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A proposito di una recensione / 1

Giorgio Jellici

Caro direttore, sono sorpresissimo di leggere su QT la sua intelligente recensione al mio "Nove Racconti": ha fatto bene a far luce sull’altra faccia della medaglia, senz’altro verissima! Intendo dire che la miseria di quegli anni non è l’altra faccia della luna, a noi celata: certamente ricordo - e come! - i gozzi e anche le "strúscie e fadìe"("fatiche che ti logorano"), come si dice in ladino, e certi personaggi, di cui devo ancora parlare, che possedevano solo la camicia addosso. Che peraltro la vita montanara non fosse tutto rose e fiori lo scrivo a p. 142 ("dovevano star zitti perchè parlava solo il capofamiglia per dare ordini... le donne erano in piedi mentre gli uomini seduti a tavola si facevano servire" ndr). Lí accenno proprio ai temi da lei esposti. Troppo poco? Non volevo scrivere un manifesto.

Ma è vero: rispetto a quel mondo non riesco ad essere critico, perché non riesco proprio a trovarvi del marcio di base. Di questa mia attitudine mi sono accorto parecchi anni or sono, forse proprio perché la vita mi ha portato lontano dal - anche mio - Trentino; e allora, quando cerco i ricordi della mia infanzia e gioventù, compresi gli anni formativi al Liceo Prati dei professori Betta e Holzer, quando "apro la scatola", trovo serenità, equilibrio, l’allegria di mia madre ed il genio dei fratelli Pedrotti, il coraggio di mio padre, e, si capisce, la cavezàie... scomparse, come le rane del laghetto della Costa, ecc. ecc. 

Mi son chiesto tante volte come mai la civiltà contadina, montanara, delle nostre valli crollò così rapidamente sotto l’odierno "efficientismo", lasciandoci al monte e al piano una generazione senza arte né parte, avida di soldi, di chiasso, scimmiottona, svenditrice del territorio. Era così fragile l’equilibrio dei padri? Era debole la morale dei nostri vecchi che pur ci pare di poter citare ad esempio? Non fu solo la violenza del turismo di massa a spazzar via tutto, fu anche la debolezza etica della società? Quella di allora era solo una sobrietà poggiante su mancanza di alternative? Fasulla?

Può darsi. Era comunque una morale cattolica, mai temprata dalle rivolte dei protestanti, dal loro senso di responsabilità per la cosa pubblica, dalla loro religiosità non bigotta. Insomma, il crollo di quella cultura è un rebus che non mi dà pace. Soprattutto se penso alla Svizzera, che ritengo di conoscere abbastanza: che sarà anche lo Stato tesoriere della mafia e dei magnati del petrolio, e sede delle nefandezze del capitalismo descritte dall’intrepido Jean Ziegler, ma è anche un posto dove il rispetto della natura, sola vera ricchezza dell’uomo, è presente in ogni istituzione, in ogni svizzero, anche se tale è diventato da qualche anno.

Lei avrà certo risposte più razionali al mio rebus. Per parte mia ho ancora cose da scrivere appena trovo il tempo di rimettermi a tavolino, ma non penso ne uscirà una critica sociale. Mi fermo qui.

La voglio ringraziare per la pagina che ha dedicato ai miei "Racconti": una recensione da giornalista impegnato e vigile, insofferente delle ingiustizie, delle pseudoverità.

A proposito: non tutto è sparito come lei fa notare, quando parla dei "tanti, tristissimi ubriaconi" di allora, e che oggi non scarseggiano, né in città, né nelle valli. Solo il clinto è sparito dalla Valsugana, e l’acquaròt che si portavano in campagna i contadini. Ma chi ormai se lo ricorda?  

Buona continuazione dell’anno.