e infatti in queste regioni i 5 Stelle sono stati decisivi per avviare i passi intermedi in tale direzione. Non penso proprio che se loro hanno più competenze questo confligga con le nostre, anzi, avremmo al confine due alleati, invece di realtà che ci guardano in cagnesco, anche a causa di diversi utilizzi disinvolti che noi abbiamo fatto con l’Autonomia.

In Trentino, qual è il vostro rapporto con la Lega?

Purtroppo la Lega trentina ha deciso di innestare la retromarcia, guardare al passato, circondandosi di tutti i gattopardi della provincia. A Roma hanno rotto con Berlusconi, a livello locale invece hanno scelto un’altra strada; noi non potremmo nemmeno ipotizzare di allearci con chi ha imbarcato Malossini o Grisenti. Poi sugli argomenti siamo pronti a discutere e confrontarci (su temi come sanità o macchina amministrativa siamo vicini, su altri come l’ambiente siamo lontani anni luce), come del resto lo faremmo nell’improbabile ipotesi di un governo di centrosinistra.

Giorgio Tonini

Giorgio Tonini

Dal nostro questionario vediamo una sua valutazione globalmente positiva dei 20 anni di Dellai e Rossi. Eppure gli elettori sembra la pensino diversamente.

Non credo che gli elettori diano giudizi su questo; Churchill perse le elezioni dopo la guerra mondiale, non perché gli elettori avessero giudicato la guerra, ma perché ritenevano necessario cambiare uomini e idee per il futuro.

È per questo che il suo partito, il Pd, ha chiesto a Rossi di farsi da parte?

Noi pensavamo che adesso, pur dopo un giudizio complessivamente positivo sul passato (abbiamo tenuto il forzaleghismo fuori dal Trentino, assicurato uno sviluppo sostenuto e una società abbastanza coesa), ci fosse necessità di cambiare. Rossi invece si ferma al giudizio positivo e ne deduce che non bisogna cambiare.

Cosa occorre cambiare?

Vediamo alcune grandi questioni che metteranno a dura prova il nostro modello sociale. Innanzitutto il dato demografico: calo della natalità e invecchiamento della popolazione, e quindi maggiori costi del welfare, che andrà adeguato con il coinvolgimento del privato sociale, e reso sostenibile con l’aumento del PIL. Dovremo puntare soprattutto sulla qualità e quindi sul valore aggiunto, dell’agricoltura, del turismo, dell’industria, recuperando il gap di questi anni con l’Alto Adige. Questa è la principale sfida.

E poi?

Il corridoio ferroviario del Brennero, un’opportunità e al contempo una grande sfida: implica un coinvolgimento della popolazione nella lunga fase di transizione con i cantieri in fondovalle e città; e d’altro canto l’opportunità che viene dalle risorse, gli investimenti e pure il ridisegno urbanistico delle città e i collegamenti con le valli (elettrificazione della Valsugana, collegamento con Riva). Il tema è: questo grande scenario, chi lo deve gestire: Salvini? La Lega ha una struttura militare con una gerarchia ferrea, il presidente leghista della Pat è autonomo solo sulla targa della porta, abbiamo visto come Maroni, leader storico della Lega, più volte ministro, presidente della maggior regione, è stato licenziato dall’oggi al domani. È chiaro come il pur personalmente simpatico Fugatti non abbia la statura di Maroni e nessuna possibilità di mantenere un’autonomia sostanziale: risponderà non ai trentini, ma a Salvini. E d’altra parte vediamo come la Lega sta impostando la campagna elettorale; Fugatti è rimasto membro del governo, quando parla dell’ospedale di Cavalese non si sa in che ruolo lo faccia; ha un simbolo con il nome di Salvini, non il suo e noi saremo parte di quel sistema, senza alcuna intercapedine. Ecco dove sarà il potere reale nella giunta leghista.

Appunto, l’Autonomia. Che senso ha oggi?

Si regge anzitutto sulla storia, si dice che le autonomie speciali sono anacronistiche, la nostra perché non ci sono più problemi di convivenza. Invece il problema della convivenza tra gruppi linguistici storici diversi non è mai risolto per sempre, va governato, come è stato fatto qui.

Sì, ma ora noi cosa c’entriamo?

