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Salari miseri, sindacati immobili

I problemi dei lavoratori e gli errori del sindacato.

Draghi, il governatore della Banca Italia, ci ha fatto notare che i salari degli operai ita-liani sono di gran lunga i più bassi d’Europa. La circostanza deve essere davvero molto significativa se sente il bisogno di rimarcarla uno che, per cultura e funzione istituzionale, è più attento ai profitti delle imprese ed all’economia finanziaria, cioè ai giochi di borsa, che non alla quotidiana esistenza delle famiglie degli operai.

E’ anche accaduto che un industriale del centro Italia ha voluto sperimentare di vivere per un mese con il reddito dei suoi dipendenti, e francamente ha riconosciuto di non essere riuscito a farcela.

E, a coronamento di tutto, persino la Fiat ha spontaneamente deciso di aumentare i salari dei suoi dipendenti di trenta euro al mese, mostrando così di dover ammettere che le paghe operaie sono vergognosamente inadeguate.

Tre episodi, avvenuti nello stesso contesto temporale, che hanno finalmente posto all’attenzione della pubblica opinione un problema centrale della nostra economia. Fino ad oggi si è sempre discusso attorno alle esigenze della classe media, cioè le difficoltà burocratiche del popolo delle partite IVA, la soffocante pressione fiscale che grava sull’impresa, i lacci ed i laccioli che inceppano la competitività delle nostre aziende. Ora è balzata alla ribalta la sottovalutazione del lavoro dipendente, iniqua perché testimonia uno stato oggettivo di sfruttamento, dannosa per l’economia complessiva perché deprime la capacità di spesa di vaste masse di consumatori.

Cosa può fare il Governo per porvi rimedio? Può alleggerire le imposte che gravano sul lavoro, ed in parte ciò già è stato fatto con l’abolizione del cuneo fiscale. Ma il trattamento economico dei lavoratori dipendenti è affidato alla contrattazione collettiva gestita dai sindacati. Dunque se i salari degli operai italiani sono così miserabili, mentre i profitti delle imprese non hanno cessato di crescere, lo si deve alla inadeguatezza delle organizzazioni sindacali.

E’ ben vero che le situazioni sono mutevoli e variano da regione a regione e addirittura da azienda ad azienda. Ed al cospetto di questa multiforme realtà, con la contrattazione collettiva generale si è mirato a garantire livelli minimi per tutti, con il risultato che essi sono stati fissati in misura compatibile con l’andamento delle aziende meno fiorenti. Ma ciò dimostra una oggettiva debolezza del movimento sindacale, messo alle corde dalle dominanti leggi di mercato, le stesse che hanno determinato il superamento dello Statuto dei lavoratori con l’adozione della legge 30, abusivamente chiamata legge Biagi, che ha legalizzato il lavoro precario. Sono state le forze del mercato a produrre un tale stato di cose, trovando espressione coerente anche nella politica. Per una Repubblica fondata sul lavoro, come recita il primo articolo della Costituzione, è questo un risultato a dire poco sconcertante.

Per rovesciare una tale tendenza è necessario una rivoluzione culturale. La rivalutazione dei redditi del lavoro dipendente e delle pensioni è una leva per una più equa distribuzione della ricchezza, ed al tempo stesso un fomite della domanda interna. Per resistere alla concorrenza dei prodotti cinesi e per rendere non convenienti le delocalizzazioni delle nostre industrie nei Paesi dell’Europa dell’est non è giusto né razionale abbassare le retribuzioni dei nostri lavoratori, è invece necessario aumentare quelle dei lavoratori della Cina Popolare e dei paesi destinatari delle delocalizzazioni.

Mi rendo conto che l’obiettivo non è facile da raggiungere. Ma cosa fa il sindacato per conseguirlo? Il mondo è diventato piccolo, le informazioni volano, i capitali e le merci non conoscono confini, ed anche i poveracci migrano in cerca di fortuna. Solo i sindacati restano confinati nelle loro nicchie nazionali.

L’internazionalismo era stato uno dei valori fondativi del socialismo e del sindacalismo. Ora non più. La Fiom e il suo segretario Giorgio Cremaschi si sono scagliati con durezza contro i piccoli passi del governo Prodi, ma essi stanno immobili sul terreno che è loro proprio. Ciò che, dopo tutto, non sorprende, se pensiamo che ancora oggi esistono le tre centrali sindacali, la triplice CGIL-CISL-UIL, reperto archeologico di tempi lontani, che oggi non ha più alcun senso, se non quello di gratificare, salvo rare eccezioni, una casta di burocrati incartapecoriti.