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I Natali

Immaginiamo che i tanti Natale della vita si possano riporre nell’armadio della memoria in appositi cassettini. Davanti ai quali sostare senza fretta per decidere quale aprire. Magari con l’obbligo di aprirne uno felice se l’altro è triste. Uno con se l’altro è senza. Si aprirebbe una probabile confusione di pensieri, perché ogni Natale vorrebbe essere quello più felice o quello meno lontano. Come fare con la mia mente vagabonda? Imporle almeno ora di concentrarsi. E scegliere.

Da bambina, a dicembre chi portava i doni erano santa Lucia e Gesù Bambino. Infatti abbiamo un po’ faticato a chiamarlo Babbo Natale relegando santa Lucia a portar solo dolci, perché da bambini era tutto il contrario. Nelle case si facevano sia l’albero che il presepe e noi bambini eravamo coinvolti nella preparazione. Per me che dormivo in soggiorno, oltre alle piante che mi rubavano l’aria di notte, in quel periodo coabitavo con il muschio che mi faceva prudere le narici e l’abete moribondo che esalava gli ultimi respiri. Poi arrivarono le lucette che si accendevano e spegnevano, ma per evitare che la casa prendesse fuoco, alla sera venivano staccate. Comparvero anche i bengala, che mi facevano paura, e mio fratello mi terrorizzava accendendomene uno dietro ed io, fifona, urlavo.

La letterina che scrivevo a santa Lucia era pilotata dalla mamma. Non potevo chiedere, che so, una bicicletta: la mamma mi avvertiva prontamente che le biciclette erano poche e venivano donate solo a chi se le meritava di più. Ero talmente ragionevole che se avessi incontrato santa Lucia e mi avesse chiesto quale regalo desiderassi, avrei risposto: “No grazie, porta il mio regalo a una bambina più brava di me!” Eh sì, perché lei mi seguiva in tempo reale, sapeva tutto e non potevo nasconderle niente. Aveva un filo diretto con la mamma, e i motivi per non portarmi i regali si trovavano sempre. Non ubbidivo, non aiutavo abbastanza in casa, litigavo coi fratelli, dicevo bugie... ero sempre candidata a ricevere carbone. Potevo chiedere solo cose utili. Un paio di guanti, un ombrello, una sciarpa o un astuccio nuovo. Il Monopoli, che mi piaceva tanto, no, perché ero grande. Arrivavano l’astuccio e l’ombrello, una confezione di fichi secchi e una di datteri. Per l’albero, qualche addobbo di cioccolato stantio che ogni tanto spariva, scatenando i soliti litigi tra fratelli.

Quando cominciò ad arrivarmi la voce che i regali fossero in realtà opera della mamma, oltre alla gran delusione capii perché fossero così modesti. Ma il gusto dell’attesa e la fibrillazione di quel momento erano comunque impagabili. Così come la caccia ai regali nascosti, quando ormai l’arcano era mezzo svelato. Perlustravo gli armadi, la dispensa, ogni angolo come un cane da tartufi, ma non riuscii mai a scovarli in anticipo. La cosa divertente fu che “sentivo” fosse arrivato il momento in cui anche mia figlia avrebbe cercato i suoi regali nascosti, ma prevedendolo fui più astuta di lei. Sono tradizioni di famiglia che si tramandano di madre in figlia!

Ma i Natali più belli in assoluto furono quelli con i miei bambini da piccoli e con papà ancora fra noi. Cominciavo a pensarci con un mese in anticipo ed erano talmente tante le persone alle quali volevo fare un regalo, da compilare e conservare, anno dopo anno, la lista dei doni. E da brava amministratrice annotavo pure la spesa individuale, per non far torto a nessuno né privilegiare uno dei figli o dei nipoti. Sì, nei regali ero imparziale e si capiva pure da quello. Anche se, ora che ci penso, nessuno lo sapeva, a parte me e Babbo Natale.

Ai miei bambini non avrei mai fatto mancare la gioia e la magia del Natale. Trovare il giocattolo adatto, e che fosse una sorpresa da far spalancare e brillare i loro occhi, era il più bel regalo per me. La scelta dei doni era sempre accurata, a cominciare dalla carta regalo che sceglievo con attenzione pensando al destinatario. Fare pacchetti è un’arte femminile, perché sono le donne che sanno nascondere per poi svelare. Una carta dozzinale si strappa e si butta; una carta artistica si toglie con pazienza e delicatezza per non rovinarla. Gustando l’attesa anche se sai perfettamente quale regalo nasconde.

Ai pacchetti dedicavo la notte della vigilia, quando tutti dormivano, il pasticcio era in forno solo da cuocere e il tiramisù pronto in frigo. Da noi trentini il Natale si festeggiava con il pranzo, perché il cenone della vigilia era un’usanza dei ‘taliani. Ricordo quelle ore notturne in un silenzio irreale, con una stanchezza infinita addosso ma la gioia tutta mia di preparare gli ultimi pacchetti e addobbi. Tutto doveva essere pronto e perfetto per i miei bambini che fra poche ore avrebbero aperto con trepidazione la porta della cucina, e volevo che tutto potesse imprimersi nella loro memoria per sempre.

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