Tantissimo, la prova è stato il fallimento delle due Consulte per la riforma dello Statuto, trentina e bolzanina; in particolare quella di Bolzano ha visto prevalere la posizione tedesca contro quella italiana, arrivando a una posizione finale di bandiera che perfino alludeva all’autodeterminazione. Il fatto è che la presenza del Trentino nel quadro regionale è l’ancoraggio al realismo, con i due contrappesi, tedeschi maggioranza in Sudtirolo e minoranza in regione, due contrappesi che vanno mantenuti. Non dobbiamo ignorare che intorno a noi nel mondo austriaco e tedesco, le correnti estremistiche non mancano, anzi. A Roma dico sempre che se non si vogliono gestire questi problemi con le autonomie speciali, si dovrà farlo con le truppe speciali. Che inoltre costano di più.

Secondo punto: la capacità di sapersi governare, fare meglio dello Stato possibilmente spendendo di meno. In questi anni questo obiettivo è stato in gran parte raggiunto, anche se non del tutto e non per sempre, spesso abbiamo fatto meglio con più, non con meno.

Dove quindi migliorare?

Uno dei punti è la macchina amministrativa burocratica: dobbiamo riuscire a fare meglio dello Stato anche qui, con regole più agili che rendano la vita dei cittadini più semplice. Ora c’è il problema, da Roma a Trento, della burocrazia difensiva: di fronte a una norma incerta e il pericolo di un procedimento a suo carico, l’amministratore preferisce fermarsi e non fare niente. Qui sono gli stessi organismi di controllo che dovrebbero partire dalla presunzione di buonafede, e affiancare l’amministratore per facilitare il suo compito, salvo sanzionare quando in effetti c’è la frode.

Un caso specifico e concreto. C’è un certo movimento per far acquistare alla Pat (magari via Università) l’invenduto delle Albere, per alleviare i conti di Isa & C.

È evidentemente stato un intervento che ha incontrato una serie di problemi enormi arrivando a un sostanziale disastro economico. Si può dire con il senno di poi che quello in effetti era il posto per l’università, con un campus...

Nessun senno di poi. Quello era il progetto: parco fluviale e università. Poi è stato Dellai che ha affidato il terreno al “privato non speculativo” che ha finito con il realizzarvi un quartiere di lusso...

Meglio ancora, è più chiaro. È sbagliato mettere i soldi pubblici per ripianare i debiti privati, meno che mai sanare i mancati profitti privati.

Ma si può intervenire per risanare le perdite?

I privati che hanno avuto problemi ci devono mettere la loro parte ad assorbire le perdite. Ove ci dovesse essere un finanziamento provinciale per chiudere la questione dovrà esserci una significativa partecipazione privata anche alle perdite.

Immigrazione: ci sono problemi nell’inserimento dei giovani immigrati nella scuola primaria?

La scuola è il principale momento di integrazione, va salvaguardata. È un problema che non deve esistere. Più in generale sulla scuola rispetto al passato occorre ricostruire l’autonomia della scuola rispetto alla Provincia, che in questi ultimi anni è stata smantellata, cancellando la Sovrintendenza, il Consiglio scolastico provinciale eletto da docenti genitori studenti, l’Iprase in parte eletto, il Comitato di valutazione, la rivista Didascalie. È stato tutto raso al suolo, non è rimasta alcuna intercapedine tra la Giunta provinciale e la scuola, se non un funzionario provinciale che ha alle spalle solo una carriera di dirigente. Penso che dovremmo ricostruire organismi che distanzino la scuola dalla Pat dal punto di vista gerarchico: se il preside è un dirigente, gli insegnanti si sentono meno coinvolti, e così il trilinguismo era un’ipotesi interessante, ma le modalità di attuazione devono essere discusse, progettate non da un funzionario, ma da dagli organismi scolastici, che utilizzino, valorizzino la professionalità docente.

Questa deriva gerarchica non è solo della scuola, ma dell’insieme della macchina provinciale.

È una verticalizzazione, aziendalizzazione, una sostituzione della discussione e dell’autonomia professionale con la governance dirigista: va corretta.

Sull’immigrazione?

Ci sono aspetti che hanno natura nazionale. La linea muscolare è autolesionista, dovremmo fare dell’immigrazione un tema europeo; questo governo ha fatto il contrario, cioè, in realtà, un autogol. A livello provinciale c’è la gestione dell’accoglienza, e con il Cinformi ecc abbiamo fatto cose molto buone. Il tema, semmai, che non ho visto nel decreto Salvini sulla sicurezza, è impiegare queste persone: se sono giovani devono studiare, e altrimenti lavorare in impieghi socialmente utili, per la loro dignità ed evitare la repulsione della popolazione verso individui costretti all’ozio.

