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QT n. 4, aprile 2011 L’editoriale

La riforma epocale

Alfano e Berlusconi

Ma perché mai Formigoni si è arrabbiato tanto con Vendola solo perché aveva detto che la Lombardia è la regione più mafiosa d’Italia? Vero è che c’è una bella gara per conseguire questo primato. Ma la Lombardia è ben piazzata. Berlusconi, Dell’Utri e Mangano lo stalliere erano per l’appunto in Lombardia. Dell’Utri e Mangano sono mafiosi conclamati. Berlusconi era soltanto il loro inconsapevole capo. Un po’ come Scajola che non sapeva chi gli aveva pagato l’appartamento prospiciente il Colosseo.

Però lo stile del personaggio fa sorgere qualche sospetto. Cosa fa la mafia? Corrompe, minaccia, usa i pubblici poteri per fare i propri privati interessi, uccide i magistrati che indagano sui suoi loschi affari. E lui, cosa fa? L’uso dei pubblici poteri per curare i suoi privati interessi ha trovato in Berlusconi un interprete eccelso, degno del più prestigioso oscar. Prima per interposta persona mediante la corruzione, come nel caso di Craxi che gli assicurò il patrimonio televisivo. Poi in gestione diretta dopo aver ottenuto il suffragio di una buona parte degli italiani.

Gli va riconosciuto che non uccide i magistrati che indagano sui suoi affari. Eppure non sono pochi i magistrati che gli hanno turbato i sonni. Suo fratello Paolo ha patteggiato una pesante pena detentiva per corruzione della Guardia di Finanza che esplorava le aziende di famiglia. Il suo avvocato Previti sta scontando una pena per aver corrotto un giudice affinché pronunciasse una sentenza in suo favore. L’avv. Mills, inglese, si è fatto corrompere da lui per testimoniare il falso in un processo che lo vedeva imputato. Ed altri ancora sono i processi tuttora pendenti che lo riguardano. Certo, fino a condanna definitiva è presunto innocente. Ma intanto vive la pena di questi procedimenti che egli considera persecutori. Senonché a me pare che la presunzione di innocenza che vale per lui debba valere anche per i magistrati che indagano: fino a prova contraria, si deve ritenere che agiscano in buona fede. Ed infatti in qualche occasione sono stati anche clementi, gratificandolo con la prescrizione. Però li teme; non li uccide, ma li detesta. E li vuole in qualche modo punire.

Ecco, accanto alle molte leggi ad personam, la “epocale” riforma della giustizia proposta dal suo ministro Alfano. La quale non riforma affatto la giustizia. Se approvata, i processi civili e penali non saranno accorciati di un giorno. Essa ha solo lo scopo, ed avrebbe solo l’effetto, di mettere le briglie ai magistrati, di ridurre i pubblici ministeri alle dipendenze del potere politico. Inquadrati in una carriera diversa da quella dei magistrati giudicanti, i pubblici ministeri uscirebbero dall’Ordine giudiziario, titolare del terzo potere sovrano. Potrebbero perseguire solo i reati prioritariamente scelti dal Parlamento sotto il controllo del Ministro, non disporrebbero più della polizia giudiziaria e si vedrebbero ridotti i poteri di intercettazione, sarebbero esposti all’obbligo di risarcire il danno causato dai loro errori. Si noti che tutto l’ordinamento giudiziario è basato sulla possibilità dell’errore, posto che i tre gradi di giudizio sono per l’appunto previsti per evitare e ridurre tale rischio. I casi complessi, le norme opinabili, le iniziative di abili difensori, la possibilità di false testimonianze, tutto ciò rende possibile l’errore. Tanto che spesso si assolvono anche imputati colpevoli. Aggravare la responsabilità del giudice significa solo aumentare la probabilità di esonerare dalla pena i criminali.

Un sistema giudiziario come quello prefigurato dalla riforma Alfano non uccide i magistrati ma li disarma, demolendo così l’ordinamento liberal-democratico che esige la separazione ed il bilanciamento dei tre poteri indipendenti l’uno dall’altro.