Menù
Home
QT
Questotrentino
Mensile di informazione e approfondimento
Utente
Cerca
QT n. 5, maggio 2010 Trentagiorni

Grisenti il benefattore

Silvano Grisenti

“Sono stato condannato per aver fatto del bene” commenta Silvano Grisenti la propria condanna a quattro mesi per corruzione. Grande faccia tosta. Si potrebbe obiettargli che, quando decide di “fare del bene” (in questo caso sponsorizzando squadre sportive), per favore lo faccia coi suoi soldi. E non con i nostri, o quelli degli appalti, che è la stessa cosa.

Ma oltre la faccia di bronzo c’è dell’altro: una cultura della legalità che, dalle istituzioni alla popolazione, rischia di appannarsi. Perché, oltre alle dichiarazioni dell’arrogante ex assessore alla magnadora, che in fin dei conti si difende come può e con quella che è la sua cultura, spiccano le dichiarazioni di altri del suo partito (l’Upt) e anzitutto quelle, veramente preoccupanti, del Presidente della Giunta.

Dellai infatti assolve in pieno l’ex assessore: “Silvano si è comportato bene”. Perché? “Il reato di corruzione impropria è formulato sul presupposto che non ci sia rapporto tra l’imputato e interessi personali”.

Invece il codice penale recita all’art. 318 che il reato di “corruzione per un atto d’ufficio”, in gergo chiamato corruzione impropria, si configura quando “il pubblico ufficiale, per compiere un atto del suo ufficio, riceve, per sé o per un terzo, in denaro o altra utilità, una retribuzione che non gli è dovuta”, ed eccoci descritto il Grisenti che riceve del denaro, sotto forma di sponsorizzazioni a favore di due società sportive. La corruzione viene detta impropria perché attuata “per compiere un atto d’ufficio”, cioè la mazzetta la si riceve per svolgere un atto corretto, mentre l’altra corruzione, l’unica riprovevole secondo Dellai, e chiamata dal codice all’art. 319 “corruzione per un atto contrario ai doveri d’ufficio” si verifica quando la mazzetta la si riceve per compiere una scorrettezza, per violare una norma. Insomma, secondo il Presidente, se il cittadino va in Comune a sollecitare una pratica, e si accorda con il pubblico ufficiale grazie a una tangente, quest’ultimo “si comporta bene”.

Sulla base di questa sconcertante premessa, il Presidente parte all’attacco di tutta l’inchiesta Giano bifronte: “Dove è finita l’ipotesi accusatoria?... si è parlato di compromissione tra affari e politica e ora si finisce per censurare due sponsorizzazioni per due società sportive... le tesi accusatorie sono state nella sostanza totalmente respinte”.

Qui occorre mettere dei grossi puntini sulle i. Probabilmente Dellai dimentica che l’inchiesta ha acclarato le turbative negli appalti, che tutta una serie di imputati ha confessato e patteggiato, tranne uno tutti sono stati condannati dal giudice e, dulcis in fundo, sono state recuperati alle casse pubbliche 9 milioni 350.000 euro in risarcimenti. Ecco dove è finita l’ipotesi accusatoria. Affermare che si tratta di un’inchiesta demolita dai giudici, “che induce a serissime riflessioni” non sulla moralità degli apparati, ma sull’operato dei PM, significa stravolgere la realtà. E prendersela con le guardie perchè hanno arrestato i ladri.

Ma c’è dell’altro. Ed è la negazione della gravità dei comportamenti di Grisenti. L’idea perversa che esista una corruzione accettabile.

Vediamo meglio. Grisenti ha fatto sponsorizzare dalla ditta Collini, vincitrice degli appalti, due società sportive. La Collini ha pagato senza fiatare, tanto con il pubblico ufficiale amico, dei soldi si rientra con ricchi interessi, basta farsi approvare una variante in corso d’opera. Ma le altre imprese? Va bene che siano tagliate fuori non perché meno concorrenziali, ma perché non inserite nel giro delle sponsorizzazioni di Grisenti? E non è questo il ben noto meccanismo vizioso, per cui sopravvivono i sistemi di imprese protette e predilette, che però in breve perdono di efficienza e competitività (e infatti è noto che ben poche imprese trentine concorrono fuori provincia, e da noi si escogitano mille trucchi per chiudere gli appalti alle imprese estere)?

E sull’altro versante, le società sportive. Ci sono quelle beneficiate dall’assessore (ai lavori pubblici), ma le altre? Perché mai sono costrette a misurarsi ad armi impari con società finanziate surrettiziamente? Non è questo un altro cancro che si insinua nella comunità: se vuoi affermarti, anche nello sport, devi genufletterti al potente?

La vicenda di Grisenti ci ricorda pari pari quella di un suo predecessore alla presidenza dell’Autobrennero, Enrico Pancheri. Anche lui “faceva del bene” con i soldi dell’Autostrada, finanziando non solo politici (tra i quali l’altra faccia di bronzo Mario Malossini, testé premiato con la presidenza della Commissione dei Dodici) ma anche società caritatevoli, scegliendo quelle a lui più vicine e devote.

Tutto questo ci rattrista, e va ben oltre Dellai e quel tanto di cultura dorotea che evidentemente ancora lo impregna. Di fronte alla condanna di Grisenti, alle esternazioni del Presidente, non abbiamo sentito contrapporre con sufficiente fermezza una adeguata cultura della legalità. E nemmeno, finora, un sussulto di dignità dei cittadini, che dovrebbero fremere al pensiero che, per fare sport, cultura, assistenza, debbano prostrarsi all’arrogante potente di turno che, stornando i nostri soldi, “fa tanto del bene”.