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QT n. 2, 28 gennaio 2006 Servizi

Quando il Comune “sbaglia” favorendo la speculazione

I pelosi “errori” degli Uffici tecnici di Trento: contro le norme, condomini al posto di casette. L’incredibile avviene quando poi l’“errore” emerge…

E’ un punto dolorosamente ricorrente: una parte della città risulta sfregiata da qualche progetto speculativo, e il comitato di cittadini che vi si oppone scopre che le licenze dell’impresa sono formalmente in regola, grazie a un "errore" del Comune, cui è impossibile rimediare.

Così abbiamo dei Piani Regolatori magari ben fatti, che poi, "errore" dopo "errore", vengono stravolti. I casi sono tanti, e altri probabilmente passano inosservati, perché non c’è il cittadino che protesta. Il risultato è che, pezzo dopo pezzo, la città si imbruttisce, i nuovi quartieri sono poco vivibili, la viabilità fa schifo. E dopo alcuni anni, proprio le zone di nuova edificazione, quelle che avrebbero dovuto essere progettate con criterio, sono da risanare, investendo nuovi quattrini. Il sindaco allora fa il giro dei quartieri degradati per ascoltare i cittadini, come se il degrado fosse frutto di una catastrofe naturale; sarebbe meglio che invece facesse un giro negli Uffici comunali, per impedire gli "errori" (e magari stangare gli "erranti").

Perché in tutto questo, se chi erra sono gli Uffici tecnici, se chi ci guadagna sono i grandi costruttori, c’è anche chi colpevolmente latita, ed è la politica.

Il caso che qui riportiamo riguarda il Comune di Trento (ci ripromettiamo un’analoga indagine a Rovereto). Ed è già apparso sulla stampa, in seguito a una clamorosa sentenza del Tar. Lo riprendiamo e approfondiamo alla luce di nuovi, più gravi eventi e nuova documentazione. Parliamo di una licenza edilizia in via alla Val a Povo. Zona collinare, pregiata, casette mono o bifamilari, però con la viabilità già compromessa: la logica imperante in Comune ("Lasciamoli costruire, poi sistemeremo") ha prodotto stradicciole ridicole, parcheggi tendenti a zero, se vuoi invertire la marcia in una delle stradine chiuse devi chiedere che ti aprano un cancello... Zona comunque molto tutelata dal PRG con precise prescrizioni. In una di queste particelle, una delle maggiori imprese locali (la Libardoni) acquista una casetta e presenta un progetto per trasformarla in condominio, con l’altezza che passa da 8 a 15 metri. Come si vede dal rendering che riportiamo, un mostro, che snaturerebbe tutta la zona.

Il condominio della Libardoni che dovrebbe sostituire la casetta visibile in trasparenza.

Il Comune concede la licenza.

A questo punto si muove un vicino, che contesta l’altezza abnorme. Invece dei 12 metri che sembrano prevedere le norme, si è arrivati ai 15 metri perché il furbo costruttore non calcola l’altezza a partire dal terreno, come logica vorrebbe, ma da una quota più alta, prodotta, decenni prima, da un muro di sostegno con conseguente rialzo del terreno. Questo sopralzo non era la conformazione naturale del terreno, e ora non c’è più, è stato spianato proprio per costruirvi la casa attuale; eppure, secondo il costruttore, la quota del terreno da cui iniziare a misurare l’altezza della nuova casa, dovrebbe essere quella del precedente terrapieno. Il costruttore è un "professionista" che fa i suoi interessi: con la gabola ci guadagna 3 metri di altezza. Ma il Comune? Il Comune non solo approva il progetto gabola inclusa, ma - quando il vicino si rivolge al Tar – resiste.

La parola così passa al Tribunale, che non ha dubbi: "Il piano di campagna da assumere come riferimento è quello non alterato da modifiche indotte dall’attività umana". Annulla la licenza, e condanna l’impresa furbacchiona e il Comune babbeo a rifondere il vicino delle spese processuali.

