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QT n. 16, 29 settembre 2007 Servizi

La scommessa dell’industria nell’era globale

In Germania la Whirlpool produce elettrodomestici d’avanguardia, pagando gli operai 32 dollari l’ora, spiega il New York Times. Perchè a Trento, invece...?

“Globalizzazione: non è solo questione di salari". Con questo titolo molto significativo il New York Times del 17 giugno 2005 dedicava un lungo articolo alle politiche industriali globali della Whirlpool, azienda Usa leader a livello mondiale nella vendita di elettrodomestici, con stabilimenti in tutti i continenti e quasi 80 mila lavoratori.

"Chi è – si chiedeva sul quotidiano il giornalista Louis Uchitelle – il maggior esportatore di lavatrici ‘made in Germany’ verso gli Stati Uniti? Non Miele o Bosch-Siemens, o qualunque altro produttore tedesco. E’ il marchio americano Whirlpool".

In Germania – spiega l’articolo del prestigioso giornale USA – la multinazionale dell’elettrodomestico paga salari alti per produrre costose lavatrici a carica frontale nel suo sito produttivo di Schorndorf, alcune delle quali vengono poi vendute negli Usa.

"Non importa l’alto costo del lavoro, 32 dollari all’ora, inclusi i contributi, contro i 23 dollari all’ora pagati negli Stati Uniti", spiega ancora il giornalista, che conclude: "La tecnologia necessaria e la forza lavoro debitamente addestrata esisteva in Germania quando Whirlpool decise di vendere lavatrici a carica frontale agli americani".

Insomma, è un mito che cade: globalizzazione non vuol dire necessariamente delocalizzazione alla ricerca del minor costo del lavoro possibile. Sul piatto della bilancia delle scelte industriali ha il suo peso anche la qualità della manodopera.

E’ perciò sbagliato farsi prendere dall’ansia da "spostamento ad est", che a volte sconfina nel fatalismo, anche se questa rimane un’opzione sempre in campo. Nel 2002, per esempio, la multinazionale americana ha licenziato 260 operai dello stabilimento di Amiens, in Francia causa del trasferimento nella fabbrica slovacca di Propad di una linea di produzione.

Anche a Comerio – il centro direzionale europeo della Whirlpool – e nello stabilimento di Cassinetta (entrambi situati nel varesotto) l’azienda ha dato avvio nel 2005 a un piano di ristrutturazione da 40 milioni di euro, annunciando 783 esuberi sui circa 3.700 addetti complessivi e un ripensamento globale della produzione, parte della quale è stata portata in Turchia e in Polonia.

E poi c’è l’aumento continuo dei costi di produzione, sottolineato anche nel rapporto annuale 2006 di Whirlpool (consultabile su Internet), per rispondere al quale "nel 2006 metà della produzione è stata portata a termine in paesi a basso costo", grazie anche all’espansione verso Turchia e Russia.

La vendita dello stabilimento di Trento segue – secondo quanto dichiarato dall’azienda stessa – una logica prettamente finanziaria: "Si tratta – spiega Ezio Casagranda sindacalista Cgil, per 13 anni alla Whirlpool – di aumentare il capitale circolante e di potenziare i rendimenti delle azioni, in modo da accontentare gli azionisti, che vogliono risultati a breve termine".

Una strategia esplicitata nel rapporto annuale 2006 della multinazionale americana: "Negli anni 2004, 2005 e 2006, Whirlpool ha dato avvio a transazioni di sale-leasback di alcune proprietà", vendute a imprese finanziarie che poi le concedono in locazione alla stessa azienda, la quale potrà – al termine del contratto – riacquistare il bene.

L’anno scorso le aree interessate sono state quattro, per un valore di 43 milioni di dollari, un sistema per aumentare le riserve di liquidità, messa a dura prova dall’acquisto nel 2006 della Maytag, altra azienda leader nella produzione di elettrodomestici sul mercato Usa. Un’operazione costata 4,9 miliardi di dollari.

La vendita dello stabilimento di Spini rientrerebbe dunque nella normalità e non avrebbe, secondo quanto dichiarato dai vertici della Whirlpool, altre conseguenze. Eppure alcuni particolari hanno fatto subito drizzare le orecchie a Fim Fiom e Uilm.

"La fabbrica – spiega Fausto Francesconi, segretario Uilm - ha vissuto il suo periodo di massimo splendore fino al 1999-2000, con 14 miliardi di vecchie lire di investimenti e un picco ascensionale anche di volumi produttivi". Nel 2000, infatti si raggiunse il milione e mezzo di pezzi prodotti.

Poi arriva l’escalation al ribasso, con investimenti più che dimezzati (tra i quattro e i cinque miliardi) e un calo vertiginoso della produzione, assestatasi attorno ai 690 mila pezzi nel 2006. Contemporaneamente si aveva un progressivo, consistente calo dell’occupazione, fino ad arrivare agli attuali livelli (meno di 700 dipendenti).