Paolo Ghezzi

Paolo Ghezzi

Il vostro movimento si caratterizza per una discontinuità col centro-sinistra di questi anni? Dalle sue risposte al nostro questionario la discontinuità sembra molto relativa.

Possiamo dire che il Trentino non abbia peggiorato in questi 15/20 anni la propria qualità della vita. Poi ci sono state distorsioni, ma mi sembra riduttivo concludere che sono stati i 20 anni della clientela. Qui diventa basilare il discorso del metodo: collegialità della Giunta o uomo solo al comando? Perché la collegialità comporta collegamenti con i vari mondi che assessori e consiglieri rappresentano, mentre l’uomo solo al comando può portare alle decisioni arbitrarie quando non avventurose. La Giunta provinciale dovrebbe assumere il metodo della ripartizione, la classe politica non deve avere la presunzione di sapere tutto, ma deve interpellare i corpi intermedi, che portano visioni e saperi specifici. Pensiamo ai ricercatori...

Allora passiamo al tema del lavoro: al Muse i giovani che creano le attività espositive sono tutti precari.

Il tema del lavoro, soprattutto quello intelligente, deve essere ripreso in mano, puntando a un superamento, purtroppo graduale, della precarietà. Ed è da affrontare il tema del welfare di secondo livello (dai corsi di lingue alla palestra per i dipendenti) che non può essere lasciato solo alle ottime iniziative della Luxottica: potrebbe diventare attività collegate al distretto industriale, alla cooperazione, questa è innovazione del sistema delle garanzie sociali. Questi sono esempi delle politiche per i giovani che altrimenti vanno all’estero e per quelli che non fanno figli.

Si sente parlare di acquisti provinciali alle Albere.

È un problema soprattutto di mercato, dei cosiddetti (i risultati al momento non mi sembrano forti) poteri forti. Un soccorso della Pat sarebbe assolutamente fuori luogo.

Tra i candidati della vostra coalizione ci sono noti brontosauri della politica. È questa l’innovzaione?

La lista risulta dalla genesi delle cinque componenti: Verdi, Primavera trentina, Autoconvocati, Articolo 1-Mdp, Insieme Trento (ex Pd). La lista è nata dalla combinazione di queste forze, ognuna delle quali ha designato i propri rappresentanti, alcuni dei quali sono degli ex. Non ci sono stati tempi e modi per fare altrimenti, né d’altronde ho voluto porre veti, né penso che aver fatto politica sia un crimine. La mia è stata una disponibilità per cercare di porre un argine al nazional-leghismo; ho con modestia (perché inesperto di politica praticata) accettato la candidatura ed ho accettato anche i nomi proposti in lista.

E il rinnovamento?

Una parte della lista è rinnovamento, una parte è esperienza. La retorica del cambiamento mi sembra orribile, come il “governo del cambiamento” ci sta dimostrando.

L’elettorato il 4 marzo ha chiesto questo, e tale era il senso del no a Rossi.

Da qui anche la candidatura mia. Poi, avendo tre mesi in più, potevamo fare un percorso condiviso che portasse a una lista più innovativa.

Cosa pensa delle polemiche su Cinformi?

Le convergenze parallele di Lega e M5S contro Cinformi sono significative ma insensate: Cinformi, che per carità può essere migliorato, ha gestito compiti sempre più dilatati, ma l’idea di chiudere un servizio come quello dà il messaggio che bisogna dare meno servizi a queste persone. Si pensa forse che ne aiuteremmo l’integrazione, faciliteremmo la convivenza?

E i genitori che iscrivono i figli al Sacro Cuore perché non ci sono immigrati?

Sono risposte che aumentano le tensioni, anzi le creano. I nuovi trentini debbono essere dentro le nostre strutture, perché siano cittadini come noi; creare cittadini di serie B è una risposta triste, non all’altezza del Trentino che nella sua maggioranza, non è né razzista né egoista.

Quali le motivazioni attuali dell’Autonomia?

La motivazione storica resta sullo sfondo, ma purtroppo è negata dalla politica di oggi. Per quanto il presidente uscente assicuri di aver tenuto un ottimo rapporto con Bolzano, non si capisce come, con la Regione che difatti è sparita, confinata ormai nell’Autobrennero e nella Haydn. A mio parere la giunta Rossi e le precedenti hanno smarrito politicamente l’idea di Regione: ricordo un unico momento di lavoro comune, quello per arrivare all’accordo di Milano che ha ridefinito fondi e competenze dell’Autonomia. Oggi l’Autonomia si giustifica se c’è un’ottima gestione, al Lombardo Veneto annessionista che vuole inghiottire il Trentino dobbiamo opporre l’eccellenza della gestione, del welfare, della ricerca. Non puoi negare che loro chiedano più competenze, devi dimostrare maggior efficienza e percorrere coraggiosamente la strada di accordi interregionali, non solo l’Euregio, ma le reti di università, di luoghi di ricerca, e così disinneschi l’invidia per le nostre maggiori competenze. Certo, con questo governo è tutto più complicato, ci potranno essere pressioni più forti per normalizzare la nostra Autonomia.