Ma la cosa non finisce qui. Il ricorso al Tar ha acceso l’interesse della Circoscrizione, che si accorge delle mostruosità che stanno venendo avanti. I 15 metri son dovuti alla furbata delle altezze, ma anche i 12 metri sono discutibili: come mai questa cifra, in una zona che oggi vede altezze massime di 10?

E qui va fatto un passo indietro. Il PRG, nella sua variante del ’94, accoglie i rilievi della Commissione Urbanistica Provinciale, che indicava quattro principali criteri per mitigare, nella zona collinare, l’impatto delle nuove costruzioni: sostanzialmente un contenimento/riduzione delle altezze nelle aree adiacenti le zone agricole primarie o boschive, in quelle adiacenti i centri storici della collina, laddove i coni visuali ambientali sono di particolare pregio; e infine limiti alle concentrazioni urbane nelle zone con problematiche idrogeologiche e di viabilità. L’area di Povo di cui parliamo rientra in tutte e quattro tali caratteristiche.

Il PRG, da un punto di vista operativo creava, accanto alla categoria urbanistica B3 (indice volumetrico 2,5 metri cubi per metro quadro, altezza massima 12 metri) una nuova categoria, la B3a, in cui le altezze venivano ridotte di 2 metri (senza, peraltro, ridurre le volumetrie ammesse dal B3) e la cartografia fu modificata di conseguenza.

Le particelle edificiali candidate ad ospitare i mostri edilizi di Povo, oggetto della nostra attenzione, ricadono in uno di questi settori (precisamente il settore 10 della scheda di Povo e Villazzano). Però qui succede una cosa strana: nella cartografia del settore 10, le prescrizioni vengono introdotte solo in parte; infatti per alcune particelle edificiali le prescrizioni dell’allegato 5 vengono "dimenticate", e le particelle non passano a B3a ma restano inspiegabilmente indicate come B3.

Ecco l’"errore", di cui nessuno per anni si accorge: il settore 10 di Povo è già edificato e la zona per lungo tempo non è oggetto di richiesta di nuove licenze. Finché nel 2004, nell’imminenza della nuova revisione del PRG e quindi prima che all’"errore" si rimedi, qualche "lungimirante" imprenditore fiuta la possibilità di mettere a frutto l’anomala classificazione urbanistica e intravvede la possibilità di demolire le costruzioni esistenti e sostituirle con condomini. E così nel settembre 2004 viene concessa la prima licenza a costruire secondo gli indici B3.

Nel frattempo viene approvata la variante 2004 al PRG dove viene riadottato l’allegato 5 con le prescrizioni delle altezze a 10 metri, e contemporaneamente riproposta una cartografia in contraddizione con esse. Ma ormai il caso è scoppiato, emergono anche gli "errori" e questa volta sia gli abitanti di via alla Val che la circoscrizione di Povo ne richiedono al Comune, a termini di legge, la correzione.

In un mondo normale ci si aspetterebbe che, preso atto dell’"errore", questo venga corretto, tanto più che la legge urbanistica provinciale (22/91), proprio in previsione che vi possano essere errori materiali e contraddizioni nella cartografia, contiene l’art. 42bis, che detta la semplice procedura da adottare per correggerli.

Ma ecco l’ incredibile: l’amministrazione comunale - nonostante le segnalazioni ufficiali e quelle ripetute, della stampa, e i proclami dell’assessore all’urbanistica Andreatta ("Sì, stanno cambiando il volto alla città: è in atto un processo di sostituzione urbanistica." Condomini da 4 o 5 piani al posto di villette "sarebbero - secondo l’Assessore - un’anomalia rispetto al territorio circostante") - resiste al ricorso al TAR, ignora l’"errore" e non risponde all’interrogazione della circoscrizione che chiede chiarimenti sulle contraddizioni fra le norme e la cartografia.

Basta? No: dulcis in fundo, il 27 dicembre 2005, il Comune concede un’altra licenza edilizia, contigua alla prima, per la demolizione di una palazzina bifamiliare e la costruzione di un altro condominio di 12 metri. Com’è possibile una cosa simile? All’"errore" si vuole rimediare oppure si intende propagarlo?