"Tutti segnali preoccupanti – spiega Francesconi – che indicano la volontà di non dare continuità alla produzione". Ai quali se ne aggiunge un altro: l’intenzione di vendere – prima dell’intervento della Provincia – non a una finanziaria, ma a un immobiliarista, Silvio Pisetta. E’ la puzza di speculazione edilizia (Pisetta aveva già comprato, quatto quatto, un altro terreno attaccato alla Whirlpool) che ha allarmato operai e sindacati prima, e la più generale opinione pubblica poi.

Degli avvenimenti successivi e delle loro interpretazioni, dell’acquisto dello stabilimento da parte della Provincia, abbiamo già parlato in Acquisto Whirlpool: ben fatto, però... .

Qui approfondiamo il discorso prettamente industriale: che futuro può avere la Whirlpool trentina? E’ comunque fatale una sua prossima delocalizzazione in paesi a più basso costo del lavoro?

Non basta infatti certo la proprietà pubblica dello stabilimento a rassicurare gli operai, e nemmeno gli investimenti previsti da 2,7 milioni di euro per rifare l’impianto di riscaldamento dello stabilimento di Spini e l’avvio di una nuova linea di iniezione di poliuretano espanso.

"Noi chiediamo garanzie. - spiega Roberto Grasselli della Fiom - Questo significa che il piano industriale atttuale, che va fino al 2008, va approfondito perché troppo vago, e deve essere sostituito da uno che arrivi fino al 2010, con l’assicurazione di almeno cinque milioni all’anno di investimenti".

Correlato al piano industriale è la questione della ricerca sull’innovazione dei prodotti. Che la Provincia di Trento negli ultimi anni ha generosamente finanziato, in particolare attraverso il progetto "Innofridge".

"Abbiamo poi chiesto – prosegue Grasselli – il punto sui risultati di questa ricerca Ora, ci rendiamo conto che, se ne escono innovazioni decisive, non possono essere applicate solo allo stabilimento di Trento; però chiediamo che sia lo stabilimento di Trento il primo ad usufruirne".

Si tratta di sogni irrealizzabili? Sembrerebbe di no, almeno a vedere un’altra esperienza, quella dello stabilimento Whirlpool (di proprietà della Bauchnekt) a Schorndorf, in Germania.

Anche lì la multinazionale americana aveva deciso – nel 1999 – di chiudere, ma l’intervento dell’ente pubblico evitò il peggio. Il Comune comprò il terreno e gli stabilimenti e, oltre a firmare con l’azienda un contratto d’affitto di cinque anni più altri cinque di rinnovo, chiese ed ottenne che una parte dei soldi ottenuti dalla vendita la multinazionale li investisse proprio a Schorndorf.

L’ente pubblico e i sindacati dunque strapparono un piano industriale che stabilì gli impegni produttivi, occupazionali e di innovazione della fabbrica; ora la produzione, con il lancio qualche anno fa di una lavatrice di lusso a carica frontale, sta andando fortissimo.

Un altro esempio di finora proficuo rapporto tra pubblico e privato (anche se per alcuni difficilmente replicabile a Trento): nel dicembre 2005 a Napoli, dove la Whirlpool possiede uno stabilimento con 770 operai, la multinazionale ha lanciato il progetto "Genesis", sostenuto da Regione e governo, con un investimento complessivo da 30 milioni di euro. Attorno all’area di insediamento della fabbrica, sono oggi ospitate 18 piccole aziende fornitrici, riunite in un consorzio. In questo modo si riducono i costi di trasporto del materiale necessario alla produzione e si rilancia un’area industriale..

Ma quali sono gli strumenti in mano ai trentini per "convincere" la multinazionale ad investire a Gardolo? La proprietà dell’area, e il cofinanziamento della ricerca forniscono alla Pat una legittimità per fare pressioni sull’azienda. Secondo Ezio Casagranda "la Provincia ha la possibilità di fare una grande operazione di politica industriale ".

Sono sogni di sindacalista statalista? E se l’azienda, invece di investire, vuole proprio andarsene?

"Conta anche la determinazione dei lavoratori; che a Trento fanno 700.000 frigo e congelatori all’anno – risponde Grasselli – Questo per l’azienda è un vincolo, lavora just in time, con le scorte al minimo; una serie di scioperi metterebbe in crisi i rapporti con la rete dei distributori e con la clientela. Insomma, le nostre richieste di maggiori investimenti sono sostenute non solo da argomenti, ma anche da capacità di pressione. Per questo mi sento di dire che, finchè a Trento guadagna, la Whirlpool non chiuderà".

In conclusione, investimenti, ricerca, proprietà del terreno, consapevolezza e vigilanza dei lavoratori: questo il mix che potrebbe dare un futuro allo stabilimento di Gardolo.

Una scommessa che riguarda innanzitutto il domani di alcune centinaia di famiglie. Ma anche, se positivo, un possibile esempio nell’era della globalizzazione.