Antonella Valer

Antonella Valer

Dopo gli esiti elettorali della Lista Ingroia, e anche gli ultimi di Liberi e Uguali, qual è oggi il senso della vostra lista? Una generosa testimonianza?

Più che di testimonianza parlerei di resistenza...

La resistenza si fa in tanti, contro Salvini la puoi fare con Tonini...

No, con Tonini no, infatti siamo rimasti ad attendere le decisioni; vedevamo una svolta in Paolo Ghezzi, se lui fosse stato il candidato e se si fosse trovato l’accordo su un paio di punti, allora ci saremmo stati anche noi. Le cose non sono andate così, e allora abbiamo ritenuto che la sinistra in Trentino debba essere rappresentata, in quanto il progetto che ha partorito Tonini è un’altra cosa, soprattutto non c’è alcuna discontinuità rispetto al governo precedente, segnale che dopo il 4 marzo ci sembrava lapalissiano dare.

Quali le discontinuità indispensabili?

Sicuramente rispetto al metodo. Tanti di noi hanno provato a portare istanze in Provincia, con i comitati, i movimenti, e la risposta è sempre stata la chiusura totale. Poi, sui progetti concreti: Valdastico, TaV, gestione del Not, non aver affrontato la questione della rendita (su cui è basato il 20% del Pil trentino invece che sulla produzione di beni e servizi). Se si decide di incentivare le imprese si devono incentivare quelle che producono, non quelle che speculano: e un esempio eclatante è il caso delle Albere, con biblioteca ecc... Poi sulla politica economica noi proponiamo un approccio diverso sia in politica sociale che del lavoro. C’è l’ideologia che il povero o il disoccupato non siano abbastanza bravi, e quindi gli si dà un reddito minimo e dei corsi di qualificazione; mentre per noi il tema è che non c’è il lavoro, il ruolo della politica economica è influenzare il mercato, creare lavoro. Tanto più che ci sono dei bisogni non soddisfatti, tipo la tutela del patrimonio ambientale e culturale, e i bisogni sociali. Da qui la nostra proposta del “lavoro di cittadinanza” che si differenzia dal reddito dei grillini in quanto per noi a chi è disoccupato la Pat non deve dare soldi, ma proporre un’assunzione. L’idea è quella del benemerito Progettone di Walter Micheli, però universale, non solo ai cinquantenni espulsi dalle fabbriche.

Poi, ben oltre la testimonianza, bisogna dare speranza e fiducia. C’è un sentire sociale che è un mix di sfiducia e depressione, su cui la Lega lavora trasformandolo in paura, in rabbia, con l’individuazione del capro espiatorio. A noi sembra che la risposta non possa essere ‘quelli sono i cattivi, stringetevi attorno a noi che abbiamo governato bene’. Dobbiamo ribattere in positivo: immaginatevi un bel Trentino, fatto di relazioni solide, lavoro dignitoso, bellezza ambientale, tutte cose possibili. È su questo immaginario che noi vogliamo puntare. Poi c’è il tema della crisi ambientale: di fronte ai dati dovremmo allarmarci, ma invece di deprimerci, dobbiamo lanciare l’economia secondo nuovi criteri ecologici. E questo è un indirizzo di fondo e generale: se tutte le case del Trentino dovessero essere portate a soddisfare le condizioni europee standard, si creerebbe una quantità di lavoro notevole, per di più di qualità. E non ci capacitiamo di come questa questione ambientale non sia all’ordine del giorno.

Quale Autonomia oggi?

Uno degli elementi di fragilità è aver perso il rapporto con Bolzano. Oggi L’Autonomia del Trentino ha senso se è esempio di buona amministrazione e laboratorio di partecipazione, se si coniuga come autonomie, al plurale, le Regole, i Comuni, gli Usi Civici, e da questo punto di vista le Comunità di Valle non sono riuscite bene, sarebbero da ripensare; e anche autonomie nel senso di mettersi assieme agli altri, macroregione ecc, per affrontare meglio le sfide ambientali e sociali.