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Nel buio una luce

Per chi è inchiodato al legno d’una malattia degenerativa, la settimana non dovrebbe avere sette giorni. Ne basterebbero sei. Liberandoci della domenica, il giorno della serenità obbligatoria. Il giorno in cui gli altri sciamano e ronzano sorridenti. Il giorno che non passa mai. Poi, meglio che il malinconico silenzio, magari s’alza una musichetta nota. Il telefono.

Ciao Nadia! È un po’ che non ci sentiamo, come stai? Disturbo?

Ciao Davide. No, non disturbi, anzi. Ti avrei chiamato io, ma una nuova ricaduta e un mese di clinica mi hanno tolto ogni slancio e vagolo tutto il giorno, ferma sul posto, incapace di riprendere in mano la mia vita. Telefono compreso.

Forse sei un po’ giù di morale e questo certo non ti aiuta.

Sì, vedo tutto nero, purtroppo. Reagire... Lo so, dovrei reagire. Ma la disabilità è sempre più marcata e non ci riesco. Me ne manca la forza. Una malattia così lunga la stronca. Cerco motivazioni, ma ti confesso di non aver più molte speranze.

Ma della scoperta di quel medico italiano? Se ne sente parlare spesso, ma confesso di non saperne molto. È complicato solo il nome!

CCSVI... È la sigla che indica l’Insufficienza Venosa Cronica Cerebro Spinale, individuata appunto dai dottori Paolo Zamboni e Fabrizio Salvi. Dai loro studi hanno dimostrato che il cervello e il midollo spinale drenano con gran difficoltà il sangue non ossigenato e le tossine. Difficoltà dovuta appunto a restringimenti delle vene cerebrali che complicano il normale deflusso di sangue al cervello. Con conseguente accumulo di elementi tossici proprio nell’area cerebrale e quindi gravi processi infiammatori.

Ma si conosce la causa di questi restringimenti?

L’origine più probabile sembra sia una malformazione che ha origine già nella vita uterina. Quindi indipendente e preesistente rispetto all’esordio della malattia. E che è presente almeno nel 90% dei pazienti con la sclerosi multipla. Un dato molto significativo.

Allora hanno scoperto l’origine della malattia!

No, non è così semplice. Magari lo fosse. Hanno solo individuato che chi ha queste malformazioni aumenterebbe di 43 volte il rischio di sviluppare la malattia. Spero di non annoiarti, Davide. E di essere abbastanza chiara.

Ti ascolto con interesse, invece. Quello che non capisco è se per te ci sarà qualche beneficio da questa scoperta.

Sicuramente, per questo siamo tutti in impaziente attesa che inizi la sperimentazione. Liberare le vene otturate e quindi migliorare la circolazione venosa cerebrale, riduce il numero di ricadute, le lesioni attive e migliora la qualità di vita. Nei pazienti con malattia progressiva, come la mia, quest’andamento si blocca o rallenta.

Come si diagnostica quest’occlusione?

Semplicemente con un esame non invasivo, l’ecodoppler, che utilizza sonde e un software a esso dedicato. Una volta diagnosticata l’occlusione, senza ricovero, bisturi e anestesia, attraverso una puntura endovenosa viene fatto navigare un catetere, guidato da un radiologo, nelle vene del paziente. Raggiunto il blocco, il catetere gonfiando un palloncino permette di dilatare i restringimenti. È la stessa tecnica usata da anni anche per le arterie. Non ha effetti collaterali e costa pure poco.

Ma allora hai buone speranze, Nadia... non scoraggiarti!

Ho pochissime speranze invece. La malattia ha fatto passi da gigante negli ultimi tre anni e per fermarla avrei bisogno di essere operata la settimana prossima! Cosa inattuabile perché per ora non si avvia la sperimentazione nazionale. Passeranno anni prima diventi una prassi approvata dal Servizio Sanitario.

Ma nel vostro Trentino non si muove nulla?

È stata presentata una mozione perché il Trentino avvii una collaborazione col dottor Zamboni per formare i nostri medici dell’ASL a queste nuove pratiche e iniziare la sperimentazione. Ma i tempi saranno lunghi... e comunque in Trentino sono circa 500 gli ammalati di sclerosi multipla. Saranno pochi quelli ammessi alla sperimentazione. Forse è più facile vincere al superenalotto!

Non mollare, dai. Mi spiace sentirti così giù.

Purtroppo in questi momenti, come ha ben detto Alda Merini, “Lo sconforto non tiene mai conto del firmamento!”