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Quale turismo con idee retrograde?

Giorgio Jellici

Quale turismo senza la neve? si chiede l’instancabile e sempre documentato Luigi Casanova in un’analisi-intervista apparsa su Questotrentino il 10 febbraio. Casanova parte dal fatto che “la natura, il paesaggio rappresentano il capitale sul quale si è costruita l’offerta turistica nelle Alpi”. Un’offerta, in Trentino, già minata ormai alla fonte da un rapporto letale per il turismo. Posti letto in albergo: 95.500; posti letto in complessi residenziali e seconde case: 255.000. Cioè: per ogni letto in albergo ci sono in Trentino almeno tre letti in edifici residenziali, condomini e case “ristrutturate”. Che turismo si sviluppa su questa base sbilanciata?

Non approfondisco ora il problema, le sue cause, i suoi effetti, perché tutti gli interessati ne sono al corrente e Casanova già lo fece mille volte. Voglio solo ricordare che questo pasticcio - a dir poco - è sì dovuto alla rovinosa politica turistica dei governatori in Provincia e nei Comuni, ma in eguale misura alla connivenza venale della potentissima lobby degli albergatori (che adesso piangono).

Quanto poi al capitale (il paesaggio), esso è soggetto a costante, colossale svalutazione dovuta al consumo sfrenato del territorio. A ciò si aggiunge da qualche lustro il cambiamento climatico che fa salire la temperatura, riduce a vista d’occhio i ghiacciai e priva gli inverni dolomitici della miracolosa neve.

E adesso cosa facciamo? Cosa ne pensano i due albergatori moenesi (M. Ruffinella e Francesco Cocciardi) intervistati? Mi preme solo sottolineare alcune affermazioni del secondo perché, a dirla in semplicità, fanno cascare le braccia. Eccole: la drammatica riduzione dei ghiacciai è possibilmente un naturale, innocuo processo che non ha nulla a che fare con l’effetto serra (e con l’azione dell’uomo), il “buco nell’ozono” un tema che “i mass media tendono ad amplificare e sminuire … facendo leva sull’effetto emozionale delle notizie”, gli inverni caldi senza neve, una cosa di poco conto perché tanto “si riesce a far sciare comunque bene gli ospiti” (come? Con la neve dei cannoni o sui prati?) e la strada fondovalle di Fiemme, “un’opera che ha fatto scoprire una meravigliosa valle fino allora svalutata perché non realmente conosciuta” (svalutata la Valle di Fiemme? Fatta scoprire a chi? Al traffico che sfreccia a 130 all’ora?).

E’ logico che chi la pensa così veda il toccasana nelle ritrite “azioni promozionali” che poi si concretano in ulteriori distruzioni del territorio – sempre e solo visto come spazio da invadere – e proponga “campi da golf, terme, centri congressi culturali tipo Navalge”, oppure altri “impianti di risalita lì dove siano utili per raggiungere gli impianti in quota”.

Queste idee retrograde non dimostrano una spiccata percezione delle vere cause del problema ambientale e turistico, e meno che meno una sufficiente attitudine a trovarne i rimedi. Con un credo del genere non si salva neanche il poco salvabile rimasto.

Mi si permetta per esigenze di spazio solo un esempio: la soluzione del problema del traffico non sta nel canalizzare ed agevolare la valanga di automezzi che sommerge Fiemme e Fassa per molti mesi dell’anno, ma nel ridurne la quantità, senza troppo incidere sulla mobilità di persone e merci. Come? Togliendo traffico alle strade e mettendolo su rotaie. Non certo con nuove strade: chi semina strade, raccoglie traffico!

L’unica vera strada che può salvare Fiemme e Fassa è la strada ferrata. Va quindi rimessa in azione, in veste moderna, la civilissima linea Ora-Predazzo, prolungata, si capisce, fino a Penia…, giacché più in int nó l’é più nìa.

Perché, invece di ruminare banali formule senza futuro, non si va nella vicina Engadina a vedere come funziona la Ferrovia Retica o, in retoromancio, la Viafier retica?