A questo punto le contraddizioni diventano incredibili. Facciamo nomi e cognomi: a partire dall’arch. Paolo Penasa, responsabile dello Sportello Imprese e Cittadini (molto imprese poco cittadini?). Prima della pronuncia del Tar, l’architetto ha questa posizione: "E’ vero, c’è stato un errore. Ma ormai la licenza è concessa, non possiamo più tornare indietro". L’"errore" come entità metafisica che non ha un responsabile (non esiste l’"errante") e soprattutto irreversibile: "a questo punto non si può più…".

Penasa interpreta così bene la parte, che detta materialmente (è o non è dirigente dello Sportello Cittadini?) il ricorso presentato dai vicini, per chiedere la correzione dell’"errore". Ed in un incontro a tre, con il sindaco e con il vicino in causa al Tar, riconosce l’"errore"; "Ma ormai…".

Ecco, secondo un rendering, come si presenterebbe la via con il condominio realizzabile grazie a un “errore” dell’Ufficio Tecnico. Grazie a un secondo “errore”, confermato pochi giorni fa, anche la casetta adiacente verrebbe trasformata in condominio.

Ormai un bel niente. La sentenza del Tar del 28 dicembre 2005 azzera tutto. La concessione edilizia non è più valida. Adesso si può correggere l’ "errore" e far costruire a Libardoni secondo la prescritta altezza di 10 metri. Ed ecco l’incredibile. Penasa, e con lui gli altri uffici comunali, cambia linea. L’ "errore" non c’è più. In una nota del 13 gennaio 2006 Penasa si arrampica sui muri, e con lui anche la responsabile del Servizio Urbanistica, arch. Luisella Codolo in un’altra nota.

Con un fastidioso latinorum urbanistico si alza un polverone, cercando di mettere in contraddizione un comma con un altro, il titolo di un documento della Cup con il titolo di uno delle schede attuative del PRG, e via dicendo; come pure si cerca di interpretare la norma, che dice "In generale i nuovi interventi dovranno… soprattutto mantenere un’altezza massima non superiore ai 3 piani e ai 10 metri" aggrappandosi a quel "in generale" per dire che è stato giusto classificare alcune particelle B3a (10 metri) e altre B3 (12 metri). Allora non di "errore" si tratta, ma di scelta. Chi l’ha operata, e in base a quali motivazioni? Esiste un qualche scritto, un verbale che spieghi? I due dirigenti non rispondono. Si limitano a fare i cavillosi per spiegare che quella personale e audace interpretazione delle norme è legittima.

A questo punto il sindaco girovagante per i quartieri degradati, l’assessore all’urbanistica che rilascia le bellicose dichiarazioni di cui sopra, la commissione urbanistica (serve a qualcosa, o a decidere sono i dirigenti, con gli "errori" e le capziose interpretazioni?), tutti questi, cos’hanno da dire?

Un’ultima notazione. In questa vicenda, come si vede, gli Uffici, sia quando fanno "errori", sia - ed è peggio - quando ragionano a mente lucida, non sono dalla parte della città. Non si avvedono di errori macroscopici nei progetti; anzi si rifiutano di considerarli quando il cittadino glieli sottopone; fanno in proprio "errori" nella cartografia, e si rifiutano di riconoscerli. La città, allora, su chi può confidare?

Questo caso è emerso perché un cittadino ne ha fatto una questione di principio. Ma la cosa non è stata affatto semplice. Si tratta di una persona tecnicamente preparata, dotata dell’ostinazione (in questo caso sacrosanta) dei nonesi. E benestante: nell’iterdel ricorso al Tar, oltre a pagare avvocato e periti, ha dovuto stipulare una fideiussione a favore del Comune di 200.000 euro. Quanti possono fare altrettanto?

In sostanza, questa è un’eccezione, che conferma la regola: di fronte alla speculazione la città è nuda.

Dovrebbe intervenire la politica.

Il coraggiosissimo sindaco Pacher? Vedremo.