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Voglio una vita estemporanea

Fuori tempo massimo, come un ciclista che lasci scorrere il plotone per contemplare il paesaggio. Come una ballerina che si attarda a rifarsi lo chignon e ormai il balletto è iniziato. Come la bambina che per l’emozione corre ancora una volta in bagno e riappare quando la recita natalizia sta terminando. Oppure in largo anticipo. Come un Giorgio Gaber, che “sentiva” gli umori delle persone e della società dieci anni prima di noi comuni mortali. Come un falco che vede vicine le cose lontane. Come un viaggiatore ansioso.

Disegno di Paolo Dalponte

Anch’io agli appuntamenti del destino spesso mi sono presentata in anticipo o troppo tardi. Ho una bella lista di opportunità che mi sono sfuggite tra le dita. E un secondo elenco di svantaggi che avrei volentieri evitato.

L’adolescenza mi saltò addosso negli anni in cui la severità dei miei genitori m’impedì di poter godere di quel minimo di libertà che le mie amiche invece avevano ottenuto subito. Libertà... Non parliamo della scuola. Anche lì gli anni sbagliati, per le gite scolastiche che in quel periodo furono sospese. Mica quelle all’estero che fanno adesso. Magari. Sarebbero bastati due giorni a Firenze. Così, tanto per fare un’esperienza diversa. Anni inopportuni anche per andare all’università. L’impegno economico dei miei per mio fratello, che aveva scelto ingegneria a Padova, me ne aveva precluso la possibilità.

La prima delle amiche a sposarsi e diventar mamma. Ne recuperai qualcuna anni dopo, quando diventò madre a sua volta. Ma per anni mi guardarono come l’amica sventurata che si perdeva il meglio della giovinezza. O forse quello sguardo era il mio, ma conoscevo il mito della Medusa e non mi giravo per non rendermene conto. Arrivai in lieve, fatale anticipo anche per condividere l’esperienza dei parti con lui, perché la presenza del padre in sala fu consentita appena qualche mese dopo la nascita della bambina. Ma chissà se avrebbe trovato il coraggio di assistere!

Ero arrivata troppo presto anche per una gestione condivisa della famiglia. I papà di allora si vergognavano persino a uscire da soli con il passeggino. Strappavano sorrisi ironici i pochissimi che lo facevano. Figurarsi dividersi le faccende domestiche. Tutto era quindi sulle mie spalle. Dal pediatra alle udienze, dai compiti alla gestione della casa. Mi sentivo come un mulo senza alpino che lo coccoli! Mai che fosse andato a prendere i figli a scuola. Il suo lavoro era sacro; il mio una rivendicazione da femminista e dovevo sudare sangue, per dimostrare di essere all’altezza di portarlo avanti.

La baby pensione. Quale orrore! Inutile spiegarne i motivi, è come sparar sulla croce rossa. Eppure in Provincia erano stati i democristiani a istituirla, per i soliti giochi di potere. E noi donne dipendenti, io compresa assunta nel 1974, lo avevamo creduto possibile. Bastavano 14 anni, sei mesi e un giorno e avrei smesso di correre come una trottola dall’ufficio all’asilo, al supermercato. Arrivando alla sera talmente prostrata da aver voglia solo di piangere. Con la pila dei panni da stirare sempre più alta e almeno quattro lavatrici da avviare. Non afferrai per pochissimi mesi la baby pensione, dovendo pubblicamente, ma amaramente, convenire che comunque era un privilegio che andava tolto.

Arrivai tardi anche per il part-time; in Provincia lo concessero nel 1992 dopo anni di discussioni. Ma i miei figli erano ormai adolescenti irrequieti e quella madre, improvvisamente a casa ogni pomeriggio, era un problema anziché una risorsa. Organizzarono una sorta di mobbing: entrambi barricati ostinatamente nella propria stanza mentre a me, nella mia, non rimaneva che piangere, sconfitta in casa.

La prima tra le amiche a separarmi... quale triste primato anche qui e quanto dolore per tutti. La prima ad ammalarmi seriamente e sempre quello sguardo che trapassa la nuca... è colpa tua, te la sei cercata!

Alla costante ricerca del senso di una vita estemporanea, adesso non mi rimane che aspettare che il destino pareggi i conti. E se fossi la prima a guarire?

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Commenti (2)

ioriatti

Ciao Lucio... hai colto molto bene il periodo di gran sconforto che ho attraversato negli ultimi mesi.
Ma la notizia buona è che da alcune settimane va un po' meglio. Complice l'avvicinarsi dell'operazione per la CCSVI e quindi di la speranza di avere qualche beneficio.
Mi spiace per la tua ragazza, sono certa che con la tua presenza e sensibilità, affronterà meglio questa malattia.
Vi abbraccio e ringrazio tanto.
Nadia

lucio

Da molto tempo leggo le riflessioni di Nadia. Anzitutto trovo bello e interessante che QuestoTrentino le pubblichi, perchè offrono a tutti noi uno spaccato interiore della vita quotidiana di una persona sofferente. La cosa che invece mi dispiace è che da alcuni mesi in qua il pessimismo ha preso il sopravvento e con il pessimismo anche l'incapacità di trovare ancora cose belle nella vita. Credo di sapere, anche se indirettamente, cosa significhi avere la SM visto che ce l'ha da anni la mia ragazza, o qualsiasi altra malattia che pregiudichi pesantemente il presente e soprattutto il futuro, ma è indispensabile in ogni situazione trovare momenti in cui al rimpianto e al pessimismo si contrapponga almeno un poco la speranza e la voglia di vivere. Serve e si deve farlo per se stessi e per gli altri che ci stanno vicino. So che è difficile ma davvero e' necessario. Per stare meglio. Coraggio Nadia!!!
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