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QT n. 6, giugno 2010 Cover story

Corrotto

Assolto e beatificato dagli amici di partito, Silvano Grisenti torna in campo. Corruzione, clientelismo, magnadora ritenuti elementi normali della politica. Ma al momento del voto i cittadini dicono di no.

Silvano Grisenti

“Per lui porte aperte” dichiara il segretario dell’Upt Marco Tanas, “Nessuno può negargli il diritto di tornare” concorda il capogruppo in Consiglio Provinciale Giorgio Lunelli, “Silvano è una risorsa importante per il partito, si è sempre speso molto a favore della comunità” assicura l’assessore Tiziano Mellarini. Si rifà vivo l’ex-presidente Flavio Mengoni, sì quello delle 3 Torri, come ricorderanno i lettori di lunga data di Questotrentino, che dopo una breve digressione sulla propria storia (“Mi ha fatto conoscere cattiverie e malanimi non solo della politica”: a chi si riferirà?) benedice Grisenti: “Il popolo ti assolve... Uno entra nelle gallerie volute da lui e dice subito: è stato Grisenti”.

È stata la lettura delle motivazioni della sentenza del giudice Carlo Ancona su Silvano Grisenti a scatenare questo processo di beatificazione prima, e di rivalsa poi: Silvano la vittima, Silvano ritorna in campo, Silvano 2 la vendetta. Con i politici divisi in due campi: gli uni a congratularsi con il rinnovellato protagonista della politica locale, gli altri a calcolare come ora si riposizioneranno gli schieramenti.

Tutti, o quasi appaiono dimentichi di un fatto: Grisenti dal giudice Ancona è stato riconosciuto colpevole di corruzione. Tutte le lodi e le porte aperte pertanto indicano un presupposto: che un politico sia corrotto, non importa niente.

Il fatto è che Ancona scagiona Grisenti dalle accuse rispetto a tutta una serie di episodi, e lo riconosce colpevole di “due soli” episodi corruttivi; come a dire, se un maniaco è accusato di dieci stupri di minorenni e poi lo si riconosce colpevole di “due soli”, è un sant’uomo.

Il punto vero infatti è un altro. Per tutto un ceto politico, il reato commesso da Grisenti - aver fatto versare soldi a imprese vincitrici di gare d’appalto a favore di associazioni sportive o ricreative - non è una colpa, tutt’altro, è la maniera normale, anzi giusta, di fare politica. Usare soldi pubblici (perché tali sono le imprese poi, con l’avallo del Grisenti di turno, ovviamente si rifaranno sulle casse pubbliche attraverso i noti marchingegni delle varianti) per sovvenzionare amici e clienti; non è voto di scambio, è “fare del bene”, come ossessivamente infatti ripete il Silvano.

Il giudice Carlo Ancona

Eppure Ancona, nella sua sentenza che i grisentiani vorrebbero assolutoria, è lapidario: “Il fondamento della pubblica funzione, è che essa costituisca servizio reso nell’interesse della collettività; e quindi essa non può essere anche occasione per l’ottenimento di un vantaggio non dovuto”. Ossia, tu pubblico ufficiale non puoi abusare della tua carica per favorire gli amici: ma, cari politici e rappresentanti vari, occorre un giudice per ribadire questa massima?

Ancona, in realtà, va oltre. E descrive il seguente ambito in cui si muove l’innocentissimo Grisenti: “Si assiste a lunghissimi colloqui (tra Grisenti e imprenditori, n.d.r.) su strategie di intervento nei lavori per le opere pubbliche più disparate, da realizzare in Trentino ma anche altrove, da cui pare... [che] l’aspetto di maggior interesse per il rappresentante delle istituzioni non fosse tanto la realizzazione dell’opera, ma la assegnazione del suo progetto e della sua esecuzione a determinati professionisti ed imprenditori, invece che ad altri”. Un contesto malato quindi, anzi marcio: il Grisenti “uomo del fare” in realtà uomo dello spartire. Da esso Ancona non trae sufficienti elementi per ulteriori accuse sul piano penale. Ma sul piano politico, sul piano della sostanziale correttezza, il giudizio non può che essere definitivo: a un personaggio del genere, di pubblico non deve essere dato da gestire alcunché.

Per tutto un ceto politico, invece, è il contrario. Per l’uomo delle spartizioni, della corruzione, della magnadora, “porte aperte”. Un ritorno accelerato sulla scena politica, giusto in tempo per partecipare, da padrino che muove i suoi uomini sul territorio, alle ultime elezioni comunali, “Grisenti già in campo conta le truppe” titolava L’Adige del 13 maggio.

E qui invece c’è stata la svolta. Gli elettori hanno detto di no. Non è questa la classe dirigente, non sono questi i principi di etica pubblica adatti al Trentino del 2010. Lo si era già visto con l’insofferenza emersa in seguito all’episodio della magnadora; ora è emerso un giudizio diffuso a livello dell’elettorato anche di valle: l’antico clientelismo non viene più accettato.

Clamorose, infatti, sono le trombature dei candidati grisentiani. A Spiazzo Rendena il sindaco uscente Emanuele Bonafini è stato spazzato via dall’outsider Michele Ongari per 469 voti contro 289. A Roncone Catia Amistadi (supportata, oltre che da Grisenti, anche dal boss di valle Adelino Amistadi) ha perso con Erminio Rizzonelli. Ai ballottaggi tutti i candidati in qualche maniera riconducibili a Grisenti sono stati sconfitti: Turella a Mori, Morandini (altro uomo degli appalti) ad Arco, Cellana a Ledro, Brusco ad Ala. Per loro l’ala grisentiana dell’Upt aveva spaccato la coalizione, rompendo con il Partito Democratico; ed uscendone dappertutto con le ossa rotte.

Lungi da noi l’idea di dare all’evento una lettura partitocratica e magari manichea: Pd buono, Upt cattivo. Ma una lettura sociale si impone. Anche perché al clamoroso tonfo di Grisenti si accompagna l’altro clamoroso insuccesso degli assessori provinciali e plenipotenziari di valle. Mellarini ha visto i suoi clamorosamente sconfitti in Vallagarina, Amistadi nelle Giudicarie e in Rendena, Gilmozzi non può cantare vittoria in Fiemme e Fassa.

È tutto un modo di fare politica, evidenziato dal Grisenti che millanta di “fare del bene” attraverso la corruzione, che non viene più accettato. Il Trentino ha deciso di girare pagina, nel 2010 quel tipo di politici è meglio lasciarli a casa.